Mike Figgis ha diretto nel 1995 Via da Las Vegas, una pellicola intensa e cupa su redenzione mancata e amore con protagonista Nicolas Cage. L’attore ha vinto nel 1996 il Premio Oscar come migliore attore protagonista. La pellicola è tratta dal romanzo semi-autobiografico di John O’Brien, che mette in scena la storia dello sceneggiatore Ben Sanderson, un alcolista alla deriva. Il suo incontro con Sera (Elizabeth Shue) una prostituta che ha il suo stesso tormento, donerà un po’ di luce alla sua vita prima del definitivo tramonto.
La crudezza della performance di Cage è seriamente evidente in questa pellicola dove si immerge in maniera definitiva nella disperazione del suo personaggio. Ovvero quello di un uomo deciso a bere fino a morire della sua ubriacatura, a seguito del crollo della sua carriera e della sua vita personale. L’attore bilancia perfettamente l’ironia nera del suo Ben con un profondo senso di sofferenza, evitando di rendere il personaggio caricaturale.
Proprio il suo rapporto con Sera è il cuore emotivo del film, e i due formano un legame unico, basato su un tacito accordo di non giudicarsi reciprocamente. Questo rapporto, pur non convenzionale, è incredibilmente umano e struggente, mostrando come due anime spezzate possano trovarsi e sostenersi, anche se solo temporaneamente.
Uno stile intimo e minimalista per la regia di Figgis
Mike Figgis dirige il film con uno stile intimo e minimalista, che amplifica l’atmosfera malinconica della storia. L’uso di luci soffuse e colori caldi contrasta con i temi freddi e distruttivi della trama, creando un senso di dissonanza visiva che riflette la contraddizione tra il legame tra Ben e Sera e il loro inevitabile destino. Il regista utilizza una colonna sonora jazz, composta in parte da egli stesso, per accentuare il tono del film, mescolando romanticismo e tristezza. La scelta di girare molte scene con camera a mano contribuisce a un senso di realismo crudo, avvicinando lo spettatore ai personaggi e alle loro lotte. Il ritmo lento e riflessivo permette al pubblico di immergersi nel mondo interiore dei protagonisti, evitando ogni spettacolarizzazione.
L’autore del romanzo, John O’Brien, si è tolto la vita poco dopo l’inizio della produzione del film, rendendo la storia ancora più tragica. Questo conferisce al film un peso emotivo unico: il dramma di Ben riflette in parte le lotte personali di O’Brien, rendendo la rappresentazione della dipendenza e dell’autodistruzione visceralmente autentica. Via da Las Vegas evita i cliché tipici dei film sull’alcolismo. Non c’è un arco redentivo, né una morale consolatoria. Ben non cerca aiuto né tenta di salvare se stesso: il suo viaggio è verso l’annullamento, ed è rappresentato in modo brutale ma umano. Questa onestà ha reso il film una delle rappresentazioni più realistiche e devastanti della dipendenza.
Le luci brillanti in contrasto con la cupa disperazione dei protagonisti in Via da Las Vegas
Las Vegas è quasi un personaggio del film: le sue luci brillanti e i suoi eccessi offrono un ironico contrasto con la cupa disperazione dei protagonisti. L’ambientazione riflette la superficialità e l’illusorietà del sogno americano, contrapponendosi alla cruda realtà di Ben e Sera. Le riprese sul luogo conferiscono ulteriore autenticità, mostrando la città nei suoi angoli più sporchi e nascosti, lontani dal glamour abituale. La colonna sonora, composta da Mike Figgis, gioca un ruolo cruciale nel definire l’atmosfera del film.
Il jazz malinconico, spesso accompagnato dalla voce sensuale di Sting, sottolinea l’intimità e la disperazione della storia. I brani, come My One and Only Love e Angel Eyes, amplificano l’intensità emotiva senza mai sovrastarla. La musica diventa una sorta di commento silenzioso, quasi un terzo protagonista.
Nonostante la trama ruoti attorno alla distruzione, l’amore tra Ben e Sera è un tema centrale e offre momenti di rara dolcezza. La loro relazione, pur non convenzionale, rappresenta un legame profondo e sincero, basato sull’accettazione totale dell’altro. Questo amore, tuttavia, non è sufficiente per salvarli, il che rende il loro legame ancora più tragico e potente.
Conclusioni
Il film cattura perfettamente l’isolamento che si può provare in una metropoli come Las Vegas. Nonostante la folla e il continuo movimento della città, i personaggi sono irrimediabilmente soli. La regia e la fotografia sottolineano questa alienazione, utilizzando spesso spazi vuoti e inquadrature che separano i protagonisti dall’ambiente circostante. Uno degli elementi più potenti del film è la sua assenza di giudizio. Né Ben né Sera vengono moralizzati: le loro scelte, per quanto autodistruttive, sono trattate con rispetto e compassione.
Via da Las Vegas è anche una riflessione sulle strutture sociali che abbandonano gli emarginati. Ben, un uomo distrutto dall’industria di Hollywood, e Sera, una donna sfruttata dalla società, rappresentano due vittime di un sistema che premia solo chi è funzionale. La loro discesa nell’oscurità diventa una denuncia implicita della mancanza di supporto per chi è spezzato.
La pellicola si distingue per la sua profondità emotiva, le interpretazioni magistrali e il coraggio di affrontare temi difficili senza addolcirli. È un’opera che, nonostante la sua durezza, rimane straordinariamente umana, ricordando agli spettatori la fragilità della condizione umana e il potere dell’empatia. La sua eredità cinematografica risiede nella sua capacità di toccare corde universali, rimanendo fedele alla sua visione artistica senza compromessi.