“Dipingere vuol dire trovarsi sempre senza fissa dimora, con i diavoli alle spalle che spingono avanti la tua mano, il tuo braccio, tutto il tuo corpo. Chissà che cosa si registra alla fine sulla tela: sgorbi, lava, sesso, impossibilità, sbarre, segni… un territorio imprendibile che mi cambia in continuazione davanti agli occhi”. Così Emilio Vedova descriveva il suo rapporto con l’arte.
Una vocazione ammaliatrice che muoveva le sue mani imbrattate di colore e le scagliava sulla tela bianca. Emilio Vedova è stato un artista esplosivo, un uomo frequentato da contrasti e tensione, un pittore sempre “dalla parte del naufragio”, deciso a permanere sulla sponda ove si odono le sirene dell’emergenza, della trasgressione, dello sfondamento degli argini geometricamente predefiniti. Un partigiano della pittura che richiama a sé la materia, di quella pittura che si moltiplica, si espande, si sposta dalla parete, rotola verso di noi con un forza dirompente.
“Dalla parte del naufragio”, prodotto dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova e realizzato da Twin Studio per la regia di Tomaso Pessina, ripercorre la vita e l’opera del grande pittore veneziano. Si tratta di un documento che rivolge tutta la sua espressiva curiosità al gesto artistico, al dispiegarsi della genesi dell’arte. Un documentario di grande impatto, valorizzato da numerosi video d’archivio inediti, dedicato a una delle figure più violentemente seducenti dell’arte contemporanea nel centenario della nascita. A prendere per mano lo spettatore è lo stesso Vedova, che con passo energico e parole appassionate trascina fra le pagine dei suoi diari. A dar voce alla furia creativa dell’artista è l’attore Toni Servillo: un’interprete d’eccezione che si immerge fra i taglienti scritti di una personalità tanto profonda quanto inquieta, restituendoci tutto l’ardore che gli abitava dentro.
“Dalla parte del naufragio” sa farsi strada non solo nelle vicende che hanno riguardato la produzione artistica del pittore ma riesce a restituire anche la sua straordinaria avventura umana. Probabilmente sarebbe stato difficile raccontare l’arte di Emilio Vedova spogliandola dell’uomo, lacerato e pulsante, che l’ha furentemente prodotta. È stato un bambino incapace di restare entro i margini, è stato un giovane che ha scelto “un certo modo per vivere il suo tempo”. Attivista politico sempre dalla parte dell’infrazione, portavoce dell’emergenza. Un uomo che ha combattuto per la Resistenza, che ha poi rinnegato la tessera del partito comunista per difendere la sua arte, un’arte nuova, figlia di un “tempo a mano armata”, un’arte sperimentale perché sempre in bilico fra possibilità e fallimento.
“Dalla parte del naufragio” è una narrazione invasa dello stesso dinamismo furente di cui è imbevuto il suo personaggio principale. Un’ora o poco più per raccontare tutta una vita riversata sulla tela. Non solo pagine di diario e rari materiali d’archivio, ma anche i preziosi ricordi di chi lo ha conosciuto, e gli interessanti contributi di artisti, curatori, e collaboratori. Un avvicendarsi di punti di vista, di pensieri, suggestioni, e rievocazioni.
Le parole sono quelle scritte dallo stesso Vedova; è proprio lui a raccontarsi, mentre le immagini lo ritraggono intento a scagliarsi contro la tela, agguantare sabbia, cemento e carbone per poi gettare tutto sulle furiose pennellate di colore ancora fresche. Lo scorgiamo poi immortalato nel lanciare sedie in Piazza San Marco in segno di protesta nel ribelle ’68. Lo vediamo anche passeggiare accanto all’amata moglie Annabianca, sua attenta critica e consigliera più preziosa, o attraversare i ponti veneziani, sospesi fra magia e malinconica. Si gode di molte suggestioni e di molte immagini in questo apprezzato documentario, grazie alle elaborazioni ed animazioni grafiche originali di Felix Petruska. Dialoghi sdentati e parole in libertà, immagini di pura arte e urgenza comunicativa, accompagnate da un commento sonoro sincopato, che si interrompe per poi riprendere, perfetto per narrare di un uomo all’interno del cui animo tutto si scontrava per generare un appassionato disordine.
Il racconto è disseminato da vicende e luoghi propri della storia politica e culturale del ventesimo secolo, e restituisce, grazie alla vibrante recitazione di Toni Servillo e a un dialogo quasi personale e diretto tra Vedova e lo spettatore, il potente segno di uno dei più̀ significativi artisti del Novecento. “Dalla parte del naufragio” è tutto lì, tra le calli di una Venezia nel cui vento si possono ancora udire i suoi passi concitati e le sue pennellate scattanti. Emilio Vedova era veneziano in tutto: lo era artisticamente, fisicamente, intrinsecamente.
Venezia il legno e le palafitte, la terra strappata al mare, con fatica; e Vedova con la sua assenza di certezze, il suo bisogno di rappresentare il vuoto, di organizzare lo spazio facendosi largo fra materia e realtà astratta. La sue poetica e la sua città sembrano poggiare sullo stesso mutevole mare. E del tutto veneziana è anche la sua stregata fascinazione per Tintoretto, il grande pittore di cui ha ammirato le opere a lungo, quasi ossessivamente, sin da bambino. A sedurlo è la forza impressa nel suo gesto pittorico. Vedova accoglie i contrasti fra luce e ombra, fra divino e umano, e riporta con una sua personalissima violenta vivacità l’attrazione per questi temi anche nelle sue tele.
L’arte di Emilio Vedova appare complessa da descrivere, così distante dalla pittura figurativa tradizionale, così traboccante d’impeto e di vigore, eppure è impossibile non sentirsi travolti dall’uragano emotivo che sgorga dai suoi agglomerati di colore. È arte di una potenza intraducibile, e smisurata. Nei suoi dipinti è fondamentale riflettere sulla forza del gesto e soffermarsi sui colori, spesso ridotti al nero del vuoto, il bianco dello spazio, il rosso del sangue.
Emilio Vedova è un artista che ha lacerato l’idea geometrica di spazio. Significativa in tal senso l’installazione mobile studiata da Renzo Piano nell’allestimento dei dischi alla fondazione Vedova nei magazzini del sale in punta della dogana a Venezia, essa trasmette vigorosamente la violenza sovversiva della pittura di Vedova e la sua esclusiva ri-organizzazione dello spazio. Il centro della tela non custodisce più il nucleo pittorico dell’opera artistica, ma il colore si sposta verso i margini, si stacca dalla parete, si diffonde, ci precipita addosso.
“Dalla parte del naufragio” ha il pregio di tratteggiare in maniera appassionata e fedele il profilo di un artista rivoluzionario, eclettico, che urla e denuncia mediante i suoi segni fortissimamente impressi nella tela.
La sua pittura fu così concettualmente eccitante da costituire un preciso punto di interesse per la mecenate Peggy Guggenheim. La facoltosa collezionista americana, con il suo esercito di pechinesi sempre appresso e suoi abiti stravaganti, si interessò direttamente al lavoro dell’artista durante uno dei suoi soggiorni veneziani. Le parole di Vedova ricordano con divertita soddisfazione il loro primo incontro: “Sono troppo di sinistra per sedermi al Florian con emblematiche di questo tipo, mi dicevo”.
“Dalla parte del naufragio” non è un film biografico, non è una narrazione banale di un eccezionale artista, ma vuole e riesce ad essere molto di più. Il regista Tomaso Pessina realizza un documentario dal ritmo serrato, dalla struttura impetuosa. Asseconda l’agitarsi di Vedova, il suo essere un fiume in piena pronto a travolgere una realtà ancora da plasmare.
Solitamente lo sguardo si concentra sul quadro ultimato, celando la prodigiosa meraviglia che ha accompagnato la sua creazione. In “Dalla parte del naufragio” invece, non è l’opera ad essere messa al centro, ma il gesto, l’atto creativo in sé. Il grande artista viene ricordato mentre interpreta la realtà, mentre scardina la verità per poterla trasferire su tela mediante il suo carico di travolgente passione. Sono movimenti magnetici, laceranti, rabbiosi. Vedere Vedova davanti, sopra, dentro la tela è la vera opera d’arte. È il suo gesto a trascendere l’opera in sé, ad essere già colmo dell’espressione soggettiva propria della sua arte.
Il film tramite le parole poeticamente feroci dell’artista ci racconta di un bambino che disegnava alla luce di una candela, di un giovane che raschiava il colore avanzato dalle tavolozze di altri pittori, di un giovane che con ardente prepotenza si sforzava di mantenere immobili i fratelli affinché questi si dimostrassero perfetti modelli dormienti per i suoi dipinti. Ardore, tenacia e colori dai quali sarebbero scaturita un’arte lontana dalla perfezione geometrica, eppure controllata, un’arte di rottura, espressione di rivoluzione, desiderosa di valicare i confini della tela per interrompere il suo stato di isolamento.
“Fin da bambino mi agitavo, sporcavo, segnavo forte” racconta l’artista “invidiavo i compagni che sapevano restare dentro le righe, io proprio non riuscivo”. Per lui i colori avevano un valore morale, e il suo animo perennemente inquieto aveva bisogno di invadere lo spazio, di coagularsi in macchie, e rivoluzionare tutto lo spazio circostante. Emilio Vedova, una personalità perennemente in tensione, una creatura dalla natura multiforme, così vitale da necessitare di possedere la materia, di imbrattarsi egli stesso di colore per urlare con pennellate giganti l’inferno dei nostri giorni.