Walter Veltroni ritorna al cinema con un film perfettamente nelle sue corde, dopo lo sfortunato esordio nel cinema fiction dell’anno scorso con C’è tempo. Ripropone un documentario così come aveva già fatto per una cinquina di volte e realizza la prima versione cinematografica del concerto del cantautore genovese con la Premiata Forneria Marconi che ha avuto luogo a Genova nel 1979, e che non era mai stato visto in video. La locandina di Fabrizio De André & PFM – il concerto ritrovato, recita la definizione di “concerto che ha cambiato la storia della musica italiana” , e in effetti lo spettacolo di quella sera di pagine di storia, almeno dal punto di vista del cantautorato, ne ha scritte abbastanza.
Uscito nelle sale solo il 17, 18 e 19 febbraio scorsi come film evento per commemorare l’ottantesimo anniversario dalla nascita dell’autore de Il Pescatore, il nuovo film di Veltroni ha letteralmente incendiato il pubblico, classificandosi ai primissimi posti del box office nazionale, superando persino il redivivo e titolatissimo Parasite.
L’aspetto più interessante, che non a caso è anche quello più enfatizzato dal regista fin dall’inizio del film, è che nel 1979 Fabrizio De André e la PFM rappresentavano di fatto due mondi paralleli, con sonorità e pubblici a dir poco opposti. Il primo era il cantautore impegnato ma che comunque cantava, unico nella sua categoria, i disadattati, gli incompresi e i reietti della società (basta leggere a proposito i titoli di alcuni album quali Tutti morimmo a stento, Non al denaro, non all’amore né al cielo o Storia di un impiegato). La PFM invece era probabilmente il gruppo rock progressivo italiano di maggiore successo, pressoché l’unico in grado di ottenere enorme successo anche all’estero (USA, Gran Bretagna, Giappone), che amava e ricercava soprattutto la sperimentazione acustica e strumentale. Il fatto che De André e il gruppo di Mussida e Di Cioccio avessero deciso di collaborare e tenere una tournée insieme era qualcosa di difficile da immaginare e di enormemente rischioso per entrambi. Faber però, viaggiando come sempre nella sua “direzione ostinata e contraria”, accettò e affidò alla band gli arrangiamenti di tutte le sue canzoni più celebri. Il risultato, nonostante certe sommosse violente in vari palazzetti d’Italia, dal punto di vista musicale fu straordinario, tanto che ancora oggi, molte delle versioni migliori dei brani del cantautore genovese sono indissolubilmente legati al lavoro della PFM (su tutti, tra quelli ascoltabili nel docu-film, Amico fragile e Bocca di rosa).
Dal punto di vista del prodotto filmico, però, stavolta Veltroni ha impressionato decisamente meno rispetto ai suoi documentari precedenti (su tutti lo splendido Quando c’era Berlinguer). Fabrizio De André & PFM – il concerto ritrovato appare come un semplice operazione di collegamento tra vari momenti, per altro abbastanza slegati tra di loro. Per i primi quarantacinque minuti di film il pubblico assiste a varie interviste e chiacchierate su Faber che coinvolgono i principali testimoni di quel periodo (Dori Ghezzi, Mussida, Di Cioccio, Riondino e Djivas), dopodiché ha inizio il vero e proprio concerto, documento video unico dal momento che De André non voleva essere filmato dal vivo, che domina incontrastato e senza pause tutta la seconda metà del film.
Il fatto che rende la pellicola di un livello certamente inferiore rispetto ai documentari precedenti dell’ex sindaco di Roma è certamente la sua eccessiva disgiunzione tra i momenti. In particolar modo la prima parte risulta poco interessante e esageratamente artificiosa. L’idea di far sedere quattro tra i più importanti testimoni di quella tournée storica intorno al tavolino di un treno e farli commentare il protagonista e i suoi comportamenti con le solite frasi fatte e di circostanza, appare come assolutamente senza senso, e persino poco rispettosa del mito che De André continua a rappresentare anche a distanza di più di vent’anni dalla sua scomparsa. La sostanza di questi discorsi non sta nelle parole (non ci viene detto praticamente nulla di nuovo su Faber), ma non riesce nemmeno a evocare molto bene lo spirito del cantautore genovese. Un qualsiasi fan di De André è certamente andato a vedere il film e sicuramente avrà sorriso di fronte ad alcuni aneddoti raccontati da chi lo conosceva bene, ma dovendo analizzare criticamente l’opera, essa non funziona molto bene.
Parzialmente diverso è il discorso sul vero e proprio concerto ritrovato. Si percepisce ad occhio nudo la rarità delle immagini, peraltro magnificamente restaurate per l’occasione e perfette per lo schermo cinematografico. Lo sguardo della macchina da presa trasuda di verità e spontaneità, accresciute ovviamente dalla sua “clandestinità”, dal momento che De André non era al corrente del fatto che fosse in video. Dal punto di vista dell’esperienza spettacolare, dunque, Fabrizio De André & PFM – il concerto ritrovato rappresenta quanto di più vicino al concerto originale si possa vivere, con tutti gli annessi emozionali che una tale “risurrezione” dell’artista porta con sé.
Meno riuscita è invece la scelta del regista di affiancare alle immagini del concerto i testi scritti a mano da Faber, specialmente nei versi più importanti e suggestivi. Un’immagine così sincera non avrebbe dovuto essere macchiata in questo modo, anche perché di fatto l’aggiunta del testo non è per niente funzionale al racconto e alla progressione del film, ma anzi lo fa sembrare a tratti simile ad un qualsiasi video di YouTube dotato di lyrics. Insomma, alla lunga tale scelta rende normali immagini straordinarie, e questo non può che essere un errore imperdonabile, specialmente considerando il tipo di documento che abbiamo di fronte.
Da una mente certamente sensibile come quella di Veltroni era assolutamente lecito aspettarsi molto di più dal suo nuovo documentario. Detto questo occorre anche considerare il target di pubblico a cui è in primis destinata la pellicola, praticamente costituito soltanto da appassionati di De André di tutte le età. È difficile non canticchiare e non emozionarsi di fronte alle meraviglie uscite dalla penna del cantautore genovese, ma queste reazioni sono determinate appunto dalle immagini e dai suoni, non da una visione cinematografica d’insieme.
Voto Autore: [usr 2,5]