HomeRecensioni FilmLa lingua del santo: Carlo Mazzacurati tra commedia e dramma

La lingua del santo: Carlo Mazzacurati tra commedia e dramma

La lingua del santo di Carlo Mazzacurati è un film del 2000, una commedia dal sapore amore che dipinge la vita tragicomica di due uomini emarginati. Interpretata da una coppia unica del cinema italiano, il duo Antonio Albanese e Fabrizio Bentivoglio sono perfetti nei panni di due outsider della provincia padovana. Dei disperati in fuga, prima dai loro problemi, e poi anche dalla polizia per un furto oltre ogni possibile aspettativa.

Mazzacurati con La lingua del santo realizza una commedia divertente, con protagonisti due vagabondi della notte che per disperazione si mettono a rubare per fame, per pochi spiccioli. Quei pochi che gli permettono di campare alla giornata; un ritratto amaro e malinconico sul fallimento, sulle strade della vita che per vari motivi ci fanno cadere in un oblio senza luce. In cui sia Albanese che Bentivoglio, restituiscono con grande dignità e bravura.

Dopo la visione del film, è impossibile non memorizzare nella testa l’immagine scanzonata di questi due ladruncoli vestito uno, Bentivoglio, in un completo grigio abbondante con cravatta gialla a pois, e l’altro, Albanese, in tuta nera a righe rosse, canottiera verde e con sé l’inseparabile borsone da allenamento della Cus. Padova. Contenitore prezioso da refurtiva, che sia un cosciotto d’agnello, un computer o alla meglio, la reliquia di un santo.

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La lingua del santo – Trama

La lingua del Santo

Willy (Fabrizio Bentivoglio) è un ex-commerciante in crisi, dopo l’abbandono della moglie, l’unica donna che egli abbia mai amato nella sua vita, riversa in una condizione di profonda tristezza e infelicità. Antonio (Antonio Albanese) è un giocatore di rugby ormai avanti con l’età. I due, entrambi avviliti e ridotti sul lastrico, si ritrovano a condividere insieme piccoli furtarelli per sopravvivere alla giornata e, soprattutto, alla fame.

La svolta avviene nel corso di una notte: durante un colpo (lo scassinamento di una di quelle casse di legno per le offerte in chiesa), Willy e Antonio, nel giorno della festa patronale, si ritrovano nella Basilica padovana davanti alla reliquia di Sant’Antonio. Tutta gemme e pietre preziose, il reliquiario possiede anche la famosa lingua di S. Antonio, il santo più amato di Padova e del Triveneto. E anche profonde radici che lo legano alle comunità Rom e alcuni popoli del Portogallo.

Antonio non resiste alla tentazione: in uno slancio di fantasia e, forse, disperazione, ruba la reliquia. Da qui, un piano inclinato verso una fuga rocambolesca. Da Padova a Venezia in bicicletta per sfuggire all’arresto. Sullo sfondo, l’amore di Willy per sua moglie Patrizia (Isabella Ferrari), che sembra intrappolata nelle grinfie furbe e lascive del nuovo compagno Ronchitelli, interpretato da un bravissimo Ivano Marescotti.

La lingua del santo – Recensione

LA LINGUA DEL SANTO

La lingua del santo è un esempio riuscitissimo di commedia che mescola dramma e problemi sociali. Dove la storia funge da tramite per denunciare una precarietà diffusa, una società che non contempla il fallimento, anzi, ti spinge ancora più a fondo di dove di trovi. È chiaro che i due protagonisti sono degli emarginati a tutti gli effetti, che rifiutano le regole della società civile, scegliendo di “procurarsi” da soli il necessario per sopravvivere. Perché di questo si tratta: sopravvivenza.

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Specialmente dalla fame che incombe, come esclama ad un certo punto del film il personaggio di Antonio, definendosi senza mezzi termini “uno che c’ha fame!”. Carlo Mazzacurati, insieme a Franco Bernini, Umberto Contarello e Marco Pettenello scrive abilmente questo on the road disperato, tra la laguna veneta e i Colli Euganei. Anche la fotografia e il montaggio, rispettivamente di Alessandro Pesci e Paolo Cottignola, dialogano in armonia con un ritmo serrato e moderno. Decisamente più ambizioso e all’avanguardia rispetto alle classiche commedie italiane di quegli anni. Una menzione speciale per le meravigliose musiche di Ivano Fossati.

Nella Lingua del santo si percepisce un taglio autoriale evidente, che rende il film uno spaccato preciso e crudo di una certa realtà italiana. Che nasconde un’umanità troppo silenziosa e bonaria per rialzarsi, ma che è capace, tuttavia, di colpi di testa un po’ folli, come rubare la reliquia di un santo. Prendendosi, per una volta, una rivincita nella propria vita.

Carlo Mazzacurati e la lezione della commedia all’italiana

Mazzacurati prende la lezione della commedia all’italiana, quella dei vari Risi, Monicelli, Germi, Loy, Scola, Comencini e tanti altri, e la ricompone in un contesto decisamente più attuale. Che esige, tuttavia, di essere raccontato e di essere messo in scena. Lo fa scegliendo un registro comico, divertente, calibrando con maestria i momenti più leggeri. Alternandoli sapientemente con il dramma, con la tragedia di ritrovarsi soli contro un esercito di poliziotti che ti sta dando la caccia. E che il rischio che la tua vita crolli per un semplice errore è altissimo.

Mentre la vita dei protagonisti pende su un sottilissimo filo, ecco che riusciamo a riderne (noi con loro) della stessa vita in cui si ritrovano. Trovando aspetti di sé che si pensava non avere, complice la disperazione di un’esistenza che ha ormai perso da troppo tempo la sua bussola.

E per orientarsi in questo dramma comico, c’è bisogno di tuffarsi nel rischio. Di fare per una volta nella vita qualcosa di davvero rischioso, in cui alla fine, quello che conta non è tanto il cosa che stai rubando, ma il perché sei arrivato fin lì. Ed è quel tipo di domanda che i due protagonisti si fanno spesso. Come sono arrivato fin qui? Si domanda Willy, mentre vede la sua vita passargli di fronte, in cui però finalmente, non è più solo un semplice spettatore.

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Carlo Mazzacurati dipinge un ritratto senza compromessi con la realtà di due uomini sull'orlo del fallimento. Una regia abilissima e un montaggio deciso, fanno da contrappeso con una recitazione perfetta del duo Albanese-Bentivoglio.
Valerio Autuori
Valerio Autuori
Con le storie ho un rapporto speciale, amo il cinema e la sua capacità di incantare e di raccontare il mondo. Da piccolo, Chaplin mi conquistò completamente. Da lì ho scoperto altri registi meravigliosi, Keaton, Wilder, Hitchcock, Allen e poi, il cinema italiano, amore incondizionato, tra Fellini, De Sica, Monicelli, Scola, Troisi e tanto altro ancora.

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