Ci sono storie che sono nate con il principale scopo di dare sfogo alla fantasia di chi le scrive. Poi ci sono storie vere. Maurice è una storia verissima, messa nero su bianco dalla penna di E. M. Forster e portata sul grande schermo da una pellicola omonima di James Ivory.
Il film ha come protagonisti James Wilby e Hugh Grant che hanno entrambi ottenuto la Miglior interpretazione maschile alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. È uscito nel 1987 e attualmente lo si trova su Amazon Prime Video in streaming, accanto ad altri titoli simili come Poeti dall’Inferno, con Leonardo DiCaprio.
La storia vera di Maurice
Maurice è un film interessante non solo perché la regia è eccezionalmente puntuale, ma in quanto ricostruisce fedelmente il libro da cui è tratto. Il romanzo Maurice è stato scritto da E. M. Forster, che per tutta la vita nascose la propria omosessualità. Lo scrisse molto prima della data di pubblicazione, tenendolo nascosto e rimaneggiandolo più volte. Solo alcuni amici lo lessero.
Ciò in quanto il romanzo come il film è una vicenda autobiografica ambientata nel 900 che racconta di uno studente di Cambridge che si innamora di un compagno. All’epoca l’omosessualità era punita severamente, per questo deve affrontare i propri sentimenti non senza diverse difficoltà e remore. Arriverà addirittura a consultare un medico per cercare di “guarire”.
Queste premesse offrono al film un presupposto a dir poco interessante. Raccontare una storia che per quanto romanzata ha del vero è cosa che avviene per diversi libri e film. Tuttavia, la vicenda risulta attualissima alla luce del contemporaneo dibattito sull’omofobia. La prosa dell’autore è scattante, veloce, intensa e ricostruire in un film quindi è tuttavia un’impresa ardua, che pure Ivory che è anche sceneggiatore insieme con Kit Hesketh-Harvey sembra aver compiuto egregiamente.
Durham non poté aspettare. Erano circondati da parecchi giovani, ma i suoi occhi divennero intensamente azzurri e sussurrò: «Ti amo».Maurice fu scandalizzato, atterrito. Sconvolto fin nel profondo della sua anima suburbana, esclamò: «Ah, che scemenza!». Le parole, il tono, gli sfuggirono prima che potesse richiamarli: «Durham, tu sei inglese. Lo sono anch’io. Non mi offendo perché capisco che non intendevi offendermi, ma questo è troppo, questo è l’unico argomento che supera ogni limite, come tu sai, è il peggior delitto sotto il sole e non devi parlarne mai più. Durham! Sul serio, che idea stomachevole…».
Da “Maurice” di E. M. Forster
La delicatezza di un film poetico
La scelta del cast in ciò è stata molto interessante. Un giovane Hugh Grant che ricostruisce perfettamente dalle pagine il fascino del compagno di cui il protagonista si innamora. Una performance che si basa, per caratteristiche del personaggio, più su silenzi ed espressioni. Nessuno può esimersi dal restare incredibilmente affascinato dal carisma di Grant, non solo per la sua bellezza quanto per la delicatezza che ha conferito al ruolo. James Wilby, che non vanta certo la stessa carriera di Hugh Grant, come protagonista non rende d’altro canto il furor caratteristico del romanzo. Probabilmente era troppo difficile tradurlo nei modi e nelle più inquietanti sfaccettature, per quanto non si possa di certo parlare di una brutta performance.
Vi è sicuramente una principale differenza tra libro e film, peraltro già ampiamente analizzata dallo scrittore Alan Hollinghurst. Essa consiste nella mancanza della critica alla società edoardiana. Infatti, al centro di tutto vi è anche una profonda condanna di quel modo di vivere, mentre il film romane in un mood “nostalgico” in riferimento a quell’epoca.
Per altri aspetti, invece, la sceneggiatura ricostruisce fedelmente il libro. I dialoghi in particolar modo sono assolutamente identici. Una delle scene più intense è quella in cui Maurice si reca dal medico confessando di essere omosessuale e si definisce come uno che appartiene “alla razza di Oscar Wilde“. Perfettamente ricostruita e resa. Fin dall’inizio poi, quando si vedono intellettuali dibattere su vari argomenti, il film cattura lo spettatore facendogli comprendere che cosa vedrà. Una storia impregnata di letteratura e filosofia che però non risulta pesante o ampollosa.
Maurice è una pellicola che conquista
Sappiamo che, nel linguaggio cinematografico, le parole sono importanti ma non solo. Aver costruito bene i dialoghi non è infatti il pregio principale della pellicola, che invece compensa l’assenza della pagina scritta in altri modi. Il principale è la fotografia. Le stanze piene di libri, i panorami, tutto suggerisce un’atmosfera poetica e quasi onirica.
Correlativi oggettivi e dettagli che suggeriscono la verità delle cose: il film vuole mettere lo spettatore davanti a una vicenda passionale e sincera, senza filtri. Pierre Lhomme ha curato la fotografia con una precisione quasi maniacale, ma non barocca come avviene per diversi film ambientati nel novecento. Tende invece al minimalismo, perché come nella vicenda del libro ciò che conta sono le sensazioni profonde dei personaggi.
È qui che il cinema diventa un canale per mostrare la capacità di un uomo di affrontare i suoi demoni, poiché anche il lieto fine suggerisce una speranza. E in questo lieto fine diventa principale il ruolo di Rupert Graves, nei panni dell’affascinante Alec. Come già è stato notato più volte, il finale del libro è forse la parte meno interessante. Invece in questo il film eccelle e conquista.
Non finirà mai di essere immortale una storia così drammatica e intensa, che riflette sui demoni delle persone, sulla loro natura e capacità di essere. Sul desiderio di sentirsi accettati e compresi. Maurice è un film imperdibile per chiunque voglia capire il difficile dramma di non poter amare.