Nel 2009 Bong Joon-ho – che undici anni dopo avrebbe vinto i Premi Oscar al Miglior film, Miglior regia e Miglior sceneggiatura originale per il suo Parasite – porta a compimento il suo quarto lungometraggio, dal titolo Madre. Il film, un dramma dalla vena in parte thriller, ha raggiunto il pubblico internazionale nel corso del suo anno d’uscita ma è stato concesso in sala al pubblico italiano solo lo scorso anno, grazie ad una distribuzione limitata nei cinema durante i mesi estivi. La pellicola (128 minuti di durata complessiva) è attualmente disponibile per lo streaming sulla piattaforma Amazon Prime Video.
La trama del film
In un piccolo e povero paese della Corea del Sud, una donna (Kim Hye-ja) vive con il proprio figlio, Yoon Do–joon (Won Bin), affetto da deficit mentale. La madre pratica agopuntura, senza brevetti né permessi, mentre il ragazzo trascorre le proprie giornate in compagnia di Jin-tae, figura poco raccomandabile agli occhi materni. A seguito di un curioso omicidio, avvenuto alla presenza di Yoon Do-joon, il ragazzo viene accusato di essere il responsabile dell’accaduto e, grazie ad alcune prove ritenute schiaccianti e alla sua scarsa capacità di difendersi e obiettare, viene imprigionato. La donna, però, certa dell’innocenza del figlio e sicura che quest’ultimo sia il mero capro espiatorio della vicenda (a causa soprattutto del suo deficit), si rivolge con celerità ad avvocati di spicco che facciano valere le ragioni della prole.
Una volta venuto a conoscenza delle condizioni del figlio, però, persino lo stimato avvocato chiamato in causa rinuncia al caso, rifiutandosi di prenderlo in carico. La donna dunque, ritrovandosi al perso e abbandonata dalle istituzioni, decide di incaricarsi in prima persona di fare giustizia per il figlio. Decide così di avviare una personalissima indagine, interrogandosi sul ruolo della vittima e ricostruendo i suoi precedenti per identificare un possibile omicida. Nel tentativo di scagionare Yoon Do-joon, però, la madre verrà a conoscenza di realtà torbide che investono la vita del paese in cui vive e si ritroverà a fare i conti con la verità dei fatti.
Madre: una detection sullo sfondo di uno scenario irrimediabilmente degradato e compromesso
Se messo in relazione con il restante corpus operistico di Bong Joon-ho, Madre si colloca sia temporalmente che per intenti sulla scia della detection noir realista che aveva caratterizzato il precedente Memories of murder (e su cui, più tardi, si sarebbe innestato anche lo stesso Parasite). L’intera filmografia del regista è in effetti intrisa di una marcata critica sociale, che però nei successivi Snowpiercer (2013) o Okja (2017) si manifesta in una forma di distopia semi-fantascientifica, comunque oscura e pessimista ma indubbiamente distante dalle restanti pellicole. Il film in questione, infatti, è pervaso da un aspro malcontento che si concretizza nelle derive della narrazione, facendosi tangibile e immediatamente comprensibile, non da ricercarsi tra le righe di un’eventuale trama metaforica.
Proprio come Memories of murder prima e Parasite poi, infatti, Madre si instaura su uno storyline tipico della detection con una marcata intenzionalità anti-edulcorante e dunque profondamente realista, dove la brutalità del plot spesso finisce per riflettere l’inumanità dello scenario circostante. Prima ancora della trama mystery, risulta così emergere in modo più immediato allo spettatore un ritratto sociale, l’affresco impietoso di una società marcia, corrotta e più in generale eticamente degradata nella sua totalità. In uno scenario del genere, dunque, il giallo del plot finisce per diventare un sintomo dell’ambiente che lo ha generato e la risoluzione della trama si fa semplice dimostrazione e svelamento di una realtà guasta e deteriorata.
Ciò che infatti emerge con forza dalla pellicola è la percezione di uno scenario degradato, contaminato da un apparentemente inevitabile e totalizzante egoismo dei cittadini che lo abitano ma anche da un sessismo endemico che si rivela minuto dopo minuto, permeando sì lo storyline ma anche la società civile stessa che lo incornicia. Sessismo che, in aggiunta alla difesa sistematica dell’interesse del proprio sé e congiuntamente con una massiccia dose di corruzione e arrivismo si ergono a comporre i chiaramente discutibili pilastri morali su cui poggia la società che vuole fare di Yoon Do-joon il proprio capro espiatorio. E se, in questo modo, l’affibbiare la colpa al più debole diventa il sintomo lampante di una società irrimediabilmente malata, l’operazione che mette invece in atto il regista e sceneggiatore stesso attraverso il plot giallo (il tentativo di localizzazione della colpa effettiva) mette a sua volta appositamente in discussione la denuncia ad una società di tale stampo.
La trama di detection in Madre, infatti, non lascia nulla al caso, e le implicazioni concettuali di tale operazione autoriale si riflettono poi, inevitabilmente, sull’argomentazione di tipo morale che il film stesso concorre ad instaurare. La minuziosa e stratificata critica sociale insita nella pellicola, infatti, si inserisce tra le maglie di un giallo ben scritto e attuato, costituito da una rete di rimandi narrativi ben intessuta, poggiante su un apprezzabile numero di richiami interni sia nella costruzione della detection stessa che nelle singole parabole dei personaggi – e in primis in quello della madre, che dà il titolo al film – conferendo così compattezza e coerenza alla scrittura e dunque al lungometraggio nella sua totalità.