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Bohemian Rhapsody, il biopic sui Queen

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Bohemian Rhapsody è stato un caso planetario sotto ogni punto di vista. Partiamo dai dati, forse parametro un po’ noioso ma al contempo unico termometro del successo davvero attendibile: il film sui Queen è il maggiore incasso di sempre per quanto riguarda un film biografico di stampo musicale, ha ottenuto cinque nomination agli Oscar 2019 vincendone quattro e risultando il film più premiato dell’edizione, ha rilanciato in maniera impressionante il marchio Queen (che andava comunque forte, ma che è letteralmente ritornato nell’Olimpo musicale dopo il film). Se rimaniamo all’interno dei nostri confini, poi, Bohemian Rhapsody è il maggior incasso al botteghino per la stagione 2018-2019 e l’undicesimo di sempre nei cinema italiani. Un instant cult sotto ogni aspetto.

Bohemian Rhapsody

E dire che il progetto di un film sulla famosissima rock band inglese è stato uno dei più travagliati del cinema contemporaneo. La prima dichiarazione ufficiale risale addirittura al 2010, quando lo storico chitarrista dei Queen Brian May annunciò che era nata la volontà di realizzare un film sulla band che si concentrasse principalmente sul frontman Freddie Mercury, icona del Novecento prima che semplice performer. Il prescelto per il ruolo del protagonista fu Sacha Baron Cohen, conosciuto al grande pubblico per la sua comicità dissacrante e politicamente scorretta in film come Borat, Ali G e in seguito Il Dittatore. Nel 2013 però il progetto fallisce miseramente per divergenze creative tra lo stesso Cohen e il duo Brian MayRoger Taylor, ex membri della band impegnati a produrre il film. Il motivo lo spiega l’ormai ex protagonista in un’intervista radiofonica: il suo intento era quello di rappresentare senza filtri la personalità, scomoda e scandalosa, di Mercury soprattutto indagando sulla sua sessualità e sul suo difficile rapporto con gli altri, band compresa. Non doveva essere un’opera celebrativa e basta, ma un ritratto fedele e sincero della complessità umana, che il baffuto frontman incarnava alla perfezione. Ovviamente i produttori non erano dello stesso avviso. Dopo un fallimentare tentativo di riportare il progetto sullo schermo sostituendo Cohen con Ben Whishaw, si arriva al 2015 quando la GK assume i diritti per la realizzazione del film e fa scrivere una nuova sceneggiatura più moderata a Anthony McCarten, già mente del fortunatissimo La Teoria del Tutto. Le riprese possono finalmente iniziare con il lanciatissimo Rami (Mr. Robot) Malek nei panni di Mercury e i due ex Queen consulenti sempre a disposizione di cast e regista.

Bohemian Rhapsody

La pellicola è esattamente il tipo di film che Cohen non avrebbe voluto realizzare. Dall’inizio alla fine si elogiano i Queen che nella realtà sono stati certamente la band più in voga del secondo Novecento, ma anche oggetto di numerosissime polemiche, solo in parte dovute alla vita dissoluta di Freddie Mercury. Nel film vediamo quattro ragazzi che hanno come unico obbiettivo quello di scrivere la storia del rock. Sono ambizioni, piacevolmente arroganti, lontanissimi dall’indole delle rockstar di quegli anni. Il ritratto di Freddie risulta solo parzialmente accurato. Viene ben esplicitata la solitudine che lo colpì subito dopo la fama globale, e che è additata come causa principale delle sue feste orgiastiche a base di alcool e droga e delle sue cattive compagnie (vedasi il suo manager nonché compagno di vita Paul Prenter, che i due illustri consulenti hanno consentito a massacrare in fase di scrittura). Tuttavia Mercury viene presentato solo come la vittima di una situazione non del tutto dipendente da sé e dal suo talento, mentre le cronache e la sua biografia ci dicono molto di più su un carattere volutamente e non passivamente scandaloso e ribelle, a tratti maledetto. Paradossalmente la complessità che ha reso Freddie Mercury l’icona del Novecento e il personaggio che è stato, pieno di fascino e degno della più profonda attenzione, viene nettamente edulcorata e semplificata in Bohemian Rhapsody. Non è un caso che molti fan dei Queen non siano rimasti del tutto soddisfatti dalla trasposizione cinematografica dei loro beniamini.

Bohemian Rhapsody

La complicata genesi della pellicola, insomma, è chiaramente percepibile anche agli occhi degli spettatori meno attenti. In Bohemian Rhapsody vince la retorica e l’autocelebrazione da parte di May e Taylor, che in questo senso più che consulenti hanno svolto la mansione di demiurghi del film. Dietro la macchina da presa c’è Bryan Singer, che tuttavia a seguito dell’assenza dal set per una settimana, è stato rimpiazzato nella conclusione delle riprese e nella postproduzione da Dexter Fletcher, che poco tempo dopo dirigerà Rocketman, musical biografico su un altro grande tassello della storia della musica come Sir Elton John. Dopo una traversia giudiziaria Singer ha ottenuto il titolo di unico regista accreditato del film. Dal punto di vista registico ciò che emerge è sempre la semplificazione. Si ripercorre praticamente tutta la carriera della band, dalle origini fino al Live Aid del 1985, ma per step ben definiti e a tratti semplicistici. Ciò indubbiamente accresce il tono di epicità della storia e le inquadrature sono studiate per questo intento più che per raccontare la verità. La scena in cui Freddie si esibisce per la prima volta con la band e fatica a regolare il microfono, decidendo poi di utilizzare solamente la mezza asta sancisce la vera nascita del mito dei Queen. La scena in cui Mercury in tour negli Usa viene adocchiato da un camionista e la cinepresa si sofferma sulla scritta “Men” dei bagni segna la definitiva scoperta della propria omosessualità da parte del frontman. E’ una narrazione per momenti scanditi e complementari, sicuramente suggestiva ma non appannaggio della realtà. Il risultato non è affatto sgradevole, ma i veri cultori della band non possono esserne pienamente soddisfatti.

Bohemian Rhapsody

A rendere il film un prodotto entusiasmante almeno per quanto riguarda il pubblico medio ci pensa inevitabilmente la colonna sonora. Dei ventidue iconici brani che accompagnano la storia, ben dieci sono inediti, e provengono direttamente dall’archivio privato di Brian May e Roger Taylor. Quasi tutte le canzoni di questo tipo sono le versioni live dei loro più grandi successi. Proprio grazie al successo della pellicola, l’album contenente la colonna sonora ufficiale del film ha scalato per l’ennesima volta le classifiche di tutto il mondo, diventando paradossalmente uno dei maggiori successi della carriera della band londinese. Basti pensare che in Italia l’album ha raggiunto la terza posizione in classifica e il vinile è stato il più venduto dell’anno. Un successo nel successo insomma.

Bohemian Rhapsody rappresenta il prototipo del biopic dei nostri giorni. L’obbiettivo non è più raccontare la pura e semplice verità di una storia, per quanto epica possa essere, ma esaltarne la leggenda e renderla accattivante e fresca, in modo che riesca a parlare a tutti con la stessa forza. In questo senso il film di Bryan Singer ha sicuramente raggiunto il proprio scopo e l’onda lunga del successo che ne è scaturito non può che esserne una conferma.

Roby Antonacci
Roby Antonacci
Giornalista per Vanity Fair, collaboratrice per Moviemag, scrivo da sempre di cinema con un occhio attento a quello d'autore, una forte passione per l'horror e il noir, senza disdegnare i blockbuster che meritano attenzione.
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