L’inverno di Otaru è il luogo ideale per soffocare la nostalgia. Ma anche in quel magico inverno al chiaro di luna il dolore sa raggiungerti, innalzando muri, impedendoti di tornare ad amare ciò che avresti potuto essere. “Moonlit Winter” è una storia che sceglie di restare sommersa sotto metri di silenzi. Una storia di sentimenti repressi nella neve, di donne resistenti come il ghiaccio in lotta per sopravvivere all’infelicità a cui una società intera le ha condannate.
Il regista sudcoreano Lim Dae-hyung fu premiato come il miglior regista esordiente dall’Associazione dei critici cinematografici di Busan grazie alla sua elegante commedia in bianco e nero “Merry Christmas Mr.Mo” (2016). Ora si conferma meritevole di tutto il nostro cinefilo interesse grazie ad un’opera seconda dal forte impatto emotivo e dallo stile sobrio e raffinato.
Una narrazione misteriosa, complessa da irretire fin da subito in una solida cornice di significati, ma che restituisce perfettamente il peso della segretezza, dei compromessi, delle cristallizzate gerarchie sessiste. Sembra sia giunto il tempo del riscatto delle donne anche, e si spera non solo, sul grande schermo, anche in Corea del Sud. “Moonlit Winter” ben rappresenta la gabbia, impercepibile agli occhi, in cui vivono molte donne coreane, costrette a sottostare ad un pensiero maschilista dominante che ancora oggi le imprigiona sul piano sociale e morale.
“Moonlit Winter” si è aggiudicato il premio come miglior film del 18/mo Florence Korea Film Fest, il festival dedicato alla cinematografia della Corea del Sud che si è tenuto a Firenze dal 23 al 30 settembre 2020.
Questa storia ha inizio con una lettera scritta a chi non si ha il coraggio di parlare. Ad inviarla non è chi l’ha scritta, e il nome della persona che la riceve non è quello messo nero su bianco sulla busta.
La lettera proviene da Otaru. Una piccola cittadina di Hokkaido, in Giappone. È diretta in Corea, per raggiungere un ricordo. A scriverla è Jun (Yuko Nakamura), una donna a cui la vita ha insegnato a preferire i segreti alla verità. Ad inviarla la zia Masako (Hana Kino) a cui gli anni hanno suggerito di divincolarsi dai rimpianti.
Yoon-he (Kim Hee-ae) vive in Corea insieme alla figlia adolescente Sae-bom (Kim So-hye). Il suo tempo si è oramai consumato. Un matrimonio fallito alle spalle, un lavoro davvero poco appagante e una figlia con cui non riesce a parlare. Quando quella lettera arriva è la giovane Sae-bom a leggerla.
Sae-bom non conosce nessun particolare del passato della madre ma sente che quella parete inaccessibile che la madre ha eretto attorno a sé potrebbe sgretolarsi se solo lei riuscisse a conoscere la ragazza che la madre era prima che lei nascesse. Viene così a conoscenza di una profonda amicizia, di una complicità autentica nata durante gli anni della scuola e interrotta con una partenza.
Jun se si è trasferita in Giappone in seguito alla separazione dei genitori per raggiungere una zia in Hokkaido. Sae-bom legge di un rapporto interrotto, di una nostalgia intima, di una donna che ha scritto tante lettere senza trovare mai il coraggio di inviarle. La ragazza desidera più di ogni altra cosa trovare un laccio che possa rendere indissolubile il suo legame con quella madre che ha sempre avvertito come profondamente distante. Così coinvolge la madre Yoon-he in un viaggio in Giappone, proprio nella città abitata da Jun. Un luogo che vive per tutto l’inverno sepolto sotto una fittissima coltre di neve. Un luogo dove i ricordi possono riaffiorare, i silenzi essere infranti e le parole tornare a fluire.
Non appena i pezzi del puzzle iniziano ad avvicinarsi al loro perfetto incastro non è difficile prevedere i risvolti di questa storia. Ma “Moonlit Winter” si concede il suo tempo per raccontarsi, per sciogliere le emozioni attraverso piccoli intimi momenti.
Le donne protagoniste di questa narrazione ovattata dal rimpianto si conoscono molto bene. Anche se hanno rinunciato alle parole. Yoon-he e Sae-bom non fanno mai conversazione: le domande della figlia finiscono sommerse dal rumore dell’asciugacapelli, le rare parole della madre si infrangono fra i denti. Ma basta guardare la gioia pura nel sorriso raggiante di Sae-bom quando lo zio le dice che assomiglia più a sua madre che a suo padre per capire quanto desiderano restarsi accanto. Una delle due ha rinunciato a ciò che sarebbe potuta essere, l’altra può ancora concedersi di essere tutto. Ma desiderano assomigliarsi, riconoscersi, fosse solo nel fumo inconfessato di una sigaretta.
Ad assomigliarsi moltissimo sono anche Yoo-he e Jun. Yoo-he costretta a preferire il lavoro agli studi in modo che suo fratello potesse frequentare l’università. Spinta alla terapia psichiatrica quando i suoi genitori scoprirono il suo rapporto amoroso con Jun. E Jun sola mentre scrive lettere che non avrà mai il coraggio di spedire, sola quando sceglie di soffocare i ricordi dietro ingombranti silenzi. Quando le due donne si alternano sullo schermo sembra non esistano confini geografici né culturali tra Corea del Sud e Giappone.
Queste donne vivono tutte in un silenzio obbligato, i loro sguardi cadono nel vuoto senza ottenere mai la parola di conforto di cui avrebbero bisogno. Le presenze maschili non possono che ridursi a comparse, rimbalzando lontano appena entrano nella loro orbita. Il fidanzato di Sae-bom è ingenuo, infantile, non può pronunciare le parole che la ragazza vorrebbe sentire. L’ex marito di Yoo-he è superficiale, emotivamente rozzo, impossibile per lui comprendere il complesso mondo interiore della moglie. Il fratello di Yoo-he poi è il prodotto della società machista che ha rifiutato l’amore di Yoo-he, costringendola all’infelicità, finendo per farla sentire meritevole di quella disapprovazione.
In “Moonlit Winter” c’è una domanda ripetuta con insistenza che resta senza risposta. “Quando se ne andrà questa neve”? È la zia Masako a rivolgere questo interrogativo al vento ogni volta che le si offre l’occasione. La domanda si rivela profetica. Proprio l’intuitiva signora, che conosce il peso dei rimorsi, sceglie di inviare quella lettera e consentire una riconnessione. È suo il primo passo per uscire dall’inverno emotivo in cui tutte le donne di questa storia sono precipitate, facilitando un disgelo che non si aveva nemmeno più la forza di desiderare.
“Moonlit Winter” è un film che intende narrare la nostalgia per ciò che non si è potuto avere. Ma è anche un film sull’incanto che si propaga tutt’attorno quando si torna a toccare ciò che si era perduto. E il fascino del risveglio emotivo è racchiuso in splenditi momenti cinematografici. I paesaggi innevati di Hokkaido sembra poterli osservare da molto vicino, quasi di poterli toccare. E di questo si deve ringraziare la fotografia di Moon Myung-hwan (che già aveva collaborato con il regista in “Merry Christmas Mr. Mo” 2016). La sua è una fotografia che si avvale di eleganza e campi lunghi volutamente in disequilibrio, regalando la sensazione che le protagoniste si muovano all’interno di una palla in vetro, che è sufficiente capovolgere dolcemente per consentire alla neve di tornare a cadere.
Lim Dae-hyung delinea personaggi bellissimi, spigolosi, teneri, silenziosi, consapevoli di aver scelto di vivere al minimo per tentare di tenere a bada il dolore. “Moonlit Winter” si apre con la camera fissa su di un finestrino d’un treno intento a procedere verso una qualche destinazione. Questa storia, però, è molto più di un viaggio emotivo. Vuole essere un invito al cambiamento, al movimento da una mentalità rigida e oppressiva ad una nuova consuetudine di pensiero.
Tutti nascondono qualcosa in “Moonlit Winter”, il più delle volte per timore. È il desiderio di Sae-bom di conoscere davvero sua madre a rimuovere il velo di dolore che l’ha avvolta per anni. È l’approccio alla vita più ingenuo e inedito quello che permettere al rimpianto di affievolirsi.
“Moonlit Winter” è una conversazione che resta in sospeso, appesa a più culture, in bilico tra le generazioni. Una sospensione di cui le protagoniste si sono cullate per anni in silenzio, una sospensione a cui molte donne sono costrette a causa di una società che non le lascia libere di parlare onestamente. Qualche personaggio di questa storia proverà a svelarci alcune verità, ma il resto del lavoro è affidato allo spettatore. Per comprendere questa storia, per rompere i silenzi, per muoverci verso una nuova civiltà di pensiero.