Le vie della fantascienza sono infinite o anche in un genere potenzialmente aperto a mondi e avventure sempre nuove vi è un limite concettuale oltre al quale è difficile spingersi? Un quesito non semplice visto che anche la stessa Hollywood non riesce a rispondere con omogeneità, proponendo o formule riciclate di grandi classici (basti pensare a saghe storiche come Star Wars e Star Trek che spesso ritornano sulle proprie orme) o intelligenti progetti autoriali e umanistici (Arrival e Interstellar tra i tanti). Manca forse nel panorama odierno dei grandi blockbuster a tema quella voglia di ritornare alle atmosfere primigenie della space-opera, dove le sorprese erano una costante della narrazione. E allora ecco che bisogna guardare ad altri mercati per trovare sguardi che tentino di coniugare classico e moderno in maniera ambiziosa e libera da vincoli, con Luc Besson e la sua casa di produzione Europacorp che realizzano nel 2017 Valerian e la città dei mille pianeti, il film più costoso nella storia del cinema francese purtroppo non ripagato dagli incassi al botteghino che ad oggi hanno messo in un limbo il previsto sequel.
Il regista, autore negli anni ’90 di opere seminali del genere action come Nikita (1990) e Leon (1994), torna al filone dopo aver realizzato un’opera immaginifica e affascinante quale Il quinto elemento (1997), moderno omaggio ai mondi futuristici del Metropolis (1927) di Fritz Lang in un’ottica da thriller/noir new-age. E per l’occasione sceglie di adattare l’omonimo fumetto scritto da Pierre Christin e illustrato da Jean-Claude Mézières, trovando nelle pagine cartacee l’ideale fonte di ispirazione per sfogare tutto il suo particolarissimo stile sul grande schermo, in una messa in scena avveniristica dove la meraviglia si nasconde dietro ogni angolo e la storia riesce a miscelare in maniera organica i diversi elementi al suo interno. Pur in contesti diversi, seppur appartenenti allo stesso filone, in Valerian e la città dei mille pianeti si notano somiglianze col di poco posteriore Ready Player One (2018) di Steven Spielberg, uscito nella sale solo qualche mese dopo, e l’ambizione di grandezza è la medesima così come l’impatto sullo spettatore appassionato, pronto in entrambi i casi ad immergersi in una realtà tanto affascinante quanto ricca di potenziali insidie.
Il presente filmico è nel 2740, quando il maggiore Valerian e il sergente Laureline (tutti e due poco più che adolescenti), hanno il compito di mantenere l’ordine nell’universo per conto del governo. La loro ultima missione consiste nel recuperare un misterioso oggetto che si troverebbe a Gran Mercato, una sorta di cittadina-globo dove ha luogo il commercio delle più rare reliquie spaziali. In Valerian e la città dei mille pianeti la coppia, che ha una sorta di platonica e combattuta relazione, scopre ben presto come il loro compito sia collegato ad un tragico fatto avvenuto trent’anni prima e inerente la scomparsa di una razza aliena, i Pearls. Questa popolazione di pacifici umanoidi, che viveva in simbiosi con la relativa natura circostante, ha osservato la distruzione del proprio pianeta in seguito alla caduta di gigantesche astronavi in fiamme, con la tragica morte di una dei loro membri, Liho. I Pearls sopravvissuti sono ora sulle tracce del suddetto oggetto, e Valerian e Laureline finiranno ben presto coinvolti in un intrigo nel quale non sapranno più di chi fidarsi: dalle loro gesta potrebbero dipendere le sorti dell’intera galassia.
Al solito in svolgimenti così complessi e ricchi di situazioni e figure secondarie, la sinossi non serve ad espletare il tutto e, anche per evitare possibili spoiler, ci limitiamo a questa introduzione. Perché Valerian e la città dei mille pianeti ha il merito di svelarsi lentamente e racchiudere un gran numero di colpi di scena, anche nella prima parte delle due ore e venti di visione, che lasceranno con il fiato sospeso fino all’arrivo dei titoli di coda. E anche quando qualche elemento sembra parzialmente sbavato o casuale, l’amore per un citazionismo raffinato si fa strada nel corso dei sempre più tortuosi eventi, tra omaggi al mondo dei videogiochi e quella sci-fi classica che riesce a conquistare soprattutto chi è cresciuto negli anni ’80 e ’90. Il tutto all’insegna di un divertimento puro e genuino che non si prende mai troppo sul serio e possiede un suo coeso equilibrio tra la varie anime, con le dinamiche action che si ibridano magnificamente ad un divertimento leggero e old-school e con sfumature romantiche mai fastidiose ben gestite dall’alchimia tra i due protagonisti, il Dane DeHaan di Chronicle (2012) già Green Goblin dello sfortunato The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro (2014) e la splendida Cara Delevingne, nota modella prestata al grande schermo con risultati più che convincenti. Al resto ci pensano gli ottimi effetti speciali, capaci di offrire un impatto estetico di prima grandezza che speriamo di poter osservare nell’auspicata continuazione del franchise.
Voto Autore: [usr 3,5]