Dopo la presentazione in concorso all’ultimo Festival di Cannes, è arrivato nelle sale italiane Asteroid City di Wes Anderson. il regista texano sta vivendo un periodo particolarmente prolifico: alla Mostra di Venezia ha, infatti, presentato il suo ultimo lavoro, il cortometraggio The Wonderful story of Henry Sugar, tratto dal romanzo Roald Dahl.
Asteroid City è disponibile al cinema dal giorno 28 settembre ed è distribuito nel nostro paese da Universal Pictures, la produzione è a cura di American Empirical Pictures e Indian Paintbrush, ossia lo stesso Anderson.
Asteroid City, il cast
Anche in Asteroid City – come in gran parte dei film del regista candidato agli Oscar – il cast è stellare. Protagonisti assoluti sono Jason Schwartzman e Scarlett Johansson, accompagnati da Tom Hanks, Edward Norton, Adrien Brody. Ma troviamo in scena anche Tilda Swinton, Margot Robbie, Steve Carell, Bryan Cranston, Maya Hawke e Jeffrey Wright. Si ritagliano un ruolo anche Liev Schreiber, Matt Dillon, Willem Defoe e Jeff Goldblum.
Asteroid City, la trama
Anderson ricorre allo schema della storia-nella-storia per la narrazione di Asteroid City. La vicenda, ambientata negli anni ’50 è inizialmente raccontata da un presentatore televisivo (Bryan Cranston) che ci introduce al personaggio di Conrad Earp (Edward Norton), sceneggiatore alle prese con la scrittura di quella che sarà la storia principale del film stesso. In questa storia, Augie Steenbeck (Jason Schwartzman) è il padre di quattro figli che non ha ancora detto ai figli della morte della madre. Questi si stanno recando proprio ad Asteroid City per una convention sugli astri, qui incontreranno l’attrice Midge Campbell (Scarlett Johansson) arrivata nella città con la figlia.
Costretto a fermarsi più del previsto in città, Augie si trova costretto a chiamare in soccorso il suocero Stanley (Tom Hanks), col quale vive un rapporto conflittuale. Ma sarà l’improvvisa comparsa di un UFO a sconvolgere la storia e a costringere i protagonisti ad una quarantena imposta dall’esercito degli Stati Uniti.
Asteroid City, la recensione
Accolto in maniera positiva dal pubblico al Festival di Cannes, Asteroid City è il film probabilmente più riuscito degli ultimi anni di Anderson. Generalmente, parlando del regista di Grand Budapest Hotel, si sottolinea la ricorsività delle sue scelte formali, che anche in questo film sono ben presenti. Non mancano, quindi, le simmetrie perfette delle inquadrature, la camera fissa a sezionare lo schermo, i personaggi che rivolgono verso la macchina stessa lo sguardo. Sono elementi che caratterizzano la filmografia di Anderson. I suoi fans continuano ad esserne attratti e i suoi detrattori a vedere in questo una ripetitività fine a sé stessa. Ma se questa critica poteva risultare vera in altre occasioni, con Asteroid City sembra che il regista sia tornato ad avere qualcosa da dire e da raccontare nelle sue storie.
La trama principale è credibile ed accompagnata da interpretazioni valide offerte dai protagonisti, ma soprattutto non rinuncia ad un certo valore emotivo che nelle ultime fatiche dell’autore sembrava smarrito. A voler individuare un difetto in Asteroid City si potrebbe forse obiettare che la scelta di Anderson di avere dei cast sempre così corposi, pieni certamente di grandi interpreti, non rende giustizia agli attori stessi. Questi hanno evidentemente fiducia nel lavoro del regista ma risultano talvolta ingabbiati nei loro ruoli. Non riesce sempre il compito di rendere loro giustizia e l’effetto macchietta è sempre dietro l’angolo. Se alcune interpretazioni, anche ridotte nel minutaggio, riescono ad aggiungere qualcosa alla storia, come per esempio la brevissima scena di Margot Robbie, per altre questo discorso non vale.
L’estetismo unico del cinema andersoniano
Sembra ormai chiaro che l’aspetto estetico sia preminente nella filmografia di Wes Anderson. In questo senso nessuno può negare al regista la sua riconoscibilità, un elemento non da poco nel cinema contemporaneo. Sono pochi i registi che possono vantare lo stesso merito: basta un solo fotogramma delle opere di Anderson per sapere che si tratta di lui. La simmetria ricercata in maniera quasi ossessiva, i colori pastello onnipresenti, la rottura della quarta parete da parte degli attori. Elementi che, come già detto, non mancano in Asteroid City.
Ma se la riconoscibilità è un fatto, non per tutti rappresenta un merito. C’è, infatti, chi ritiene che la ricorsività di questi elementi renda i film di Anderson tutti più o meno identici tra loro. Ma soprattutto c’è chi afferma che in nome di questi aspetti formali, il regista metta da parte il piano sostanziale dei suoi film. Se la prima critica può sembrare debole, la seconda merita forse un approfondimento. Il cinema vive eternamente questo dibattito tra la prevalenza della forma o della sostanza e quale sia al servizio dell’altra. Nel cinema del regista texano gli elementi formali hanno spesso contribuito in maniera decisa alla creazione dei suoi mondi. Cionondimeno, è accaduto che la reiterazione di questi aspetti superasse del tutto l’intenzione tematica stessa. Pericolo che, comunque, è stato evitato in Asteroid City.