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La casa dalle finestre che ridono: l’arte del brivido di Pupi Avati

La casa dalle finestre che ridono thriller psicologico del 1976, diretto da Pupi Avati. Uno dei più originali esempi di horror all’italiana degli anni settanta e forse la massima espressione del cinema del regista bolognese. Qui l’orrore risiede tra le stradine lugubri e desolate di provincia. E’ infatti Malalbergo, piccolo paesino del bolognese, con la sua atmosfera opprimente e soffocante, il set dell’opera. Stefano (Lino Capolicchio), giovane restauratore forestiero, viene chiamato nel piccolo paesino per occuparsi del restauro di un dipinto, ritrovandosi immerso in un fitto e inquietante mistero.

La casa dalle finestre che ridono – La Trama

Così Stefano passa gran parte delle sue giornate nella chiesa di paese. Il dipinto in questione è il ritratto del martirio di San Sebastiano di Buono Legnani, un artista locale morto suicida alcuni anni prima. Noto come “il pittore delle agonie”, per la sua ossessione nel ritrarre i suoi soggetti sul punto di morte.
L’opera affascina fin da subito Stefano ma non altrettanto gli abitanti del luogo. Infatti, dopo l’incontro con il parroco Don Orsi e altri paesani, Stefano nota un atteggiamento sospetto nei confronti dell’opera e in particolare verso il pittore. Ma le stranezze durante la sua permanenza nella cittadina continuano. Dalle telefonate anonime che lo invitano ad abbandonare il restauro e ad andarsene, ai discorsi ambigui di Coppola (Gianni Cavina), il tassista alcolizzato della zona, visto di cattivo occhio da tutti ma che sembra essere l’unico supporto del protagonista. Inizia così, da parte di Stefano, un’ossessione per il dipinto che va oltre la bellezza artistica e che lo spinge a concentrarsi non più tanto sul restauro, ma sul mettere in luce la storia dell’opera.
L’incontro successivo è quello con Francesca (Francesca Marciano) una giovane maestra di cui Stefano si innamora e che, in un primo momento, sembra la sua via di fuga da quella cittadina. Ma che di lì a poco entrerà a far parte di questo dramma, noto ma taciuto da tutti.

La casa dalle finestre che ridono

La casa dalle finestre che ridono – La Recensione

Nonostante i suoi quasi cinquant’anni, La casa dalle finestre che ridono rimane un film sorprendentemente intenso e disturbante, capace di trasportare in uno stato di tensione psicologica crescente.
Pupi Avati si avvale di un ritmo narrativo lento ma avvolgente che tiene l’occhio dello spettatore incollato allo schermo. Uno scorrere del tempo quasi immobile scandito da un susseguirsi di incontri ambigui, la scoperta di indizi che non svelano il mistero anzi lo infittiscono, tenendo alta l’attenzione fino alla scena finale, davvero incisiva.
Una narrazione talmente intricata da disorientare lo spettatore che non riesce più a capire di chi fidarsi. Centrale è il tema della chiesa. Pupi Avati si avvale del simbolismo religioso per creare un contrasto tra sacro e profano, rivelando come il male possa annidarsi anche nei luoghi più insospettabili. Infatti qui la chiesa è un corpo silente e ambiguo, come del resto il parroco, complice delle terribili verità che la cittadina nasconde.
Il simbolismo ritorna come collegamento tra religione e arte, espresso dal mestiere del restauratore. Infatti portare alla luce il dipinto raschiando minuziosamente il muro della chiesa è, metaforicamente, il modo per smascherare gli abitanti della cittadina e scoprire la verità. Ma è proprio l’estrema curiosità di Stefano, che più avanti muta in un senso di giustizia, a risvegliare il male e a rompere l’equilibrio, seppur tossico, del paesino.

La casa dalle finestre che ridono

Il ruolo centrale dell’ambientazione

L’ambientazione è uno degli elementi più caratteristici dell’opera. L’atmosfera gotica che strizza l’occhio ai film di Mario Bava, talmente austera da ricordare il cinema scandinavo, si fonde a una dimensione rurale, fatta di paesaggi nebbiosi ed edifici abbandonati. E’ proprio la scelta, coraggiosa e brillante, di portare l’horror in provincia che contribuisce all’unicità dell’opera. Gran parte dei maestri italiani del genere, del secolo scorso, prediligevano come set le grandi città. Basti pensare alla Torino di Profondo Rosso e alla Roma de L’Uccello dalle Piume di Cristallo (1970) di Dario Argento. In altri casi la scelta è ricaduta su location straniere, come Friburgo per Suspiria (1977) e New Orleans ne L’Aldilà (1981) di Lucio Fulci.
Rispetto a questi titoli La casa dalle finestre che ridono va controcorrente. Avati porta il cinema del terrore nella propria terra, la pianura padana, tra distese di campagne disabitate, paludi e cittadine silenziose. Uno scenario tanto fiabesco quanto decadente a partire dalla casa che da il nome al film. Un casale fermo nel tempo, immerso in un silenzio sinistro e circondato da una campagna tranquilla, solo apparentemente. Le finestre della casa sembrano osservare con un sorriso macabro, come testimoni silenziosi di orrori passati. Un po’ come gli abitanti della cittadina, consapevoli dell’accaduto ma comunque impassibili agli eventi.

Un incubo a occhi aperti

Una rappresentazione che distrugge il concetto di casa, come un luogo protetto dove rifugiarsi e, allo stesso modo, la figura della chiesa come luogo “del bene”. Il film si muove da un panorama desolato all’altro aumentando, per tutta la sua durata, il senso di solitudine che si mixa a una sensazione claustrofobica. Un horror che per spaventare non si avvale di jump scare o effetti speciali, ma racchiude tutta la sua forza nell’immagine.
Una fotografia fredda, spettrale, a tratti instabile che riesce a trasmettere il senso di smarrimento e la progressiva discesa verso la paranoia del protagonista. Complici anche le scelta del suono, a partire dalla colonna sonora che amplifica la sensazione di minaccia costante. Il tutto per un’esperienza cinematografica che lascia lo spettatore in una condizione di disagio anche dopo la fine del film. Facendo de La casa dalle finestre che ridono un’opera portante del cinema horror italiano capace di disturbare e affascinare allo stesso tempo.

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Una delle opere più rappresentative della scena horror italiana degli anni '70, La casa dalle finestre che ridono è un film intramontabile del genere che, per tutta la sua durata, trasporta in un clima di terrore, ricco di suspense e mistero.
Valeria Furlan
Valeria Furlan
Sognatrice per professione, narratrice nel tempo libero, vivo di cinema, scrittura e tè alla pesca. Completamente persa in Antonioni e nell'estetica della Nouvelle Vague, vorrei vivere in un film di Wong Kar Wai e non rifiuto mai un bel noir

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