L’ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich è probabilmente il film capolavoro del regista americano. In un paesino del Texas, dove sembra non accadere nulla da tempo, in realtà si consuma la vita più vera e cruda di un’America di provincia, lontana dai riflettori e dagli occhi indiscreti. Realizzato nel 1971, il secondo lungometraggio di Bogdanovich, dopo Bersagli del 1968, segna un confine netto con il cinema classico americano, una parabola malinconica sul passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta. Con tutto il mondo fuori che cambia con il crescere dei personaggi. Una riflessione commovente sulla fine di una generazione, che vede davanti ai suoi occhi il trasformarsi della società americana.
Peter Bogdanovich è figlio della scuola del padre del cinema indipendente americano, Roger Corman. Senza il suo spirito anarchico, anti-industria, non avremmo visto quel cinema pop a basso costo lontano dagli schemi prestabilisti degli Studios americani. Bogdanovich nasce cinematograficamente in quel mondo lì, spianando la strada a tutti i registi indipendenti usciti fuori dagli anni ’60 in poi. Parliamo dei grandi nomi della New Hollywood, tra cui Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Robert Altman, Joe Dante, Michael Cimino e tanti altri ancora.
L’ultimo spettacolo, infatti, tra le tante chiavi di lettura che la pellicola offre, è anche un omaggio al cinema degli anni Trenta e Quaranta, di cui Bogdanovich era grande estimatore. In tutta la sua carriera è riuscito nella difficile commistione tra la commedia brillante e il dramma quotidiano, messe in scena con un stile di regia sobrio ed essenziale, e con un grande attenzione all’espressione dei suoi attori.
L’ultimo spettacolo – La trama
Siamo ad Anarene, nel Texas, 1951. La quotidianità sempre uguale a se stessa sembra scandire una vita in cui non accade mai nulla di importante, in cui gli eventi si susseguono senza troppa differenza l’uno dall’altro. Uno degli argomenti di conversazione più adoperati dalla comunità sono i risultati (perdenti) della squadra di football del paese, una delle poche attrazioni per i ragazzi di Anarene.
La gioventù rappresenta l’avvenire, anche se delle loro questioni esistenziali pare di non accorgersene nessuno. Seguiamo le vicende adolescenziali di tre ragazzi: un timido e ingenuo Sonny (Tymothy Bottoms), un esuberante e incontenibile Duane (Jeff Bridges) e, infine, una cinica e intelligente Jacy (Cybill Shepherd).
Sonny, incapace di prendere per mano gli eventi della sua vita, viene lasciato da un’insoddisfatta Charlene, perché stanca dei comportamenti passivi e arrendevoli del ragazzo. Così Sonny si troverà ad essere corteggiato da Ruth, non senza paura delle proprie passioni, (una meravigliosa Cloris Leachman, vincitrice dell’Oscar) infelice moglie del suo coach di educazione fisica. Tra i due nascerà una relazione impacciata ma affettuoso, giocata sempre sul filo del rasoio per non rischiare di essere scoperti.
Duane, invece, soltanto apparentemente con il suo carattere più impulsivo, riuscirà ad affrontare le noie e i problemi sentimentali con più forza, anche a costo di reazioni spropositate. Il suo amore per Jacy lo rende cieco di fronte alle reali intenzioni della ragazza che, intenzionata a non ripetere più gli errori della madre fatti in gioventù, finisce per cadere nelle trappole di uomini che non l’hanno a cuore realmente.
Tra partite a biliardo, cheeseburger, e film proiettati nell’unico cinema del paese, gli adolescenti di Anarene trascorrono le loro solite giornate in compagnia, cercando di sconfiggere la noia e una comunità chiacchierona e impicciona, sorda ai problemi di formazione che attanagliano le vite dei ragazzi.
L’ultimo spettacolo – La recensione
Sullo sfondo di una nazione che sta cambiando faccia, (così come il mondo che appare totalmente stravolto nel secondo dopoguerra), Bogdanovich racconta un equilibrio sociale che sta lentamente lasciando il posto ad una società sempre più industriale e meno agricola. Anche il cinema, non sarà più lo stesso: i temi stanno cambiando, le esigenze della popolazione si trasformano e così pure le storie che vengono raccontate sul grande schermo.
L’ultimo spettacolo fa proprio questo, mette in mostra i cambiamenti epocali che l’America sta attraversando. Il film, non a caso, si svolge nel 1951, l’anno del Fair Deal del presidente Truman, è l’anno del conflitto in Corea, le truppe nordcoreane invadono Seul, la capitale della Corea del Sud. La Guerra Fredda caratterizza l’ordine bipolare sotto cui volgere lo sguardo e, di conseguenza, la protezione dei clientes europei.
Il governo americano accelera la corsa agli armamenti, mentre molti americani si abituano ai nuovi consumi (specialmente la televisione, che sarà causa del fallimento del cinema Royal); tutti questi cambiamenti, Bogdanovich sceglie di raccontarli da dentro, facendoli risuonare come un eco lontano di cui si percepisce il sibilo e, soprattutto, fanno da substrato agli eventi di “provincia” che sembrano essere apparentemente insignificanti.
Non per Duane, per esempio, che sceglie di arruolarsi e di partire per la Corea, salutando definitivamente Anarene e la sua vita di sempre. Ma per chi parte, c’è chi resta a fare i conti con la propria vita e con un luogo che ha poco da offrire, se non la solita sala da biliardo e la tavola calda.
Il cinema, la fabbrica dei sogni
L’ultimo spettacolo è un atto di amore verso il cinema dei padri, quello della vecchia Hollywood. Quale ? Quello dei grandi nomi del cinema americano, da John Ford a Robert Aldrich, Alfred Hitchcock, Fritz Lang, Howard Hawks e, l’immancabile, Orson Welles, con cui ha scritto anche un lungo libro-intervista dal titolo Il cinema secondo Orson Welles (per gli amanti del cinema è una perla da leggere assolutamente).
È anche un racconto verso un mondo che non c’è più, e che si prepara a scomparire dietro gli ultimi progressi che stanno mutando la sfera antropologica degli americani. È un modo nostalgico di guardarsi indietro, forse anche con la paura di fare un salto nel vuoto, verso un’America che si prepara ad essere la prima potenza del mondo. Con i suoi onori sì, ma anche con i suoi oneri, e con tutti i prezzi da pagare. L’anno di uscita nelle sale è anche l’anno dei Pentagon Papers, i documenti top-secret che rivelavano anni di fallimenti e di scandali dietro la campagna sanguinosa nel Vietnam.
in tutto questo, con una pellicola amara e nostalgica nello stesso tempo, Bogdanovich riesce con L’ultimo spettacolo ad indurre nello spettatore quella sensazione di amore e di calore che solo il cinema, intesa come “fabbrica dei sogni”, è in grado di suscitare. E non è poco.