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Enter the void: il melodramma psichedelico di Gaspar Noé

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“Melodramma psichedelico” è, a pensarci bene, l’espressione che meglio definisce Enter the void, il terzo lungometraggio di Gaspar Noé, datato 2009, film che non sembra assomigliare a nient’altro nello stile se non proprio alle altre opere del regista argentino (il cui ultimo film, Climax, risale al 2018).

Fu lo stesso regista a definire così questa sua opera, la quale già dai titoli di testa ci fa capire che ci troviamo difronte ad un film fuori dal comune: proprio come il personaggio protagonista osserva il mondo alterato a causa dell’abuso di droga, così lo spettatore si ritrova immerso in una pellicola in cui tutto gli è estraneo.

Enter the void: il melodramma psichedelico di Gaspar Noé

La storia è semplice – seppur indubbiamente originale – ma bisogna giungere al finale perché il suo senso appaia evidente, affinché il cerchio sia del tutto chiuso. E solo una volta finito il film sarà chiaro il significato del titolo e, soprattutto, sarà chiaro qual è il “vuoto” a cui fa riferimento.

È una riflessione non banale quella che ci viene offerta dalla conclusione del film, soprattutto se pensiamo che molte sono le chiavi di lettura attraverso cui interpretarla. Enter the void è un film filosofico, che sembra partorito in seguito a lunghe riflessioni sulla condizione umana, sulla più profonda natura ontologica di tutti noi, che qui si risolvono in un’opera che nel giro di quasi tre ore riesce a raccontare l’intera parabola di un essere umano.

Il protagonista Oscar, interpretato da Nathaniel Brown, è il personaggio che noi seguiamo dall’inizio alla fine del film. È proprio l’originale evoluzione del suo personaggio a tracciare il sentiero percorso dalla storia del film. La narrazione avanza con l’avanzare dell’evoluzione di Oscar, che non è un’evoluzione morale, Enter the void non è una storia di formazione. Il cambiamento che affronta il personaggio è ancora più profondo ed è il centro attorno a cui ruota l’intero film.

Enter the void: il melodramma psichedelico di Gaspar Noé

È un’opera sofisticata per quanto riguarda il lavoro svolto sul punto di vista da cui è raccontata la vicenda, che sembra rifarsi a riflessioni teoriche divenute pilastro per la storia del cinema. L’indiscutibile originalità della messa in scena non si rivela mai fine a se stessa, ma ogni trovata non è che parte del mosaico generale, non è che una tappa del percorso attraverso cui Gaspar Noé ha deciso di guidarci.

La macchina da presa sale dal basso verso l’alto, ci racconta la storia da sopra le teste dei personaggi, i movimenti lenti ed ampi ci portano al di sopra delle case e delle strade e in questo modo l’universo diegetico in cui si svolgono i fatti arriva alla nostra portata. Lo spettatore arriva a possederlo, così come il personaggio protagonista, che sembra ormai poter fare tutto, poter superare ogni limite pensabile. In questo modo anche lo stesso spettatore si ritrova in una posizione più elevata rispetto a quella degli altri personaggi, ma questo solo fino al finale in cui il ciclo arriverà finalmente a conclusione e lo status quo sarà ristabilito.

Insieme a Oscar, l’altro personaggio le cui vicende ci interessano maggiormente è sua sorella Linda, interpretata da Paz de la Huerta, forse colei con cui entriamo più in empatia nel corso della vicenda. Il rapporto tra lei e Oscar mostra un amore profondo, un affetto fraterno raccontato dai gesti e dalle parole, oltre che dalle immagini, le quali a dirla tutta ci dicono anche qualcosa di più e ci instillano il dubbio su quanto in là si possa spingere questo amore. Le scene più forti riguardano proprio i flashback che ci raccontano il passato di questi due fratelli, un passato che arriva a giustificare il presente e le scelte e le reazioni di entrambi difronte a quanto accade.

Il tutto arriva allo spettatore chiaramente, in modo spontaneo, la narrazione non è mai farraginosa nel raccontarci quello che vuole, i personaggi dicono quello che basta a far intuire allo spettatore ciò che le loro parole non esplicitano. Nella prima parte si parla tanto, dalla seconda metà in poi il comparto verbale diminuisce sempre più fino al finale, in cui non restano che le pure immagini a raccontare. È il momento culmine del film, quello più simbolico, lo sguardo sulla vicenda si ritrova a fluttuare in modo sfocato su quanto lo circonda. E mentre le forme si fanno più chiare si conclude il film, senza titoli di coda, solo con due parole sullo schermo che danno un senso a quanto appena visto.

PANORAMICA

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Enter the void è un film profondamente filosofico, che nel giro di quasi tre ora riesce a parlare di numerosi temi al centro della natura umana. Girato con un colto occhio cinematografico, in maniera molto originale, questo film di Gaspar Noé racconta una storia universale in modo del tutto inaspettato.
Redazione
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