Anche gli uccelli uccidono è un film del regista statunitense Robert Altman del 1970. Prodotto dalla Metro – Goldwyn – Mayer, l’opera esce in un momento molto prolifico per la carriera dell’autore, che in quegli anni esce con diversi prodotti da un ottimo riscontro di critica. Tra gli interpreti principali ci sono Bud Cort e una giovanissima Shelley Duvall, nel suo primo ruolo cinematografico. L’attrice avrà modo, negli anni a seguire, di collaborare nuovamente in altri lavori di Altman, fino a diventarne assidua collaboratrice, compreso in “Tre Donne” del 1977, con cui si aggiudica il premio alla miglior interpretazione femminile al festival di Cannes.
Anche gli uccelli uccidono, trama
Un ragazzo solitario di nome Brewster McCloud è fissato con il mondo dei volatili. La sua passione lo ha portato a tentare l’impresa più incredibile, il sogno di volare. Egli costruisce un ingegno meccanico che gli possa permettere di spiccare il volo. Allo stesso tempo nella città di Houston compaiono diversi morti, in circostanze misteriose, che interessano le forze di polizia. Il caso acquisisce sempre più rilevanza e nel tempo la figura di Brewster McCloud diventa ambivalente agli occhi dell’indagine.
Anche gli uccelli uccidono, recensione
Robert Altman è un maestro indiscusso della settima arte. Alcune delle sue opere non sono solamente dei capolavori ma nascondono anche una critica spiazzante alla società. Un regista tosto e ben determinato nel portare avanti la sua idea di cinema. Apprezzato prevalentemente in Europa, vince numerosi riconoscimenti, nel corso di una proficua carriera lavorativa.
Questo suo ennesimo lavoro si inserisce in un periodo artistico prettamente prolifico. Il genere più amato e con il quale l’autore riesce a dare il meglio di sé, è sicuramente la commedia satirica. In questo filone vengono realizzati i suoi film migliori, tra cui “Anche gli uccelli uccidono“. Si ricorda “M*A*S*H” ben più famoso, con Donald Sutherland come protagonista.
L’opera risente probabilmente di una sceneggiatura leggermente caotica, vale a dire scoordinata in alcune parti del racconto. Diverse situazioni sarebbero potute essere raccontate in maniera più approfondita, e invece appaiono giusto accennate. Sembrerebbe quasi, a una prima visione, che mancasse un focus direzionale unitario, in cui ogni elemento sia in grado di trovare una giusta corrispondenza con il successivo ed insieme acquisire un legame più solido, definendo una struttura narrativa capace di reggersi in piedi.
Il film rimane comunque una commedia divertente e apprezzabile. Caratterizzata da momenti iconici, che rendono da questo punto di vista, la pellicola degna di essere apprezzata. La storia è profondamente grottesca e surreale, a partire dallo scopo finale che il protagonista sogna di raggiungere e che pone l’intera pellicola sul piano della follia. Ogni scena è infatti subordinata alle azioni goffe e stralunate che riguardano il protagonista. Tutto ruota ed è costruito intorno a quello che accade al suo interprete principale. Le sue mosse hanno ripercussioni sulla comunità cittadina, a tal punto da generare sospetto tra gli inquirenti del caso.
Il punto di forza di questa storia è la sottile critica rivolta verso la società contemporanea, che traspare dalla leggerezza solo apparentemente superficiale che si nasconde dietro le immagini. Il regista sembra prendere atto di come riversi lo stato americano durante la fine degli anni 60, e per questa ragione mette in piedi un’opera che racchiude al suo interno una riflessione amara sulla società, la quale è possibile percepire appieno solamente verso il finale.
Il film non vuole essere critico in maniera pesante o esplicitamente visibile. Si cerca invece di mantenersi su un livello e un tono abbastanza semplice e accessibile a tutti, affinché ci si appassioni a questo folle progetto del ragazzo. L’umorismo percepito è pressoché aspro, sottilmente pungente, quasi come fosse un boccone amaro che il regista vuole farci ingerire lentamente, dopo una presa di coscienza.
La scena finale rappresenta l’essenza stessa della pellicola. Tutta la simbologia sparsa qua e là, che il regista ha piazzato nel corso dell’intera vicenda, e in cui lo spettatore ha cercato di attribuirne un senso durante la visione, trova finalmente la sua apoteosi e il suo significato profondo, in una scena indimenticabile e ricca di spunti riflessivi.
Gli attori sono ottimi per la parte e contribuiscono attraverso i loro gesti e i comportamenti a rendere unico un’immaginario bizzarro. La stravaganza di quello che accade non colpisce solo il protagonista, ma interessa anche le figure che gli gravitano attorno. Ciascun personaggio è particolare e decisamente folle a modo suo. Perfino le vittime della vicenda seguono una logica ben precisa e rappresentano ognuno una categoria di persone altamente classificabile.
Si viene a comprendere, via via che si avvicina il culmine del prodotto, che nulla è lasciato al caso e ogni risata che lo spettatore si procura, rientra invece in una chiara prospettiva di un autore, che ha progettato il tutto in maniera accurata, senza però dare l’impressione che lo fosse. Questo è il motivo per cui dall’apparente stravaganza senza senso, si cela invece un punto di vista politico, furbescamente velato.
Gli uccelli sono infatti i veri protagonisti della storia e rappresentano la chiave di lettura nascosta, utile per apprendere il valore intrinseco del film. Il regista mette in una relazione perfetta, di concetti e contenuti, il rapporto che intercorre tra gli uomini e gli uccelli. Solamente se lo spettatore capisse il nesso che il regista ha voluto attribuire a questi due animali terrestri, allora potrebbe dichiarare di aver interpretato i codici del film in maniera corretta.