Nope è il terzo film di un autore relativamente recente che non può più definirsi esordiente ma che affronta, con questa pellicola, una sorta di prova di maturità. Get Out aveva incantato, Us incuriosito e stavolta l’attenzione era alle stelle per quello che è un titolo molto dibattuto. Lo stile di Jordan Peele ha, in un certo senso, risvegliato le masse e le ha conquistate definitivamente proprio per la sua originalità.
Jordan Peele ha avuto il merito, con le sue prime due opere, di farsi conoscere come autore innovativo; la sua regia ha dimostrato connotati propri e riconoscitivi che, tuttavia, non hanno mai conferito al regista stesso una dimensione eccentrica.
I suoi prodotti sono sempre risultati infatti semplici da digerire, dritti al punto, senza mai scadere nel banale. Nope, come si diceva, è la sfida che certificherebbe l’avvenuta consacrazione e, sebbene stia ottenendo incassi ottimi, a livello di contenuti è pur vero che sta dividendo parecchio la platea.
Si può parlare di Nope come di un film che raggruppa da un lato i fan boys convinti (coloro che ormai hanno ceduto al fascino filmico di Peele) e dall’altro i delusi che invece non reputano questo un film all’altezza dei precedenti. L’iconografia che era stata perseguita e sviluppata negli altri due film aveva necessariamente alzato l’asticella e quindi erano tutti curiosi di capire quale sarebbe stata la protesta sociale velata nascosta all’interno delle scene di Nope.
La prima indicazione che si può dare è che un significato allegorico è presente: il film è sempre e comunque un prodotto simbolico che fa dell’allegoria un punto cardine del suo sviluppo. La questione delle minoranze e delle mancanze universali legate a risorse e disuguaglianze incontra le aspettative del pubblico (questo è ormai un punto cardine dei film del regista afroamericano). Ma è anche vero che, stavolta, tutti i micro-settori che ruotano intorno al simbolismo di Peele non hanno lo stesso impatto di prima e gli spettatori si trovano, dopo tre film, a fare i conti proprio con la sua autorialità che ha raggiunto una dimensione smodata.
Nope – Una trama che parte da assunti già visti
Nope di base offre, come sempre fa il regista, una trama lineare. La terza fatica di Peele, tuttavia,non è più incentrata sulle disuguaglianze sociali ma prova a confrontarsi con un tema molto spigoloso quale l’incontro con entità extra-terrestri. Lo fa citando alcuni dei film più eminenti del genere: Signs di M. Night Shyamalan e Incontri ravvicinati del terzo tipo sono solo due dei rimandi al passato che si cercano di assumere come base di partenza.
È nelle campagne americane, nei ranch sperduti nel nulla che si gioca la partita della scoperta dell’ignoto. I protagonisti devono fare i conti con eventi inspiegabili che coinvolgono gli animali (innervosendoli e facendoli scappare dalla loro “casa”).
Qualcosa vive sopra le teste dei due allevatori di cavalli. Quello che inizialmente si pensava potesse essere un comunissimo ufo, si rivelerà essere un’entità aliena da scoprire e conoscere. Molto intelligente far vedere come il primo pensiero dei due fratelli sia quello di filmare la creatura per ricavarci qualche soldo e sopravvivere così a un destino infausto (non si dimostrano infatti all’altezza del padre nella gestione del maneggio).
Si capisce subito che Nope ha a che fare con una critica (nemmeno troppo velata) verso lo sfruttamento degli animali, quindi della natura, due realtà che l’uomo ha la presunzione di conoscere alla perfezione, quindi di poter dominare. Il tentativo di mettere su pellicola le fattezze della creatura e di arricchirsi vendendo il prodotto audiovisivo a Oprah altro non rappresenta che l’istinto che l’uomo ha, nell’era tecnologica, di sopravvivere. Questo fattore è un’allegoria della naturale spinta animale a cacciare e procacciarsi da vivere.
Nel momento in cui il mostro comincia a mietere vittime questo rapporto si ribalterà e metterà i due giovani nella condizione stessa di non essere più predatori ma prede.
La Recensione
Nope non è un titolo facile da valutare: se con Us e Get Out l’autore puntava a farsi conoscere, in quest’occasione è arrivato il momento della definitiva affermazione. Ancora una volta c’è da misurarsi quindi con l’ambizione di un regista validissimo che introduce tutta la sua sapienza e il suo estro.
Peccato che l’opera si avvicini stavolta a un vero e proprio esercizio di stile: il messaggio c’è ma lo sviluppo filmico ha una matrice leggermente più autoreferenziale rispetto ai progetti passati. Basta pensare al fatto che, come si è detto in precedenza, Nope non colpisce per originalità ma per tecnica.
Da un punto di vista lavorativo è infatti una fatica molto apprezzabile: le doti di Peele emergono con forza lungo lo sviluppo della trama ma le sensazioni che si hanno è che ci sia meno sentimento. Perno dell’interna storia è il rapporto con la natura, con gli animali e con la loro natura indomita.
Altro elemento chiave dell’opera è lo slancio conoscitivo dell’ignoto che avviene sulla base di un retaggio culturale che deve essere superato. La concezione degli alieni come simpatici mostrini dagli occhi a palla è un concetto ormai anacronistico e che può non coincidere con la realtà dei fatti. Il mostro di Nope descrive alla perfezione questo passaggio: la sua forma non è comprensibile, il suo comportamento non è controllabile.
La critica che però deve essere mossa nei confronti di questo titolo è che tutti i grandi i registi, quando si ritrovano davanti alla prova della definitiva consacrazione, eccedono in autoreferenzialità. Il loro stile prevale sulla trama, l’autorialità eccede l’intrattenimento e il risultato che ne viene fuori è un prodotto ben fatto (forse anche qualcosa di più) ma che spiazza lo spettatore non conquistando le sue emozioni.
Gli stigmi propri della registica di Peele aleggiano prepotentemente nello scorrere delle scene. Stavolta l’elemento ironico ha una natura esagerata (il personaggio di Emerald, interpretato da Keke Palmer, dimostra un piglio naif che verso la conclusione dell’opera stufa leggermente). Ancora una volta l’overacting ricercato a tutti i costi penalizza una storia di per sé ben strutturata.
Con Nope, da un certo punto di vista, è stato commesso lo stesso errore di alcune opere di grandi registi che hanno ecceduto con l’auto citazione o la celebrazione delle proprie istanze cinematografiche. Tenet di Nolan, The Irishman di Scorsese sono alcuni degli esempi che possono essere assunti come metro di paragone. Molto visibile il tocco dei loro autori ma poco coinvolgenti le opere che non aggiungono nulla alla filmografia già presente.
Nope rientra in questo novero: anche ammesso che sia geniale la volontà di rivoluzionare il concetto di film sugli alieni, è palese come l’opera costituisca, più che una godibile avventura, un affresco statico da osservare da lontano (senza pathos emotivo). Jordan Peele ha di certo alzato l’asticella e ha ulteriormente confermato la sua natura di artista creativo ma stavolta questo processo ha un po’ indebolito i contenuti. Per il futuro c’è la certezza di avere a che fare un nuovo fenomeno del cinema ma la ricerca di nuovi spunti, anche per lui, non sarà cosa facile.