Sono passati più di 40 anni dalla nascita di Alien, il Capolavoro diretto da Ridley Scott, che per primo, e meglio di ogni altro, ha ibridato la fantascienza con l’horror della contaminazione, creando un genere di successo e lanciando la diva Sigourney Weaver.
Secondo lungometraggio di Ridley Scott (dopo “I duellanti“), Alien fu salutato non solo come un capolavoro dagli estimatori della fantascienza e dell’horror, ma anche come l’innovatore che si attendeva da tempo, capace di resuscitare paure risepolte nell’inconscio da troppe avventure spaziali in cerca di nemici. Senza immaginare, nel 1979, che avrebbe dato origine ad uno dei serial cinematografici più originali e affascinanti della seconda metà del secolo (“Aliens – Scontro finale” di James Cameron, “Alien 3” di David Fincher, “Alien La clonazione” di Jean Pierre Jeunet e recentemente Alien: Romulus di Fede Alvarez).
Alien – La storia della nascita di un Capolavoro
Fu lo sceneggiatore Dan O’Bannon, nel 1975, a incontrare in Francia gli artisti/illustratori Jean “Moebius” Giraud, Chris Foss e Hans Rudi Giger, per mettere appunto visivamente il progetto di Alien.
In origine il film doveva essere diretto da Walter Hill, che poi lo passò a Ridley Scott. Hill, insieme a David Giler, intervenne nelle fasi iniziali della sceneggiatura scritta da Dan O’Bannon, ispirandosi a un B-movie degli anni 50 (“Il mostro dell’astronave” di Edward L. Cahn) e apportando significative modifiche (come l’equipaggio del Nostromo, passato da sette uomini a cinque più due donne, o il personaggio di Ash trasformato in robot, o ancora la presenza del gatto) confermate da Scott ma, a film finito, negate da O’Bannon.
Tra i suggerimenti di Ridley Scott, c’è l’ampliamento del Nostromo, il cui ponte fu concepito pensando all’interno di un bombardiere strategico B-52. A questo si aggiunsero i disegni del pittore Hans Rudi Giger che plasmò visivamento l’alieno, creando la razza degli Xenomorfi. Macchine perfette (“un organismo perfetto” come dice Ash), nate per uccidere, che hanno sviluppato una difesa estrema contro i nemici.
Il sangue degli Xenomorfi è infatti un acido concentrato capace di dissolvere qualsiasi cosa. Giger crea l’arma perfetta, letale come nessuno fino ad allora nella storia del Cinema, e con fortissime allusioni sessuali.
Una creatura talmente unica nel suo “essere” mostro, da scatenare paure, non solo visive, ma soprattutto psicologiche. Come se il Nostromo fosse una casa qualunque, abitata da bambini terrorizzati da l’uomo nero.
Alien – Trama
Alien racconta una storia piuttosto semplice: di ritorno sulla Terra, dopo una missione, un gruppo di astronauti, di sosta su un pianeta sconosciuto per una richiesta di soccorso (che si dimostrerà falsa), si accorge che un essere misterioso è penetrato nel loro cargo spaziale, Il Nostromo, parassitando il corpo di uno di loro.
La creatura, raggiunto lo stadio adulto, semina panico, terrore e morte dei 7 membri dell’equipaggio: Dennis Parker (Yaphet Kotto), Joan Lambert (Veronica Cartwright), Ash (Ian Holm), capitano Arthur Dallas (Tom Skerritt), Samuel Brett (Harry Dean Stanton), Thomas Kane (John Hurt). Si salverà soltanto l’indomita Ellen Ripley (Sigourney Weaver), ufficiale in seconda.
Alien – Recensione
Proprio Ellen Ripley è il primo elemento di novità del film: eroina a tutti gli effetti, ribalta la rigida tradizione del genere, che riservava ruoli simili solo a personaggi maschili. Ma il terreno di genere su cui gioca Ridley Scott è sempre “contaminato”: ed ecco la seconda innovazione di Alien che, mescolando abilmente fantascienza e horror, fonde il classico viaggio di gruppo nello spazio con la dimensione più intima dell’esplorazione personale della paura.
E la paura, incarnata in una creatura mostruosa indefinita carica di allusioni sessuali, questa volta non può trovare la scorciatoia del capro espiatorio o la catarsi dell’identificazione sicura: scava nell’inconscio profondo dello spettatore, alimentando in ciascuno, con modalità differente a seconda della sensibilità individuale, i propri fantasmi personali.
In attesa del colpo di coda
Il meccanismo funziona alla perfezione, anche perché l’intero film è sprofondato in un’atmosfera claustrofobica che costringe, chi guarda, a guardarsi con disagio dentro. Uno dei punti di forza di Alien è il suo ritmo. Ci vuole tempo e si aspetta con angoscia l’azione che, per tutto il primo tempo, non arriva. Si attende, come nella migliore tradizione del “giallo“, il colpo di “coda” che arriva come un flash, per poi ricalarsi nel profilo ombroso del Nostromo.
Dopo che un membro dell’equipaggio è stato parassitato, e portato sul Nostromo per essere curato, si assiste ad una delle scene più rivoltanti, e violente, del Cinema. L’embrione, a forma di fallo, da qui le allusioni sessuali e non solo (vedi uova e bocca del parassita che rimandano alla forma della vagina), si fa strada squarciando letteralmente la gabbia toracica del malcapitato.
Il gruppo assiste inorridito e paralizzato alla nascita dell’alieno, come se il mostro che abita in ognuno di noi, d’improvvis, avesse assunto una forma ben definita. Da lì ci si immerge nell’attesa e nelle false piste, abilmente scandite dalle note della colonna sonora di Jerry Goldsmith. Immersi in un tunnel, dove l’oscurità la fa da padrone, dove è impossibile scorgere un bagliore di luce. Non c’è uscita, ma solo una strada a senso unico, che Ridley Scott traccia inesorabile, senza staccare mai la presa dalla gola dello spettatore.
Conclusioni
Alien trasuda l’angoscia dell’ignoto, e dell’impotenza di fronte al mostro che cresce senza essere mai visto. O solo per pochi istanti, per poi scomparire tra vapori, gocce d’acqua che cadenzano il ritmo e il grasso nero pece che pervade ogni tubo della nave. Fino allo scontro finale con l’unica sopravvissuta: Ripley.
No! C’è anche Jones: il gatto! E qui i rimandi alle opere di Philip K. Dick sono d’obbligo.
Un’Odissea impervia e affascinante, l’Odissea che a tutti gli effetti, speciali o meno, apre gli incerti e angoscianti anni Ottanta, lasciando in eredità un film Capolavoro che verrà, prima decodificato, poi studiato ed infine seguito dalle future generazioni.