Elettrizzante. E’ questo l’aggettivo che meglio sembra descrivere Whiplash, film del 2014 che ha portato alla ribalta uno dei maggiori registi contemporanei come Damien Chazelle. Il giovane autore di Providence ha infatti mostrato a tutto il mondo il suo stile, fatto di un’intelligente quanto affascinante dialettica tra musica e immagini, proprio con questa pellicola e che lo porterà, nel 2017, a fare incetta di nominaton all’Oscar vincendo il premio al miglior regista per La La Land, il più giovane nella storia a riuscirci.
Il vero tema del film è l’ambizione. Il diciannovenne Andrew Neiman desidera di diventare il più grande batterista jazz del mondo e per farlo si iscrive al conservatorio di Shaffer, a Manhattan, la miglior scuola di musica del paese. Dopo un breve periodo di apprendistato con una classe di musicisti di livello inferiore viene notato dal temutissimo professor Terence Fletcher, che lo porta nella sua blasonata orchestra. Il docente si rivela però un terrificante martello per tutti i componenti della banda, senza escludere ovviamente l’appena arrivato Andrew. Costringe i suoi musicisti ad esercitarsi furiosamente con l’obbiettivo di raggiungere la perfezione e non esita mai a insultare, mettere sotto stress e persino maltrattare violentemente (non solo a livello psicologico) il protagonista e i suoi compagni. In più Andrew entra in contatto con l’enorme concorrenza tra i batteristi, sempre in discussione per mantenere il posto di titolari. L’influenza di Fletcher e la pressione avranno estreme conseguenze sulla vita e sul carattere di Andrew.
L’impressione generale è che Whiplash, più che un semplice film, sia un prodotto magnetico che ti costringe a tenere gli occhi incollati allo schermo e che riesce nel compito difficilissimo di far sentire lo spettatore per mezzo degli occhi. La musica suonata da Andrew infatti è accompagnata e, per così dire, sottotitolata da un montaggio impressionante, premiato con l’Oscar, che fa sì che i brani suonati dal protagonista sembrino realizzati in presa diretta, come in un concerto. Nonostante Miles Teller (che interpreta il ruolo di Andrew) non sia partito proprio da zero, suonando la batteria per hobby, un montaggio così accurato e preciso avrebbe fatto fare bella figura dietro i tamburi a chiunque.
La storia di Whiplash poi è già di per sé estremamente accattivante, raccontando della necessità di sacrifici estremi e sofferenze varie per raggiungere (forse) i propri sogni. In questo senso il personaggio di Andrew risulta scritto in maniera ineccepibile. E’ un ragazzo timido e sensibile, molto legato al padre essendo stato abbandonato anni prima dalla madre. E’ anche l’unico della sua famiglia ad avere la passione per la musica e la scelta di un percorso di studio così rischioso lo mette in una posizione particolare con i propri parenti, palesemente poco fiduciosi che possa davvero farcela. Il ché finisce inevitabilmente per condizionare non poco il comportamento di Andrew, che più volte risulta antipatico e scontroso come un leone di fronte al domatore, quasi volesse dimostrare a tutti la sua grinta fino ad allora piuttosto nascosta. Indicativo è il modo in cui si realizza il flirt con Nicole, la ragazza che lavora al cinema dove Andrew va sempre con suo padre. Andrew dapprima la conquista forse proprio in virtù della sua indole impacciata e introversa ma poi, visti i ritmi a cui deve sottostare per non perdere il ruolo di prima donna nell’orchestra, si comporta da perfetto egoista lasciandola in tronco senza nemmeno cercare un modo adeguato per dirglielo. Tra l’altro anche in questa scena il montaggio è decisivo, poiché viene mostrata allo spettatore d’improvviso, come un fulmine a ciel sereno.
Ma il personaggio di gran lunga più memorabile di Whiplash è senza ombra di dubbio il professor Terence Fletcher, interpretato magistralmente da J.K. Simmons, anche lui Premio Oscar al miglior attore non protagonista. Il docente sembra quasi un essere sovrannaturale che tiene sotto scacco tutto il conservatorio, dai colleghi agli studenti, con la sua storia e con i suoi modi di fare diabolici, per usare un eufemismo. Ogni tanto da dietro le porte i musicisti vedono la sua sagoma e ne sono al contempo motivati e terrorizzati e quando entra in scena quasi sempre lo fa irrompendo sullo schermo, sbattendo porte o comunque ribaltando l’atmosfera precedente al suo arrivo.
Dal punto di vista dell’insegnamento, poi, più che un professore Fletcher ricorda il sergente Hartman di Full Metal Jacket. Non ha la benché minima pietà verso i suoi studenti, che tratta come bestie insultandoli e stressandoli a non finire. Con Andrew poi, da subito pare avere un rapporto particolare, forse avendone intuito un indiscutibile talento. Il fatto che lo rende un uomo terrificante agli occhi del pubblico è la sua capacità di recitare il suo ruolo, cambiando continuamente registro, ma sempre per un fine ben preciso. Così, dopo aver promosso Andrew nella sua orchestra si dimostra, spiazzando tutti, premuroso e accogliente col ragazzo, volendo sapere in breve la storia sua e della sua famiglia e dispensandogli consigli utili. Pochi minuti dopo scopriamo che tutte quelle premure non sono altro che un modo per insultare meglio il protagonista, al fine di essere certo di colpire nel segno. O ancora, prima di un concerto lo vediamo salutare la bambina di un suo amico come un qualsiasi zio affettuoso, salvo poi entrare nella sala prove e demolire letteralmente di insulti e minacce i suoi musicisti.
Colpisce inoltre la maniera ossessiva con cui il docente riesce ad entrare nell’animo e quindi poi nella vita dei suoi studenti, provocando spesso in loro ansie e stress a livello patologico. Alla lunga è inevitabile per lui pagare lo scotto delle sue angherie. Il personaggio però è molto più complesso di quanto appaia sullo schermo. Quando ormai il ragazzo non studia più con lui, infatti, lo vediamo aprirsi con Andrew, cercando di giustificare il suo metodo oppressivo con la ricerca dell’eccellenza e della genialità. La frase che meglio ci fa capire la sua indole è quella in cui dice che non esistono due parole più pericolose per un artista di “good job”, come a significare che l’unica maniera di trovare il nuovo Louis Armstrong o Charlie Parker è quello di cavare dagli studenti tutto quello che hanno dentro, a costo di devastarli a livello psicologico. E’ la musica che lo richiede. Ciò non significa che Fletcher sia un brav’uomo e anzi il finale di Whiplash, che ribalta per l’ennesima volta il suo modo di comportarsi, sancisce una volta per tutte una certa propensione alla crudeltà da parte dell’insegnante.
Il protagonista, però, appare l’unico studente in grado, a modo suo, di tener testa al dispotico maestro arrivando perfino a sfidarlo in più occasioni, nelle parole e nei fatti. Forse è proprio questo l’elemento che fa sì che Andrew nel bene e nel male colpisca Fletcher. L’impressione è che in fase di trattamento sia stato scritto che il professore è mosso da una sorta di tenerezza nei confronti del giovane batterista, verosimilmente rivedendo in lui il sé stesso di trent’anni prima. La cosa inaccettabile però è che, malgrado potrebbe essere suo figlio, Andrew pare decisamente più maturo del suo insegnante e potenzialmente in grado di arrivare ad un livello superiore rispetto al suo, che comunque è una posizione già piuttosto ambita. Ecco che allora la tenerezza e la nostalgia si trasformano in invidia e fastidio e che ritorna prepotentemente la malvagità nell’animo di Fletcher, che dà una seconda opportunità al ragazzo solo al fine di umiliarlo di fronte al pubblico e seppellire una volta per tutte la sua carriera.
E’ proprio nel finale, dunque che Andrew dimostra di che pasta è fatto, ingaggiando un duello quasi in stile western con il suo incubo, utilizzando come armi non pistole e fucili, ma bacchette, tamburi e piatti e dando vita a una delle scene musicali migliori forse di sempre.
Ancora una volta il produttore-Re Mida Jason Blum ha colpito nel segno, avendo speso per Whiplash poco più di tre milioni di dollari e incassandone globalmente la bellezza di quarantotto. Niente male per un film di un regista all’epoca alle prime armi e in generale non particolarmente mainstream. Ora a distanza di appena cinque anni è unanimemente considerato l’opera generativa di una poetica che ha fatto scalpore nel cinema d’oggi, il primo picco di un regista importante. Il bello del cinema è anche questo: si parte da poco per arrivare prima ai cuori degli appassionati e poi (con un po’ di fortuna) sui libri di storia.
Voto Autore: [usr 4]