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Climax, di Gaspar Noè

Ammettiamolo, nessuno usa la telecamera come Gaspar Noè. E in Climax i titoli di testa e di coda sono tra i più belli di sempre.
Una pennellata alla Van Gogh nel cinema. Un tratto distintivo estetico chiaro e personale nel mondo dell’arte.
I dialoghi sono collage di frasi già dette e già sentite.
L’uso surreale della telecamera si sposa con battute quasi troppo reali, che però nel contesto suonano come assurde.
La luce scolpisce le forme facendole emergere dal buio, enfatizza le scene evidenziandole. Che siano al neon, a incandescenza o quelle di un proiettore, sono sempre emissioni luminose colorate, che saturano l’aria. Anche qui si avverte la lezione di certa arte del Seicento, un Caravaggio della settima arte.

La sua sceneggiatura è tutta un climax. La situazione iniziale pian piano degenera, accelera in un caos di rabbia generata dall’incomprensione tra le persone. Si libera così l’umano subconscio, aprendosi come un vaso di Pandora.
La violenza, il ballo, il sesso, le urla, sono gli strumenti che i personaggi di Noè adoperano per entrare in contatto gli uni con gli altri e per esprimere la loro più remota personalità e istinto.

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Tutto ciò si ritrova in Climax, ultimo prodotto del regista – del 2018, distribuito nel 2019 e fruibile su Amazon Prime Video – che dipinge a modo suo un fatto di cronaca del 1996.

La sceneggiatura di questo lungometraggio è stringata. Gli interpreti sono degli ottimi ballerini – Romain Guillermic, Souhelia Yacoub, Kiddy Smile, Claude Gajan Maull, Giselle Palmer, Taylor Kastle, Thea Carla Schøtt – che si improvvisano attori dopo aver visto video di bad trip reali– solo Sofia Boutella è attrice professionista. In quattro mesi hanno realizzato con il regista questo lungometraggio che ha ottenuto subito premi e riconoscimenti dalla critica.

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A dire il vero non è la sua opera più bella. Il ritmo è un impasto lento con pochi ingredienti.
Quando finisce il ballo e inizia il lungo piano sequenza il film diventa un’agonia che non vedi l’ora finisca di straziarti. Vorresti fare stop e non guardare mai più una cosa del genere. Allo stesso tempo vuoi continuare per vederne l’epilogo: ci sarà mai una fine? Ci sarà uno scioglimento o una svolta? Tu guardi.
Probabilmente l’agonia che provi è voluta e il regista vuole solo farti provare quello che stanno protagonisti, un film-sinestesia ben riuscito.

Quando lo schermo si fa nero, vuoi uscire di casa e non pensarci più. Che ti sia piaciuto o non ti sia piaciuto, continui a pensarci. Perché?
La trama non è nuova e il degenero è all’ordine del giorno in molti fatti di cronaca.

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Sarà per questa ripresa dell’alto, che ci fa guardare il mondo di Noè come fossimo a meditare su una scacchiera studiando la mossa dell’avversario? È perché, dall’alto, piombiamo poi tra le nuove Menadi danzanti seguendole senza avere il controllo della situazione? Siamo così vicini ai protagonisti ma altrettanto impossibilitati a fermarli, curarli, salvarli, come verrebbe istintivo fare.
È come se lo spettatore stesse assistendo in diretta un reality show horror.
Non possiamo scegliere il finale, non ci è mai concesso farlo, però questa volta il fato sembra sfuggirci di mano più agilmente grazie alla maestria del regista.

Non è trascurabile che Noè abbia affrontato in modo quasi documentaristico tematiche quali le droghe, la religione, il sesso, la passione e le paure, ponendole sullo stesso piano: su una pista da ballo. Infatti fin dall’inizio, ascoltando i provini, abbiamo inconsapevolmente già il canovaccio di tutto il film.
Un film rosso su bianco. E blu, il nazionalismo francese è anche un protagonista interessante e controverso.

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“Se non potessi più danzare che cosa faresti?”
“Suicidio?”

In Climax i riferimenti sono tutti nella programmatica scena iniziale con la riproduzione dei provini dei ballerini su una televisione incorniciata da libri e VHS di vari autori. Catturano la nostra attenzione forse più dei provini stessi: Suspiria,Nietzsche, L’inconveniente di essere nato di Cioran, Fritz Lang, Murnau, Possession; Salò o le 120 giornate di Sodoma, Un chien andalou di Luis Buñuel, Mon voyage en enfer; Harakiri, Zombie, Schizofrenia, Labyrinth man e altre opere sul bene, il male, il suicidio, la storia dell’occhio.

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Tutti i titoli aprono ad un mondo di richiami e suggerimenti che confermano la poetica di Gaspar Noè ascrivibile alla New French Extremity, la nuova corrente francese del cinema teorizzata da James Quandt, Jonathan Romney, John Wray e altri.
Anzi, questo film potrebbe essere il manifesto perfetto di questa Nouvelle Vague dell’orrore.

Ti sballi con i protagonisti e alla fine non ti ricordi più cosa sia successo davvero.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Un ballo sulle umane debolezze in un horror fortemente marchiato dalla regia di Gaspar Noè.
Anna Stefani
Anna Stefani
Dottoressa in Discipline letterarie e Storia dell’Arte. Amante del cinema grazie alla Nouvelle Vague e David Lynch.

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