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Mindhunter

Senza dubbio il nome John E.Douglas non vi dirà nulla, ma se nominiamo Ted Bundy, Charles Manson, John Wayne Gacy ed Edmud Kemper, la vostra mente correrà subito a fatti agghiaccianti successi tra gli anni sessanta e settanta. La mente umana è più propensa a ricordare fatti negativi, scioccanti, raccapriccianti, molto probabilmente è lo stesso motivo per cui la gente si ferma a guardare gli incidenti, come afferma il professor Eric Wilson, autore del libro Everyone Loves A Train Wreck “…fa bene alla nostra salute mentale. […] Ho chiesto a molti esperti del campo e mi sono persuaso che se ci avviciniamo al nostro lato oscuro in modo giusto, questo non può farci che bene.” Sembra molto cinico come risultato, possiamo riassumerlo in un “meglio a te che a me” e scopre due nervi molto sensibili del genere umano, lo spirito di sopravvivenza e il lato oscuro che è in ognuno di noi.
John E. Douglas è stato uno dei primi criminal profiler e “Mindhunter” è la sua storia romanzata. Ne

Mindhunter
Holden Ford e John E. Douglas

In “Mindhunter” il nome del protagonista è Holden Ford interpretato da Jonathan Groff, affiancato da Bill Tench (Holt McCallany) e Wendy Carr (Anna Torv, già protagonista della serie TV Fringe). Negli anni sessanta non esisteva uno studio sui criminali, mai nessuno aveva provato a “catalogare” gli assassini per riuscire a capire come pensavano, come agivano e quali erano tutti i meccanismi che li portavano ad uccidere, stuprare, mutilare e in alcuni casi anche divorare le loro vittime. Questa è la storia dell’uomo che ha permesso che tutto questo fosse possibile. La continua ricerca ha fatto si che si potesse “capire” come un essere umano possa compiere determinate nefandezze.

Mindhunter
Studiando i casi

Come si può evincere dai primi episodi, alla radice di tutto c’è sempre la famiglia. Si sottolinea l’importanza della figura materna e paterna negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Questo è senza dubbio un tema che non ha tempo, una problematica che esiste dall’inizio dei tempi e Mindhunter ce la serve su un piatto d’argento. È molto interessante vedere lo sviluppo della storia, tra l’altro scritta molto bene da Joe Penhall. Una particolarità di cui lo spettatore non fa molta attenzione (e questo è dovuto alla bravura di chi lo ha scritto) è che le cose che fanno più paura sono quelle che non si vedono, per tutto il tempo aleggia un senso di “inadeguatezza” nei protagonisti, ma in realtà siamo noi che trasportiamo la nostra di inadeguatezza su di loro. “Mindhunter” è incentrato sui serial killer, senza mai farci vedere un omicidio, ma solo le conseguenze che questi portano e sono devastanti. Come riescono a vivere con un peso così imponente nella loro coscienza? Semplicemente perché sono persone “deviate”.

Uno dei due detective ha un figlio adottivo che non parla mai con il padre, inizialmente lo spettatore lo catalogherà come bambino con problemi di comunicazione dati dal suo nuovo stato familiare, ma presto si scoprirà qualcosa di molto più grave. Questo particolare ci vuol far capire che nessuno è immune da determinate meccaniche e chiunque potrebbe incontrare sulla sua strada “il male”.
Il produttore è David Fincher, regista di Fight Club, Zodiac, Seven e delle prime due puntate di House of cards, quindi è uno che dal “male” riesce a tirare fuori capolavori assoluti e dovremmo ringraziarlo per “Mindhunter” che senza dubbio lascerà il segno. Lui stesso ha dichiarato che ci saranno almeno 5 stagioni e visto che Mindhunter 2 risulta migliore della prima, non ci resta che attendere con ansia il seguito di questo viaggio nella mente umana.

Mindhunter
Charles Manson

Nessuno è immune alla follia, nessuno è immune alle perversioni, nessuno è immune all’abisso, perché come diceva Nietzsche, “Quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro”.

Redazione
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