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Il club: recensione del film di Pablo Larraín

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Il club: trama

Il club di Pablo Larraín vincitore dell’Orso d’Argento a Berlino nel 2015, ha come protagonista una piccola casa sul mare in cui vivono quattro preti e una suora. I quattro sacerdoti si trovano lì, in quanto ognuno di loro ha compiuto qualcosa per cui non può più esercitare la sua attività. Un giorno, un altro prete si unisce ai quattro e il suo arrivo dà il via ad una serie di eventi che mette in luce le ombre malcelate all’interno della piccola comunità.

Il club

Il club: recensione

Si è parlato tanto negli ultimi tempi di Pablo Larraín, che con il suo ultimo film, Spencer, presentato a Venezia 78, ha raccolto intorno sé sia approvazioni che critiche. Il club è un film che, per ciò che racconta, può senz’altro dividere molto più di un’opera come Spencer.

Da quando inizia il film, lo spettatore si ritrova immerso nelle atmosfere claustrofobiche e fredde che avvolgono questa comunità, in cui vivono i quattro preti e la suora protagonisti della pellicola. Sono protagonisti con cui non si può empatizzare, così come non si può empatizzare veramente con nessuno dei personaggi che compongono questo affresco. Nel sentire le loro storie, ci si sente sempre più immersi nell’atmosfera sgradevole che anima il film.

Il club

Larraín è attento a creare una connessione tra i personaggi e l’ambiente che abitano, con i suoi colori freddi e opprimenti, laddove anche i raggi del sole perdono il loro calore per farsi perturbanti. Il club è un film il cui il perturbante divora ogni cosa, in cui ciò che ci appare familiare finisce per rivelarsi mezzo o strumento di qualcosa di grottesco o macabro.

Con una mano spesso documentaristica, Larraín ci mostra il paesaggio e lo sfondo in maniera vicina a Chloé Zhao, per il modo in cui celebra la comunione tra la figura umana e il paesaggio, anche se opposta per l’effetto ottenuto: laddove Chloé Zhao mostra la natura nella sua “naturale” bellezza, Larraín ci mostra un ambiente che mette disagio e che, anche insieme alla fotografia pallida e all’effetto sfuocato di molte inquadrature, rafforza la posizione scomoda di chi guarda.

Il club non è solo un film sulla Chiesa e sui suoi lati oscuri, è il racconto di come i lati oscuri di una comunità finiscano sempre per venire allo scoperto, assumendo la forma di conseguenze imprevedibili e pericolose.

Il club

Ciò che compiono i personaggi di questo film è dettato dalla paura e dalla consapevolezza di non poter rimediare ai propri errori. È interessante vedere come Larraín inquadri questi personaggi, ognuno dei quali rappresenta, a modo suo, il male dell’essere umano: eppure vengono messi in scena evidenziandone la fragilità, i lati grotteschi e mostrando allo spettatore quanto ridicoli possano rivelarsi.

Il club: le ombre di una comunità

Ma in questo film c’è anche l’orrore celato all’interno di un gruppo più grande – il paese – e che esplode nel momento in cui un unico individuo diventa il capro espiatorio su cui riversare la propria rabbia. Alcune scene ricordano La zona di Rodrigo Plá , altro film che metteva a nudo gli orrori celati tra le pieghe di una comunità. Questo aspetto in Il club è appena accennato: parlarne di più avrebbe reso il finale del film più intenso e tragico.

Meritano una menzione anche le interpretazioni: i protagonisti riescono a mostrare, tramite le parole e i gesti, il profondo abisso che si cela dentro di loro. Soprattutto Antonia Zegers, che interpreta Sorella Monica, convince nel suo ruolo: i suoi silenzi e i suoi sorrisi dimessi dicono molto più delle parole e riescono a rivelare anche quelle ombre che stanno sotto la superficie del club.

PANORAMICA

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Il club è un film che ci mette difronte a personaggi disturbanti, in cui la mano di Larraín si vede in ogni scena e ci regala momenti di grande cinema.
Redazione
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