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Firebrand – di come si spreca un’ottima storia

Nel 2023 al Festival di Cannes tra i titoli più attesi c’era, sicuramente, Firebrand di Karim Ainouz. Un’attesa costruita attorno ai due interpreti principali: Alicia Vikander e Jude Law e anche attorno alla reinterpretazione della storia di Enrico VIII. Liberamente tratto dal romanzo La mossa della regina presenta l’epopea del regno inglese sotto il monarca che aveva guidato alla scissione con la chiesa romana. A caratterizzare l’opera è il focus principale rivolto proprio verso Katherine Parr, sesta e ultima moglie di Enrico. La storia di questa dinastia aveva già in passato conosciuto l’interesse della letteratura e del mondo cinematografico-televisivo. Tra i prodotti di maggiore successo in merito rientrano sicuramente la serie I Tudors e il film L’altra donna del re.

Firebrand – trama e cast

Katherine Parr (Alicia Vikander) viene nominata reggente quando il marito, il re Enrico VIII (Jude Law) si trova a combattere in Francia. La donna è una ferma sostenitrice del riformismo in ambito religioso e si impegna per la traduzione in lingua inglese della Bibbia, non ancora comunemente accettata. La regina è invisa a una parte della corte, sia per l’attivismo politico che per i legami con Anne Askew (Erin Doherty) accusata di eresia. Dopo aver tentato, in effetti, di aiutare Anne a scappare, la situazione peggiora considerevolmente con il ritorno di Enrico dalla guerra. La fuga di Anne fallisce e la donna viene per giunta condannata al rogo. Tuttavia, la coppia reale sembra aver ritrovato la serenità quando Katherine rimane incinta. A seguito dell’evento Enrico nomina Katherine come reggente in caso di sua morte prima che il figlio Edoardo sia diventato maggiorenne.

Ma l’idillio dura in realtà molto poco, Enrico torna presto ai suoi atteggiamenti collerici e paranoici. Una situazione aggravata anche dallo stato di salute ormai gravemente compromesso del monarca. Dopo aver tentato una violenza nei confronti della consorte, questa perde il figlio che portava in grembo. L’evento segna un’ulteriore distacco tra Katherine ed Enrico, con la donna che teme di finire uccisa come altre consorti di Enrico. Il re, intanto, autorizza i suoi uomini più vicini a indagare sui legami tra Katherine e Anne Askew, per avere un pretesto proprio per uccidere la donna.

Firebrand – la recensione

Karim Ainouz arriva al Festival di Cannes accompagnato da un grande carico di curiosità, soprattutto della critica. Nel 2019 il regista aveva vinto, sempre in terra francese, il Premio Un Certain Regard con il suo La vita invisibile di Euridìce Gusmão. Firebrand è il suo primo film in lingua inglese e le premesse per un ottimo film sembrano esserci. Tuttavia, il film si rivela un’occasione sprecata, le intenzioni ottime che traspaiono vengono, infatti, offuscate. Innanzitutto, Ainouz non riesce a regalare alla storia la necessaria profondità registica, che manca di espressività. Gli unici guizzi reali provengono dagli attori, dai protagonisti quanto dagli intepreti secondari. La coppia Vikander – Law è sicuramente l’aspetto più pregevole del film, assieme alla grande cura scenografica. I due protagonisti danno vita a un confronto recitativo importante, che funziona nel suo equilibrio.

Da una parte, la Katherine di Vikander gioca di sottrazione e non si concede ad alcun eccesso, al contrario dell’Enrico di Jude Law. Per questo personaggio, infatti, l’attore sceglie di puntare sull’esasperazione drammatica e fisica, regalando un’interpretazione di valore. Probabilmente, nessuna delle due prove sarebbe riuscita così bene senza il controcanto dell’altra. Ma per Firebrand i meriti finiscono in qualche modo qui. La regia risulta a tratti soporifera e non riesce a regalare il giusto ritmo alla storia. Le scelte di sceneggiatura risultano leggermente più riuscite, non abbastanza da salvare del tutto il risultato finale. L’impressione è che Ainouz, regista che ha comunque dimostrato il suo talento, non sia stato in grado di portare il film esattamente dove avrebbe voluto. Tanto che l’inizio, narrativamente più lento, è la parte meglio riuscita e va via via a spegnersi sul finale.

La passione mai sopita del cinema per la monarchia

Firebrand non è, dunque, il primo film che si concentra sulla corte inglese durante il regno di Enrico VIII. Le corti come quella inglese, ma non solo, danno al cinema la possibilità di tenere assieme storia vera e leggenda. Dove inizi l’una e termini l’altra non è, in fondo, compito dell’arte di determinarlo. La portata rivoluzionaria del regno di Enrico, sancita dalla rottura con la Chiesa, dagli scandali della corte e dalla violenza sono una fonte quasi inesauribile. In realtà, le storie di corte hanno sempre esercitato un grande fascino verso qualsiasi forma d’arte. La letteratura è piena di intrighi e storie che si svolgono in un regno, un genere a sé stante cui Shakespeare ha contributo enormemente. E dalle monarchie shakespeariane continuano a trarre grande ispirazione registi e sceneggiatori per le loro storie.

Il Regno Unito è, tra le monarchie ancora in vita, quello che più di tutti ha dato da lavorare a registi e autori, scrittori e pittori. Una forma narrativa che ancora oggi sforna produzioni senza soluzione di continuità. C’è da una parte una grande curiosità attorno alla contemporaneità della monarchia, dall’altra un’irresistibile fascinazione per il passato. C’è anche un legame tra le figure dei monarchi e gli interpreti che nei loro panni hanno realizzato alcuni dei loro ruoli più importanti. Un esempio tra tutti: Cate Blanchett che con Elizabeth ha regalato una delle miglior interpretazioni della sua carriera, ripetuta in Elizabeth: the golden age. Siamo anche sicuri che scandagliando qua e là ci sarà qualche produzione che porterà di nuovo in scena qualche regno.

Firebrand

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Firebrand poteva essere un ottimo film che invece, nonostante i protagonisti, scivola via anonimo e con poca anima.
Stefano Minisgallo
Stefano Minisgallo
Si vive solo due volte come in 007. Si fanno i 400 colpi come Truffaut, Fino all’ultimo respiro come Godard. Il cinema va preso sul serio, ma non troppo. Ci sono troppi film da vedere e poco tempo, allora guardiamo quelli belli. Il cinema è una bella spiaggia, come nei film di Agnes Varda.

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