Presentato in anteprima mondiale al Festival di Toronto nel 2019 e uscito solo pochi mesi fa nelle nostre sale, L’audizione è il secondo lungometraggio di Ina Weisse, dopo Der Architekt del 2014. L’attrice e regista berlinese racconta la storia di Anna Bronsky (Nina Hoss), insegnante di violino in un liceo musicale della capitale tedesca. Durante un’audizione, la sua attenzione viene catturata dal giovane Alexander Paraskevas (Ilja Monti, talentuoso violinista anche nella vita), candidato a entrare nella scuola. Mentre i colleghi si mostrano indifferenti e anzi lamentano carenze di tipo tecnico, Anna è convinta che il ragazzo abbia del talento e decide di scommettere su di lui, spingendo per l’ammissione e occupandosi poi personalmente della sua preparazione. Pur notando la timidezza e l’insicurezza di Alexander, Anna affronta le lezioni con un approccio molto severo, mettendo lo studente sotto pressione. Nonostante gli evidenti progressi, la donna non rinuncia a rimproverarlo a ogni minimo errore o ritardo, arrivando a umiliarlo fisicamente, fatto che porterà Alexander a reagire e a ribellarsi.
L’audizione, Nina Hoss in stato di grazia
Donna enigmatica, fredda e imperturbabile, Anna è interpretata da una Nina Hoss in stato di grazia, capace di modulare, attraverso sguardi e quasi impercettibili espressioni facciali, le sfaccettature psicologiche di un personaggio complesso. Certo, non così complesso come Erika Kohut, l’insegnante di pianoforte del film La pianista (2001) di Michael Haneke, impersonata da Isabelle Huppert: la protagonista dell’opera del regista austriaco, alla quale è impossibile non pensare quando vediamo l’algido carattere di Anna, è una donna completamente dominata da perversioni e fantasie sadomasochistiche, originate dalla sua repressione sessuale. Anna al contrario ha una vita affettiva non perfetta, ma comunque ‘risolta’ e priva di scenari torbidi e angoscianti, nel senso psicoanalitico del termine. Sposata con il liutaio francese Philippe (Simon Abkarian), con il quale ha avuto un figlio, Jonas (Serafin Mishiev), allievo nello stesso liceo musicale dove lei insegna, Anna ha una relazione extra coniugale saltuaria con il collega Christian (Jens Albinus), che la spinge a riprendere a suonare in pubblico.
Ciò che Anna non riesce a controllare nella sua vita ordinaria e, tutto sommato, soddisfacente è l’intransigenza con cui tratta gli altri non appena si mostrano fragili o non in grado di esaudire le sue richieste. Quando Alexander non è a tempo, quando il figlio si mostra svogliato nei confronti della musica, quando il marito non la comprende, lei diventa inflessibile e ogni traccia di affetto e umanità sparisce, lasciando spazio ad azioni che rasentano l’anaffettività. Non esita, ad esempio, a mettere in competizione Jonas e Alexander, distanziando così ancora di più il figlio, che soffre perché vorrebbe vedere in Anna l’amore di una madre e non il rigore di un’insegnante che vuole vederlo primeggiare.
Ma Anna è esigente anche con sé stessa, al punto da rifiutarsi di suonare in pubblico per il timore di sbagliare, nonostante l’innato talento.
Durante le visite al padre (Thomas Thieme), intuiamo che i problemi della donna risalgono all’infanzia e sono dovuti, con ogni probabilità, alla figura paterna, uomo incline a maltrattamenti e privo di empatia. Weisse sceglie però di non scavare troppo in quello che in fondo sarebbe cliché: affondare lo sguardo nel passato familiare per capire i comportamenti del presente di Anna. Ecco allora che la regia non si concentra sul passato, ma indugia incessantemente su ogni protagonista, ne esamina le reazioni, ne illumina lo stato d’animo e poi distoglie l’attenzione per tornare alle azioni di Anna, la cui psicologia ci rimane sfuggente e quasi inintelligibile.
Comprendiamo le reazioni del figlio, intuiamo che il marito sa della storia tra la moglie e il collega, solidarizziamo con Alexander. Ciò che non cogliamo è in fondo l’essenza di Anna, cosa la spinga a essere così ossessivamente legata a un’idea di perfezione musicale, professionale, esistenziale. Le inquietudini emergono nelle abitudini, come quella di cambiare più volte tavolo e ordinazione al ristorante, e nei suoi frequenti scatti d’ira. Lei stessa sa di essere ossessiva in questa ricerca di perfezione, eppure non fa nulla per cambiare.
Solo alla fine capiamo che è qualcosa di profondamente suo, non accessibile alle leggi forse troppo spicciole della psicologia. Anna si mostra veramente allo spettatore, nella sua essenza, durante l’ultima scena del film quando rivolge uno sguardo preoccupato ma anche segretamente soddisfatto al figlio, che, con un gesto dall’epilogo drammatico, ha dimostrato di essere competitivo e ambizioso, mosso dalla volontà di liberare il campo da rivali bravi e capaci come Alexander.
In un film che, trattando il rapporto maestro-allievo nell’ambiente della musica, ha echi importanti (La pianista di Haneke, ma anche La voltapagine di Dennis Dercourt, 2006 e Whiplash di Damien Chazelle, 2014), Weisse realizza un’opera interessante, di tensione e mistero, che esalta le capacità di Nina Hoss, una delle attrici più intense del cinema tedesco ed europeo, premiata per la sua interpretazione al Festival di San Sebastián e al Festival di Stoccolma.