Days, premio della Giuria al Teddy Award del Festival di Berlino 2020, riconoscimento per opere incentrate su soggetti e tematiche LGBT, è un lavoro artigianale e struggente, tecnicamente schierato, emotivamente toccante, che impianta nella mente di chi assiste una sensazione di sgretolamento nostalgico irrefrenabile.
Viene inscenata una solitudine esistenziale inerte e al contempo affacciata sul mondo degli altri, un’osservatorio sulla quotidianità essenziale di due esseri qualunque, nullità imprescindibili, soli in mezzo a tutto.
Diretto e sceneggiato dal taiwanese Tsai Ming-liang, regista di Stray Dogs, Premio Speciale della Giuria a Venezia nel 2013, e del cult ben più che erotico Il Gusto dell’anguria (2005), dunque da una artista dall’estetica precisa, scarna e rigorosa, che si concentra su storie estreme, lontane dall’interesse commerciale, vicine alle prospettive ed alle condizioni più marginali, isolate e provocatorie della comunità, Days è la prosecuzione di uno sguardo immobile che persiste oltre la facciata del giornaliero.
Videocronaca di una coppia di anime sole
Days è la videocronaca di una coppia di anime sole, che si abbracciano e si lasciano nel giro di una giornata sfiancante, banale e dolorosa come tutte le giornate di certe latitudini umane.
Un trionfo di camera fissa e fiducia nel far emergere l’umanità dagli atti più comuni, mangiare, pregare, camminare, ascoltare, toccarsi, una storia dietro ogni quadro vivente e quasi immoto che Ming-liang ci offre.
Days – Trama
Khang (Lee Kang-sheng) vive nella campagna di Taiwan, in una grande casa, con i suoi dolori, le sue agopunture, i suoi piccoli rimedi per trarre sollievo fisico ai malori che lo affaticano, mentre contempla la giornata dalla vetrata della camera: un’acquazzone mattutino gli offre il buongiorno. Nan (Anong Houngheuangsy), immigrato del Laos, si prepara metodicamente, nel suo modesto appartamento di città, un pranzo completo tipico del sua nazionalità, prima di andare al lavoro.
I due uomini si incontrano in una camera da albergo: un massaggio prenotato diventa un rapporto sessuale. Un ringraziamento, un regalo, un’ultima cena nel ristorante tipico vicino all’albergo, un ultimo saluto e le due esistenze tornano ognuna nei rispettivi microcosmi.
Days – Recensione
Days, come la cifra di Ming-liang ci ha abituati, possiede poco più di venti inquadrature per oltre centoventi minuti di girato. Trionfa dunque la fissità e quel senso di orizzonte statico ma in evoluzione che determinati panorami comportano. La ripresa coincide con l’occhio del pubblico che diventa testimone di un quotidiano dettaglio, lento, implacabile, prosaico, tenerissimo, in cui è coinvolto inevitabilmente tutto il niente, la fragilità e la grandezza dell’essere umano.
Trionfo di camera fissa per dei quadri viventi
Quadri che si susseguono con estrema calma e naturalezza, macchina da presa quasi “dimenticata” sia in interni spogli, minimamente addobbati, dove il vuoto ingombra di spirito lo spazio e chi lo abita, sia in alberghi lindi e pinti, quasi corpi estranei rispetto alle autentiche sagome dei protagonisti.
A queste visioni si alternano scenari esterni in cui si susseguono incroci cittadini affollati, con luci al neon gettate tra asfalto e motori, vie solitarie piene di alberi padroni della notte o sottopassaggi ammalati, in cui c’ è sempre chi cerca rifugio da un fuori.
Intimità ed autenticità dei comportamenti filmati
Nella staticità diffusa si colgono ed affiorano i dettagli delle azioni reali, la ruvidezza e la pesantezza di determinati gesti, l’umidità dell’atmosfera sub-tropicale. Al tempo stesso sorge miracolosamente e meticolosamente l’intimità di comportamenti del tutto privati: una preghiera prolungata, una sopportazione di dolore esibita, una scomodità che diventa un piacere fisico consolatorio, un ascolto di carillon che scava dolcemente e crudelmente nella memoria di vita appena scorsa via.
Merito di questa visione è riuscire a fare partecipe chi resiste e confida nella scomoda fissità di un occhio insistito, del momento esatto in cui le cose cambiano, dal di dentro, si fanno materia vera sulla scena, e accade il passaggio da osservatore a spia del prezioso.
La riproduzione attoriale della vita, piccola, faticosa, imprevedibile, cosa, di fronte alla macchina da presa da esercizio stanislavskiano, documentaristico diventa omaggio lirico ad un concreto che non c’è, ad un contatto che non si riesce mai a mantenere abbastanza, ad un sollievo che è più il tempo che si cerca che quello in cui si trova.
Ed un nuovo giorno ricomincia, una nuova strada trafficata, un acquazzone imprevisto, un semaforo accalcato, un altro appuntamento, un pasto in solitaria, una candela da accendere.
Days – Cast
Sullo schermo il volto dello storico compagno del regista, suo attore feticcio, sguardo immobile, rughe addolorate da cui è pronta a sgorgare improvvisa tenerezza. Al suo debutto davanti alla macchina da presa Houngheuangsy, massaggiatore reale conosciuto casualmente dal regista, profilo morbido, di una coscienza ancora intatta, dolcissima, forse innocente.
Struggente la scena di lui seduto su una panchina che dopo aver salutato per sempre il suo compagno di un attimo, riprende il carillon regalatogli e lo ascolta, nella sera che si trasforma in notte, di una città che non sa né saprà mai i loro nomi e i loro dolori, mentre passanti sporadici lo superano ignari e dissonanti.
Days conosce questa malinconia fisica che è al contempo di tutti e solo di alcuni e la infonde in una elegia delle piccole cose, come i poeti classici, una bucolicità metropolitana amara ed intossicata, che ogni tanto permette, conosce e riconosce questi abbracci di luce. E l’impressione emozionale che sedimenta è potente.
Days – Trailer