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Il vento fa il suo giro

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Spesso il cinema italiano riesce a risorgere dalle ceneri come poche altre cinematografie al mondo. La nostra è una delle realtà del settore più bistrattate e aspramente criticate, spesso a ragion veduta. Tuttavia, ogni tanto produce certe perle luminose che non possono che rendere ottimista qualsiasi amante del cinema di qualità. Uno dei casi più emblematici dei primi anni 2000, in questo senso, è stato certamente Il vento fa il suo giro, del 2005. Esordio alla regia cinematografica di Giorgio Diritti, da lì in poi uno degli autori italiani più apprezzati (l’ultimo film è Volevo nascondermi, presentato alla Berlinale di quest’anno), il film ha costituito una vera e propria odissea distributiva, nonostante il plauso internazionale in seguito alla sua diffusione nel circuito festivaliero (ha partecipato ad oltre 60 kermesse, vincendo 36 premi). In ultima istanza, la pellicola venne auto distribuita, città per città, arrivando ad incassare circa mezzo milione di euro, e restando in programmazione al Cinema Mexico di Milano, per più di un anno e mezzo. Le cinque candidature ai David di Donatello del 2008 chiusero un cerchio virtuoso, ma poco valorizzato da chi di dovere, probabilmente mai visto prima in Italia.

Il film, scritto dallo stesso Diritti insieme allo sceneggiatore e regista del posto Fredo Valla, suo collaboratore abituale, racconta dell’arrivo di un ex professore francese, ora pastore, nel piccolo paesino di Chersogno, in Val Maira (provincia di Cuneo). Lo straniero, che si chiama Philippe Héraud, vuole acquistare una casa in quella splendida località e dedicarsi alla cura delle sue capre, per scappare dai Pirenei, dove vive con la moglie e i tre figli, a causa della costruzione di una centrale nucleare nei pressi dei loro pascoli. La comunità montana, molto legata alla cultura occitana e piuttosto chiusa se non per il fugace periodo di villeggiatura dei cittadini d’estate, guarda da subito con curiosità al pastore. Il sindaco fa di tutto per trovare una sistemazione a lui e alla sua famiglia, e, con l’aiuto dei compaesani, riesce a sistemare una malga. Comincia così la nuova vita degli Héraud, ma ben presto la disponibilità e l’accoglienza dei montanari piemontesi si trasforma in sospetto e accuse verso gli stranieri. Tra diritti di passaggio violati, usanze del luogo non rispettate e modi di fare estranei alla comunità, Philippe avrà sempre più difficoltà a gestire la propria attività, tanto che alla fine sarà costretto ad abbandonare Chersogno.

Il vento fa il suo giro

Il progetto che sta alla base di Il vento fa il suo giro è estremamente interessante, perché si è visto poche volte (almeno in Italia). L’idea originale di Diritti era quella di realizzare un film recitato in italiano (poco), piemontese, occitano e francese, con attori non professionisti, che potessero effettivamente garantire un’estrema credibilità agli occhi dello spettatore. Così, soltanto i due coniugi francesi avevano avuto esperienze precedenti nel mondo della recitazione, tutto il resto del cast è preso dalle valli cuneesi, senza che ciò incida negativamente sul film, anzi.  Un’operazione del genere non veniva fatta in Italia dai tempi del Neorealismo e di film leggendari come L’albero degli zoccoli.  Tra l’altro, l’opera prima del regista bolognese presenta molti legami con il capolavoro di Olmi, Palma d’oro a Cannes nel 1978, sia per il tema trattato, anche qui la piccola realtà di un paesino di contadini, seppur spostata in montagna, sia per la spiritualità che riflette, tanto da far diventare Il vento fa il suo giro una sorta di riedizione 2.0 della vicenda di Cristo o in generale una sottile rilettura dei testi sacri.

Tutto ciò lo si percepisce già dal titolo, e dalla spiegazione di esso che ci viene data all’interno del film. L’espressione deriva da un proverbio occitano “e l’aura fai son vir”, e sta a significare come tutto sia destinato a ritornare e quindi a non cambiare mai. Un’idea, oltre che evangelica, addirittura filosofica, quasi eraclitea. In queste valli tutto si trasforma, tutto si muove, ma niente si distrugge. Non ci può essere un vero cambiamento, neanche quando esso giunge dall’esterno.

Il vento fa il suo giro

A condire il tutto ci pensa, poi, la vicenda del protagonista Philippe. L’uomo arriva a Chersogno ed è immediatamente guardato da tutti con curiosità e sospetto. Il paese sta piano piano morendo, trovando una parvenza di vitalità solo nei tradizionali quindici giorni d’estate dove gli abitanti di città trascorrono parte delle loro ferie lì, al fresco, e d’improvviso arriva uno straniero che chiede di poter vivere in quel luogo per tutto l’anno. Sembra quasi un essere sovrumano, mandato in quel luogo da qualcuno per cercare di salvare la comunità, o perlomeno di cambiarla. Una sorta di Messia, insomma, e anche l’aspetto (capelli lunghi fino alle spalle, barba e occhi azzurri) sembra corrispondere all’iconografia tradizionale del Salvatore. In più, se si aggiunge che di mestiere fa il pastore, i conti sembrano tornare.

Fatto sta che lo straniero, contro il parere di tutti, tranne che del sindaco, riesce a trovare una sistemazione e porta con sé le sue capre e la sua famiglia. Di fronte alla bellezza esotica (per una comunità come quella di Chersogno) di Chris, la moglie di Philippe, il paese rimane ammaliato e comincia, anche se per pochissimo tempo, a cambiare atteggiamento, ostentando una disponibilità mai davvero sincera. Tuttavia Philippe ragiona in modo diverso rispetto alle secolari tradizioni del posto e ben presto, con il pretesto di un non molto rigido controllo sulle sue capre, che pascolano anche tra i campi abbandonati degli altri abitanti, la comunità cercherà in tutti i modi di disfarsi del forestiero. Se Gesù salì sul Golgota per essere crocifisso, Philippe deve discendere il monte con la sua auto per andarsene, sconfitto moralmente prima che nei fatti. L’unica differenza rimarchevole con l’esperienza del Messia è l’assenza della risurrezione, considerata impossibile nella rigida comunità montana.

Il vento fa il suo giro

Se Philippe rappresenta sostanzialmente la Provvidenza, non sono assenti, in Il vento fa il suo giro, anche altre figure tipicamente “bibliche”. Il sindaco, ad esempio, potrebbe rappresentare il personaggio di Pilato, che di per sé non ha nulla contro Philippe, ma che alla fine è costretto a cedere di fronte alle insistenze della comunità, sempre meno convinta del le sue scelte, e di fatto diventa complice di coloro che cacciano il forestiero. O ancora, il personaggio di Fausto, concertista di fama nazionale, ma molto legato alle sue origini, tanto che, appena gli è possibile, ritorna a casa. L’uomo si dimostra inizialmente l’unico davvero illuminato del paesino, accogliendo con gentilezza gli stranieri e discutendo molto con Philippe, anche su argomenti “filosofici”. I due ragionano in modo diverso e non c’è mai il minimo dubbio su chi susciti le maggiori simpatie agli occhi degli spettatori. Il pastore, che, tra le altre cose, dice di non amare la parola “tolleranza” poiché essa non presuppone un’uguaglianza di fondo, fa da subito colpo su chi è abituato a pensare e ha buonsenso, e Fausto non è escluso. Il fatto è che però, quello che all’inizio si dimostra un amico leale per Philippe, nel corso della pellicola si trasforma in una sorta di novello Giuda, tradendo il pastore nella maniera più disonorevole: innamorandosi, per altro ricambiato, della bella Chris. Un Giuda, che, come quello dei trenta denari, alla fine si autoelimina persino dalla storia, in questo caso partendo per uno dei suoi concerti, pur non essendo per nulla convinto. C’è quindi una sorta di pentimento, una decisa volontà di limitare i danni estirpandone la radice, proprio come nel traditore più famoso della storia.

Il vento fa il suo giro

Non mancano, infine, le immagini metaforiche, peraltro molto potenti ed efficaci. Su tutte spicca il personaggio del classico scemo del villaggio, che, prima dell’arrivo di Philippe, passa le sue giornate correndo per il paese con le braccia spalancate come un aeroplano, e talvolta dando fastidio alla comunità, specialmente alle ragazze. Il trattamento che gli riserva il pastore, che lo fa lavorare insieme a lui, lo fa cambiare, maturare, e nel suo sguardo si percepisce un’infinita gratitudine verso quello strano forestiero, che condurrà fino ad un tragico epilogo in seguito alla sua forzata partenza. Altra figura decisamente importante è quella del giovane confuso sul proprio futuro, che alla fine del film prende il testimone da Philippe, e ne eredita malga e attività. È  vero che a Chersogno (paese immaginario, ma non fantastico) la gente è allergica al cambiamento, ma continuare a tentarlo è un dovere morale per chiunque non si accontenti. Ecco che allora l’opera prima di Giorgio Diritti, forse, nasconde anche una forte impronta progressista.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Una perla nascosta del cinema nostrano con una storia distributiva più unica che rara. L'esordio alla regia di Giorgio Diritti è un film "biblico", che racconta una mentalità montana ancora esistente con una cura maniacale.
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