Arash, orfano di madre, è un ragazzo di povere origini che si prende cura del padre Hossein, dipendente dall’eroina e pieno di debiti nei confronti di Saeed, uno spacciatore locale. Proprio quest’ultimo una sera fa irruzione nella casa del protagonista e si appropria della macchina che Arash aveva comprato con i suoi risparmi, in una sorta di scambio/ricatto per i soldi a lui dovuti. Per rientrare in possesso del mezzo il ragazzo decide di rubare due preziosi orecchini di proprietà della sua amica Shaydah, per la quale lavora come operaio e aggiustatutto, e di barattarli con la vettura perduta. Ma Arash scopre che Saeed è stata brutalmente ucciso da una misteriosa figura femminile vestita con un chador, che si palesa soltanto nelle ore notturne e aggredisce le persone malvagie: è una vampira, in vita da tempo, che sceglie meticolosamente le proprie vittime tra la peggiore feccia locale. Qualche sera dopo i due si incontrano casualmente nelle strade di Bad City e scocca la scintilla, anche se la loro ipotetica relazione sarà ben più complicata del previsto.
Una vampira col chador e sopra a uno skate non si era mai vista e d’altronde A girl walks home alone at night è stato etichettato come il primo vampire-western iraniano, pur barando parzialmente nella reale ambientazione del racconto. Perché se infatti le scelte del cast madrelingua e il relativo approccio culturale riportano al Paese mediorientale, la produzione e il luogo effettivo delle riprese sono di marca statunitense, elemento che ha ovviamente concesso maggiori libertà narrative e di messa in scena. L’esordio della regista Ana Lily Amirpour, co-finanziato tramite crowdfunding e rifacimento di un suo cortometraggio, è un film folgorante che lascia il segno, una fiaba nera e dolce al contempo che offre molteplici spunti nel corso dei cento minuti di visione e non solo dal punto di vista estetico.
A girl walks home alone at night palesa con piacevole evidenza le sue influenze e il cinema di Jim Jarmusch è tra le principali fonte di ispirazione: diversi sono stati i paragoni, più o meno centrati, con un cult a tema del maestro americano ossia Solo gli amanti sopravvivono (2013). E la Amirpour trova un ispirato punto focale proprio nel suo giocare tra e coi generi, con una vastità di toni e atmosfere che si alternano nel corso della narrazione. È presente anche un romanticismo istintivo e amaro che può ricordare in forma piacevolmente spuria lo stile di Xavier Dolan e le stesse tempistiche musicali (nota di merito per la colonna sonora che passa dal darkwave a ballad cantautoriali iraniane fino a echi western alla Morricone) richiamano il mood dell’enfant prodige canadese.
Ci troviamo davanti ad un’opera che vive di suggestioni e di scelte visive estasianti: la splendida fotografia in bianco e nero – ideale per restituire quel fascino notturno che d’altronde domina la pressoché totalità del racconto – è perfetto supporto delle magnifiche visuali operate dalla debuttante cineasta, e ogni sequenza ha qualcosa da raccontare come fosse un fotogramma sospeso nel tempo e nello spazio. Soluzioni da protowestern noir, con il fragore del vento quale silente accompagnamento agli appostamenti dell’inedita succhiasangue, si alternano a passaggi onirici e fasi più dolenti, aumentando quella carica emozionale e riempendo la parziale semplicità narrativa. Tanto che il finale, al contempo ricco di una predominante tensione interiore sul futuro dei protagonisti e di una catarsi necessaria, chiude al meglio una storia impossibile da non amare. Perché tutti a volte vorremmo fuggire dalle nostre Bad City, costi quel che costi.
Voto Autore: [usr 4]