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5 è il numero perfetto

«Se guardo i segni sulle mie mani, vedo strade che non portano in nessun posto», dice Toni Servillo nei panni di Peppino Lo Cicero, protagonista di 5 è il numero perfetto. A pensarci bene, anche guardando il film d’esordio di Igort si ha la stessa sensazione. Un lavoro del tutto superfluo, un esercizio di stile privo di mordente espressivo e soprattutto di appigli col reale. Chi scrive non è avvezzo a recensire negativamente, perché di solito si tende a evitare lo sforzo preferendo volgere l’attenzione verso ciò che emerge di positivo. Ma, in questo caso, ci sentiamo di ragionare su quelli che sembrano essere i difetti non del cinema italiano nella sua totalità ma almeno di quella parte di esso che si spaccia per innovativa e rischia di risultare invece soltanto deleterio per il futuro della nostra produzione. In particolare, l’idea che una pur bella graphic novel di quindici anni fa possa diventare un film senza prima considerare le peculiarità di tale operazione, è a nostro modesto parere quantomeno ridicolo.

5 è il numero perfetto

In primis, dietro la facciata dello sfizio che giustamente l’ullustratore e romanziere Igor Tuveri si è voluto togliere non abbiamo trovato una prova registica particolamente esaltante. 5 è il numero perfetto si trascina da una sequenza all’altra, sempre con la stessa dissolvenza, come se ogni momento avesse bisogno di essere evidenziato, ma a non funzionare alla fine della fiera è proprio il ritmo. Non ti annoi mai davvero, capiamoci, però non si sta al passo coi lunghi monologhi del protagonista e presto ci si domanda come abbia fatto l’autore a non accorgersi che sulla carta potevano magari avere ben altro spessore retorico. Mentre le leggi, le asserzioni di questo guappo in pensione suonano sicuramente più sentite, hanno un certo gusto retrò e un innegabile impatto. Di contro, a sentirle pronunciate da Servillo, compiaciuto e sornione, non ci si crede neanche per un secondo.

5 è il numero perfetto

L’atmosfera noir del soggetto rimane quindi sulla superficie fotografica del film, senza riuscire a sfondare la scrittura dei personaggi che una volta affidati agli attori perdono rilevanza. L’elaborazione delle luci è affidata a un prodigio chiamato Nicolaj Brüel, danese classe ’65 già collaboratore di Matteo Garrone per Dogman (2018). Ma tutta la sua maestria non può bastare a tenere insieme un progetto così inattuale e peregrino. Tutti gli attori, da Carlo Buccirosso a Valeria Golina, sono evidentemente impacciati. Insicuri sulla direzione da prendere. Forse si divertono, ma solo loro. E così 5 è il numero perfetto non va da nessuna parte. Quanto al comparto tecnico, un difettoso mixaggio del sonoro rende difficoltoso l’ascolto dei dialoghi quando in sottofondo c’è il rombo del motore di un’auto. D’accordo, sono meravigliose le musiche firmate D-Ross e Startuffo, a ogni modo sprecate. Dispiace parlar male della fatica altrui, ma qui è davvero tutta innecessaria.

5 è il numero perfetto

Il fatto è questo: l’ennesimo film sulla Camorra non si salva solamente perché girato da un fumettista talentuoso con un paio di buone idee scenografiche. 5 è il numero perfetto rimane l’ennesimo film sulla mafia napoletana. Oltretutto, uno di quelli che non biasima il contesto che esplora ma lo assolve (certo involontariamente) attraverso l’ambiguità del suo protagonista. Peppino Lo Cicero vuole apparire ai nostri occhi come un uomo saggio colpito dalla sfortuna e senza via d’uscita, quando invece non è nient’altro che un assassino senza scrupoli. Alternative alla vita da affiliato ce ne sono e anche parecchie. Una fra tante, l’emigrazione. Lo scopriamo nel finale, quando il protagonista si relaziona col fratello del medico, rifugiatosi in Sud America trent’anni prima. Alla luce di questo, che interesse può suscitare l’ipocrisia di Peppino? Giusto l’apparente assenza di autoconsapevolezza può far riflettere. Però non basta. Al di là della resa visiva, bisogna trovare un modo nuovo di affrontare queste tematiche.

Voto Autore: [usr 2,0]

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