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Non ci resta che piangere

Cosa succede se due geni della comicità italiana si uniscono nella realizzazione di un film? La risposta migliore la si può ottenere guardando Non ci resta che piangere, il maggiore incasso italiano della stagione 1984-85 che vede impegnati come registi e protagonisti due mostri sacri della commedia come Roberto Benigni e Massimo Troisi.

La trama è surreale: Saverio, maestro elementare frustrato e Mario, bidello napoletano, dopo aver imboccato una strada di campagna per evitare l’attesa ad un passaggio a livello, si ritrovano misteriosamente catapultati nel 1492, presso il borgo di Frittole. I due, spaventati e confusi all’inizio, cominciano ad abituarsi alla vita medievale, anche grazie all’ospitalità del macellaio Vitellozzo e di sua madre. Mario millanta di essere un musicista per fare colpo sulla ricca quindicenne Pia (una giovanissima Amanda Sandrelli), mentre Saverio ha in testa una sola missione: andare a Palos, in Spagna, per fermare Colombo e non permettergli di scoprire l’America, la patria del fidanzato di sua sorella, che, lasciandola, l’ha fatta soffrire moltissimo. Dopo mille peripezie e altrettante gag che rimarranno per sempre nella memoria collettiva, i due non riusciranno nel loro intento.

Non ci resta che piangere

Il film, nonostante l’entusiasmante successo al botteghino, non tocca mai il livello a cui i due mattatori ci hanno abituato nelle loro esperienze cinematografiche precedenti e successive. Tuttavia si configura come un prodotto molto interessante, soprattutto a causa della sua difficile classificazione. Il fatto che i due protagonisti non siano altrettanto capaci dietro alla macchina da presa non influisce per nulla sul risultato finale della pellicola. E’ uno di quei film in cui alla fine la regia non conta molto, soprattutto perché è quasi interamente giocato sulle abilità attoriali dei due comici e sull’improvvisazione. La sceneggiatura stessa, almeno nella versione cinematografica da 107 minuti, contrapposta a quella televisiva da 145, lascia molte questioni in sospeso e non è delle più precise (surreale è il modo in cui si sviluppa la figura dell’amazzone spagnola), ma anche in questo caso l’irresistibile comicità della stragrande maggioranza delle vicende narrate ovvia a tale mancanza. 

Non ci resta che piangere

L’affiatamento del duo Benigni-Troisi è innegabile e irresistibile. Il primo è il classico uomo buono ma insoddisfatto, che molto spesso è costretto a fare, con l’amico, la parte del cinico e del severo. Il secondo è la classica maschera del comico napoletano, un sempliciotto sensibile e infantile, che però nella sua ingenuità spesso riesce a farla sotto il naso a Saverio. In molte scene sembra di vedere una versione italiana e particolarmente riuscita di Stanlio e Ollio. I due mantengono alta la soglia del divertimento per tutto il corso del film, cosa assolutamente non facile né scontata, e ci riescono grazie ad alcune scenette memorabili. La lettera a Savonarola, omaggio a Totò nel film Totò, Peppino e la…malafemmina, la scena della dogana, l’incontro con Leonardo Da Vinci a cui i due spiegano che cosa sia il treno e le regole della Scopa, e le vanterie di Mario, che dice a Pia di aver composto hit come Yesterday, Nel blu dipinto di blu e l’inno di Mameli, hanno reso Non ci resta che piangere un cult indimenticabile oltre che una semplice commedia divertente.

Non ci resta che piangere

La cosa che rende questo film una pietra miliare della commedia italiana è soprattutto la premessa e, più in generale, il soggetto. Si può dire che in un certo senso Benigni e Troisi abbiano realizzato con Non ci resta che piangere il primo film high concept italiano. Tale definizione è diventata molto importante nel nostro paese soprattutto negli ultimi anni per analizzare, ad esempio, le opere di straordinario successo del regista Paolo Genovese, su tutte Perfetti Sconosciuti e The Place. Con il termine high concept si intende un film che fa leva principalmente su una premessa originale, mai affrontata prima, che viene sfruttata come principio generatore di tutta la pellicola, sia dal punto di vista della scrittura, sia da quello narrativo. Lo stesso Genovese ha affermato che film di questo tipo nascono spesso per la necessità di ridurre il più possibile il budget, ma che, come nel caso del suo The Place, il loro sviluppo può anche essere determinato semplicemente dalla scelta del regista. E’ proprio quest’ultimo il caso del film di Benigni e Troisi. La genialità delle gag che ci accompagnano per tutto il corso della pellicola è possibile e spiegabile solo comprendendo e apprezzando la genialità della premessa da cui esse derivano, e cioè il viaggio del tempo che, loro malgrado, misteriosamente colpisce i due amici. Sono poche le commedie che si possono definire altrettanto intelligenti dal punto di vista concettuale, almeno restando nei nostri confini. Uno dei pochi termini di paragone lo si può riscontrare con il cinema di Woody Allen per la freschezza della trama e, di conseguenza, del suo sviluppo.

Non ci resta che piangere

Spesso il cinema italiano fa leva sulla comicità per incassare molto, basta vedere i maggiori incassi nostrani ogni anno, in cui quasi sempre vincono i cinepanettoni. Tuttavia Non ci resta che piangere rappresenta un tipo di film comico di un livello decisamente superiore, assolutamente incomparabile con le battute facili e i doppi sensi pecorecci che i film di Natale sfruttano fino alla nausea. Dimostra come anche la professione del giullare sia estremamente seria, e non debba esaurirsi nella superficialità. L’ambientazione quasi fiabesca, i toni vagamente malinconici, la costruzione stessa del film (a partire dal titolo, tratto da una lettera di Francesco Petrarca), rendono questo film una vera opera d’arte, cosa che non si può assolutamente dire del 90% delle commedie di oggi, nonostante i mezzi di produzione attuali siano simili, quando non superiori a quelli del film del 1984. I cinepanettoni insomma sono come un normalissimo circo, mentre le commedie come Non ci resta che piangere sono paragonabili al Cirque du Soleil per la genialità e la portata storica che incarnano per milioni di spettatori. Anche la scelta di lasciare il finale aperto, con la visione illusoria di un treno a vapore che fa credere a Saverio e Mario di essere ritornati nel ‘900, ma che in realtà è stato costruito dal geniale Leonardo, va in questa direzione e si accorda perfettamente con i toni che il film ha mantenuto per tutto il suo corso.

Insomma, Non ci resta che piangere è una di quelle pellicole che ha reso orgoglioso il cinema e il pubblico italiano anche a livello internazionale. E’ uno di quei titoli che ha contribuito largamente a diffondere il mito dell’esilarante humour della commedia nostrana. D’altra parte vedendo le firme autoritarie di Benigni e Troisi difficilmente ci si potrebbe aspettare un flop.

Voto Autore: [usr 3,5]

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