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Cleveland Abduction, il film ispirato alla storia di Ariel Castro

Cleveland Abduction è nella classifica Netflix dei film più visti e sta sgomitando sempre di più per rimanerci in pianta stabile. Un titolo inaspettato che però sta incuriosendo molto il web, dati i fatti di cronaca ai quali si ispira. Si tratta della storia del mostro di Cleveland che, tra il 2002 e il 2013 ha rapito e segregato in casa sua tre giovani ragazze che per anni e anni hanno passato letteralmente le pene dell’inferno.

Cleveland Abduction non è un film nuovo: è del 2015 e fu distribuito dapprima sui canali televisivi americani. Tuttavia, è entrato da poco a far parte della lista di opere disponibili sulla rinomata piattaforma e sembra inoltre che la pellicola si inserisca in un novero di prodotti che porta su schermo eventi simili per mostrare i meccanismi delle menti dei serial killer. Esempio di questo impianto narrativo è Mindhunter, un altro tassello di questo catalogo che ricomprende poi anche diversi documentari.

Il mostro di Cleveland (questo il titolo italiano) è però un caso particolare: si ha a che fare con una delle pagine più buie della cronaca nera americana. Un caso delicato che in generale merita di essere dipinto in maniera altrettanto puntuale (date le emozioni in gioco). L’opinione pubblica si è mobilitata fortemente ai tempi e ha detto la sua in relazione a un evento che ha pochi eguali in fatto di efferatezza.

Cleveland Abduction – I fatti

La trama di Cleveland Abduction ricalca quasi alla perfezione la realtà degli eventi. Più che necessario quindi procedere simbioticamente in merito alla presentazione della trama e al racconto degli stessi che sembrano combaciare senza troppi discostamenti.

Ariel Castro era un portoricano immigrato, trasferitosi in America alla ricerca di un futuro migliore. Lavorava come conducente di scuolabus ma le sue performance non erano delle migliori. Si racconta di una personalità già ai limiti del preoccupante nel corso dello svolgimento del suo impiego: si addormentava durante le ore di servizio, lasciava i bambini a bordo scoperti mentre andava a comprare sigarette o altri oggetti futili.

Nel 2002 poi incontrò Michelle Knight; un’amica di suo figlio che, avvicinatasi con fiducia, finì per essere imprigionata a casa del mostro di Cleveland. Castro abusò di lei sia fisicamente che psicologicamente: la violentò più e più volte, la teneva incatenata al letto e le dava da mangiare soltanto una volta al giorno. La giovane ebbe anche un aborto durante la prigionia: il suo carceriere, infatti, la colpì ripetutamente con un manubrio da palestra per indurla con forza a rigettare il feto.

Come se non bastasse, nei due anni successivi altre due ragazze si aggiunsero alla Knight: si tratta di Gina De Jesus e Amanda Berry che sperimentarono insieme a quest’ultima la furia di Ariel Castro, abile nel non farsi scoprire dai vicini e dalla sua famiglia. La Berry ebbe anche una gravidanza durante il sequestro: Castro accettò questa volta di avere una figlia da lei e intimò alla Knight (che avrebbe dovuto assisterla durante il parto) che se la piccola non fosse sopravvissuta lei avrebbe pagato con la vita. Il regista ha risparmiato allo spettatore un dettaglio raccapricciante: la neonata smise effettivamente di respirare una volta uscita dalla pancia di Amanda ma Michelle riuscì a rianimarla. Qui la svolta; il destino infausto che le legava presto avrebbe dato loro un’opportunità di riscatto.

Cleveland Abduction

Dopo dieci interminabili anni, il mostro di Cleveland dimenticò di bloccare la porta d’ingresso che rimase socchiusa, permettendo ad Amanda di attirare l’attenzione di un vicino e di farsi soccorrere. Incredule le ragazze uscirono dal Bunker per tornare a quella che può chiamarsi una vita normale. Terminata la prigionia, tuttavia, le giovani avrebbero dovuto affrontare il processo e sfidare a viso aperto il loro carnefice, macchiatosi a questo punto di crimini imperdonabili.

Castro fu condannato a ben 957 anni di carcere: non so quel sequestro a pesare sulla sentenza ma anni e anni di angherie, colluttazioni e omicidi che fecero di lui uno dei criminali più pericolosi e altrettanto chiacchierati d’America.

La conclusione della vicenda (degna e sacrosanta) che, tuttavia, non si vede in Cleveland Abduction è la demolizione della casa degli orrori; il significato di un simile atto è da ricercarsi nella volontà, non solo di tenere lontano i curiosi, ma anche di dare una fine totale a una pagina molto pesante della cronaca nera statunitense.

La recensione

Riproducendo un evento di cronaca realmente accaduto, di Cleveland Abduction colpisce innanzitutto la grande capacità di dare ai personaggi una caratterizzazione molto credibile. È da segnalare in positivo il phisique du role di ogni figura che nella propria parte spicca per attinenza con la fisicità della controparte reale.

Raymond Cruz è perfetto nei panni del mostro di Cleveland: dona al personaggio una linea molto dura, non lasciando trasparire alcun tipo di empatia o pietà. L’indimenticabile Tuco Salamanca di Breaking Bad si cala ancora una volta alla perfezione nei panni del duro e riesce ad aggiungere addirittura un pizzico di valore in più: non è solo un folle ma un personaggio dalla dimensione psicologica complessa.

Le interpreti delle vittime sono scelte poi con cura certosina: soprattutto la prima delle tre (Michelle Knight) è anche colei che a livello di sceneggiatura appare come la protagonista dell’opera intera e impersonifica molto fedelmente l’immagine della donna segnata dalle scelte del suo passato. Alle prese con una vita difficile, sia in ambito lavorativo che affettivo, trasmette un senso di sconfitta palpabile (caratteristica che verrà sfruttata proprio da Castro per mettere in piedi il suo piano).

Da un punto di vista prettamente registico poi è palese come il prodotto sia indirizzato alla tv. Non ci sono soprese eclatanti ma domina un lento e progressivo immergersi nelle continue vessazioni che le ragazze devono subire. L’impressione che si ha è che Cleveland Abduction sia volutamente pensato in questo modo per far breccia nel cuore degli americani. Solo ora punta a una distribuzione più vasta, ma di base è un film pensato per sensibilizzare gli statunitensi (coloro che hanno concretamente testimoniato un evento simile).

Nonostante, quindi, un andare leggermente piatto, l’opera non si risparmia nel mettere su schermo la violenza gratuita di Castro. Come è stato anticipato, l’obiettivo non è né quello di intrattenere né quello di portare lo spettatore a fare una riflessione profonda. Si vogliono raccontare i fatti e dare al tutto un taglio spiccatamente psicologico (il frame iniziale con Michelle appesa fa subito intendere dove la produzione ha voluto dirigersi). Contenuti basici e anche poco approfonditi ma sicuramente dritti al punto.

Cleveland è poi lo sfondo perfetto per questo tipo di fatti. Spesso e volentieri il regista propone un’inquadratura esterna della casa di Castro per far capire allo spettatore che, mentre dentro avveniva un massacro fisico e psicologico, al di fuori la città ignara proseguiva la sua esistenza con ignavia e passività. Cleveland è considerata come la città più brutta del Nord America; “The mistake on the lake” è il suo soprannome. Ma il film ci dice in finale che sono piuttosto le persone a rendere un posto più o meno bello. Non conta l’architettura, né la bellezza estetica del posto. Fino a che figure come Ariel Castro abiteranno questo pianeta, queste saranno in rado di gettare le tenebre anche su tutti i paradisi terrestri che conosciamo.

Cleveland Abduction

PANORAMICA

Regia
Soggetto e sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Cleveland Abduction porta sullo schermo un evento di cronaca nera americana dai contorni oscuri. Ariel Castro è considerato uno dei maniaci più sadici della storia. Il film, oltre a far luce sulla sua follia psicologica, celebra la resistenza delle sue vittime. Un film pensato per la televisione che costituisce una piacevole sorpresa per gli abbonati Netflix. Non un film leggero, ma un film giusto. Per affrontare la realtà bisogna conoscerla, bella o brutta che sia.
Federico Favale
Federico Favale
Anche da piccolo non andavo mai a letto presto. Troppi film a tenermi sveglio. Più guardavo più dicevo a me stesso: "ok, la vita non è un film ma se non guardassi film non capirei nulla della vita".

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