Dallo sceneggiatore di Dark, Mark O. Seng, arriva un nuovo film di origine tedesca e di produzione Netflix che ribalta e piega le convenzioni del genere di partenza. Come Dark rende propri molti stilemi della fantascienza, così Freaks – una di noi dà un taglio sociale e originale al genere supereroistico.
Negli ultimi anni, con esempi che vanno dal parodico Scott Pilgrim vs The World fino al recentissimo The Boys, serie Prime Video che proprio in questi giorni sta vedendo l’uscita della sua seconda stagione, le storie di supereroi stanno decisamente spingendo i confini della loro definizione. Freaks – una di noi, non è da meno, portando intanto il genere classico degli Stati Uniti fuori dai confini geografici, come qualche anno fa aveva fatto il nostrano Lo chiamavano Jeeg Robot, ma anche sicuramente per l’inatteso risvolto sociale.
Wendy (Cornelia Groschel) fa la cameriera in un diner e vive una vita remissiva, a testa bassa. Si fa mettere i piedi in testa da tutti: dal figlio che non vuole mangiare le verdure, alla titolare del locale per cui lavora che non vuole darle un aumento, fino ai clienti del diner e addirittura ai bulli del figlio. Questo fino a che un senzatetto non le dice che lei è come lui, e ce ne sono altri come loro. Sa che lei prende delle pillole blu, nonostante non la conosca, e la esorta a smettere. Frastornata, Wendy fa però come dice e scopre di avere dei poteri, in particolare una forza inaudita: se prima non riusciva a sollevare una cassa di lattine, ora riesce a sollevare diversi fusti di birra in una volta. La sua vita cambia in meglio: riesce a farsi giustizia da sola e a diventare più assertiva. Ma ogni storia ha bisogno di un cattivo.
Freaks – una di noi ha diversi elementi originali, che lo mettono più a raffronto con il classico omonimo di Todd Brown che con i tradizionali cinecomic. I freaks in questa storia sono come i freaks di Todd Brown: sono nati così e segregati. Non per essere guardati, però, ma bensì per essere annullati, per farli diventare invisibili, come è Wendy all’inizio del film, schiacciata e invisibile. Alla scoperta dei suoi poteri, Wendy diventa consapevole della sua vera natura e della sua vera forza. La scoperta dei poteri si configura come una vera forma di empowerment, che viene declinata in più aspetti. Quello personale, come abbiamo detto; ma anche quello femminile (uno dei primi modi in cui usa i poteri è per evitare due episodi di violenza sessuale), quello più sociale che riguarda il ceto e infine anche quello della malattia mentale.
Infatti, le autorità vedono i superpoteri come una malattia da sedare. Tutto il film può essere visto come un’allegoria di questo, trattata in modi mai semplicistici. La dottoressa Stern vuole tenere tutti i “malati” sotto una cura che non faccia mai sviluppare i loro poteri, affinchè possano condurre una vita normale. E se questo è immediatamente visto come una limitazione, addirittura come una violenza, man mano che Wendy sperimenta con i suoi poteri capisce che è vero: non è possibile condurre una vita normale con tali poteri. E lo vede soprattutto con la nascita, che lei stessa ha aiutato a compiere, del vero villain della storia, un altro “malato” che si sente eletto e superiore rispetto ai normali. Il film costruisce il dilemma morale in maniera molto intelligente e alla fine sembra arrivare a una sua risposta, che forse sta un po’ nel mezzo. I supereroi non possono condurre una vita normale insieme alle altre persone, ma perché condurre una vita normale? Il finale è sicuramente agrodolce, ma è altrettanto impossibile non vederlo come un grido di speranza e di comunità, soprattutto per chi in effetti soffre di una malattia mentale, con cui il paragone dei supereroi è evidente, ma in generale per chi viene considerato un relitto della società.
Senza parlare della critica sociale. Wendy usa i suoi poteri per fare e farsi giustizia, per reclamare un posto nella società che prima non aveva. Il villain invece è un ragazzo giovane figlio di un padre ricco, che vive perennemente nei fumetti e che soffre di un complesso di onnipotenza. Insomma, una scrittura intelligente, che non manca di momenti di humor e che è supportata da un cast in parte.
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