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Cafarnao – Caos e miracoli

Niente nei primi due piacevoli lungometraggi della regista Nadine Labaki, “Caramel” e “E ora dove andiamo?”, si avvicina alla potenza e all’abilità di Cafarnao – Caos e miracoli. Un film che rappresenta un grande balzo in avanti in tutti i modi possibili.

Dimostrandosi una regista sorprendentemente esperta nonché una narratrice misurata, la Labaki attira l’attenzione sulla difficile situazione dei bambini nei bassifondi di Beirut e sul legame kafkiano delle persone senza documenti d’identità. Anche se questo è senza dubbio un film tematico, affronta il suo soggetto con intelligenza e cuore.

Cafarnao - Caos e miracoli

Cafarnao e l’infanzia infernale del protagonista

Cafarnao è un titolo tratto dalle antiche rovine bibliche che raffigura una città interna libanese strangolante, densa e labirintica. La povertà si riversa nelle strade. Il film si apre con Zain, un giovane ragazzo di 12 anni, che sta facendo causa ai suoi genitori in tribunale. Perché? Per averlo messo al mondo. È un’apertura potente e sconcertante che suggerisce un’accanita dissezione dei mali della società. O un esperimento mentale di alto concetto sulla natura del diritto e della giustizia.

Ma poi il film ci offre lunghi flashback della discesa di Zain nello squallore e nella miseria. Assistiamo inermi alla sua triste infanzia. Vediamo lui e i suoi numerosi fratelli spinti nel traffico della droga dai genitori. Vediamo come suo padre li mette a lavorare invece di mandarli a scuola. E infine vediamo Zain scappare di casa per sfuggire a quell’inferno.

Un giorno incontra un’altra rifugiata etiope Rahil che gli offre una casa mentre lo impiega come baby sitter per il suo bambino Yonas. Ciò le consente di lavorare in una mensa di un luna park, sebbene la sua relativa stabilità finanziaria sia compensata dalle preoccupazioni per ottenere i documenti che autenticano la legittimità, perché senza di loro, in senso legale, le persone non esistono.

La legalità formale, in effetti, opprime molti dei personaggi del film, riducendo i mezzi e il libero arbitrio dei poveri abitanti, mentre ironizza sulla premessa dell’aula di tribunale che fornisce il loro quadro morale. Nonostante la presunzione intellettualmente fragile, quello che segue è un passaggio esasperante e straordinario che spinge Zaid e Yonas nell’allarmante e frenetica folla urbana.

Cafarnao - Caos e miracoli

Cafarnao e il crudo realismo sociale

Quello che all’inizio sembrava un dramma giudiziario un po’ assurdo si trasforma, in modo drammatico e audace, in un esteso esperimento di realismo sociale. È un’epopea tentacolare, anche intima nella sua crudezza e intensità, che ricorda i film neorealisti italiani di Vittorio De Sica e Roberto Rossellini.

La regista/sceneggiatrice nonché attrice Nadine Labaki, non addolcisce per niente la situazione, ma la filtra attraverso gli occhi del ragazzino protagonista. Girato in sei mesi, Cafarnao è basato su anni di ricerche e interviste che Nadine e i suoi collaboratori hanno condotto con rifugiati e minori trascurati, abbandonati e/o incarcerati.

Il film offre un’immediatezza e un’autenticità che non sarebbero state possibili senza i suoi attori (ovviamente non professionisti) che improvvisano versioni delle proprie reali esistenze. In questa storia di un bambino di strada maltrattato che fa causa ai suoi mostruosi genitori per averlo messo al mondo, nessuno è più convincente del protagonista Zain Al Rafeea. Un vero rifugiato di guerra civile siriano che aveva solo 12 anni e poca alfabetizzazione quando la regista lo ha incontrato.

Cafarnao - Caos e miracoli

Cafarnao, abilità tecnica ed emotiva

La Labaki fa un lavoro eccellente catturando la cacofonia delle strade attraverso un misto di movimenti nervosi della telecamera e una moltitudine di suoni. Generalmente tenendo la telecamera appena sotto o appena sopra la testa del ragazzo. Le sequenze in cui la telecamera si libra intorno all’altezza di Zain consente un forte senso di soggettività.

Il direttore della fotografia Christopher Aoun dimostra il suo coraggio catturando nei minimi dettagli le difficoltà affrontate in questi ambienti brutali con una serie di scene potenti. Anche il montaggio è abile e la musica bassa di Khaled Mouzanar è in perfetta armonia con il tenore emotivo del film, accompagnando l’azione senza manipolazioni per la maggior parte del percorso.

Dio non si trova da nessuna parte nel film, tranne che nel profondo impulso umano a fare del bene. Se il film ha un difetto è un’occasionale ripetitività di linguaggio e affetti. È anche implacabile nei travagli che scaglia contro il suo giovane eroe. Cafarnao richiede molto dagli spettatori. Alcuni dei quali potrebbero trovare uno o due passaggi intermedi troppo drenanti emotivamente. Ma è una versione essenziale per i modi in cui illumina vite brutalmente dure che molti di noi non potrebbero neanche immaginare, e per l’abilità dei suoi interpreti non professionisti che, salvati dall’oscurità, ci hanno regalato presenze sullo schermo indelebili.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Un film sofisticato e grintoso con una qualità umanista che dà un volto ad una popolazione spesso dimenticata. Un'opera tira le corde del cuore e instilla indignazione per il fatto che queste brutalità possano accadere a dei bambini.
Maria Rosaria Flotta
Maria Rosaria Flotta
Laureata in Scienze della Comunicazione con una tesi sul cinema d'animazione. Curiosa, attenta e creativa. Appassionata di cinema, arte e scrittura.

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