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The Witcher, la recensione della serie Netflix

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«Il male è male, Stregobor. Minore, maggiore, medio, è sempre lo stesso, le proporzioni sono convenzionali, i limiti cancellati. Non sono un santo eremita, non ho fatto solo del bene in vita mia. Ma, se devo scegliere tra un male e un altro, preferisco non scegliere affatto.» Questa è una delle frasi più famose, riportata fedelmente anche nel primo episodio, pronunciate dal personaggio di Geralt di Rivia, protagonista della saga di romanzi fantasy dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski. Un franchise contante ad oggi otto volumi cartacei, tre incarnazioni videoludiche di grande successo, una trasposizione fumettistica, un film e due serie televisive, l’ultima delle quali è ultimamente sulla bocca di tutti per via della recente distribuzione esclusiva nel catalogo streaming di Netflix e già tra le più popolari della piattaforma on demand. Per parlare di quanto ivi raccontato è doverosa un’introduzione al lore all’origine di The Witcher, pur senza cercare di dilungarci troppo al fine di evitare potenziali spoiler a chi totalmente neofita dell’ambientazione e delle relative dinamiche.

The Witcher

La stratificata narrazione ha luogo in mondo fantasy abitato da varie razze: umani, elfi, nani e, per l’appunto, witcher. Questi ultimi sono degli indomabili guerrieri erranti, dotati di poteri magici e una forza superiore in seguito ad una mutazione subita in tenera età, che si vendono su commissione per eliminare i vari mostri che seminano terrore nelle diverse zone del continente. Geralt di Rivia, uno di loro, è malvisto come tutti i propri simili dal resto della popolazione, etichettato come diverso ed esiliato a condurre una vita di solitudine nonostante spesso i suoi servigi siano fondamentali nella risoluzioni di incarichi che nessuno, sano di mente, compirebbe in prima persona. Incontriamo per la prima volta il principale protagonista, il The Witcher del titolo, nei pressi del paesino di Blaviken, reduce da uno scontro mortale (ovviamente non per lui) con una spaventosa creatura nell’attigua palude; il Nostro è pronto a reclamare la sua paga quando incontra prima la principessa ribelle Renfri, al comando di un manipolo di fuorilegge, e poi il mago Stregobor. I due hanno intenzione di eliminarsi a vicenda ma il Nostro decide di non prendere nessuna posizione a tal riguardo. Una storyline secondaria ci trasporta al castello della regina Calanthe, sovrana del Regno di Cintra, che è prossima a difendere i propri confini dall’invasione del vicino Dominio di Nilfgaard, il quale è intenzionato a catturare la nipote della regnante, la giovanissima Ciri, una ragazzina dotata di incredibili poteri. Ben presto si intersecherà a questi primi due snodi un’altra sottotrama, inerente la figura di Yennefer, figlia deforme di un fattore prossima ad essere venduta ad una potente maga che intende addestrarla alla stregoneria.

The Witcher

Se la sinossi appena esposta vi appare leggermente ostica è normale, soprattutto per chi si approccia per la prima volta a questo mondo fantastico. Il problema principale di The Witcher è che non trova il giusto modo per esporne le dinamiche e il background in maniera fluente e coesa, lasciando spunti all’immaginazione dello spettatore o veri e propri buchi su determinati elementi di contorno. Ma partiamo con ordine: per chi conosce i romanzi o ha impugnato joypad (o tastiera o mouse) per vivere le avventure dello strigo, l’inizio è di quelli che lasciano il segno. La prima puntata, raccontante il (ben noto agli appassionati) massacro di Blaviken, ci offre una delle più ispirate scene di combattimento all’arma bianca (con un pizzico di magia) mai viste sul piccolo schermo e poggia le basi per sviluppi potenzialmente affascinanti, con il tris di vicende che sembrano apparentemente scollegate ma che lo spettatore consapevole ha già idea finiranno prima o poi per incrociarsi. Ebbene, nel proseguo il filo di unione che le lega è quanto di più confusionario e cervellotico uno possa immaginare, per di più gettato in pasto ad un pubblico che per la maggior parte deve ancora ambientarsi all’interno dell’universo narrativo. Un’impostazione più gratuita che effettivamente originale, amplificante il senso di smarrimento da metà stagione in poi fino ad un epilogo aperto, che lascia con l’amaro in bocca e risulta pieno di incongruenze.

The Witcher

Il calo di qualità nell’evoluzione della serie è evidente, con le prime quattro puntate che brillano per messa in scena e scrittura e le altrettante rimanenti che mandano all’aria quanto di buono / ottimo fatto in precedenza. Quando tutti i nodi sono destinati a venire al pettine, o almeno la maggior parte di essi, The Witcher si scioglie come neve al sole e mostra le proprie lacune di fondo. Nelle fasi embrionali la scelta di concentrarsi su storie parzialmente autoconclusive, una sorta di tipiche quest dell’immaginario fantasy d’origine, ha avvantaggiato il compito, ma quando poi i salti temporali e di location rivelano il reale intreccio, atto a portare alla complessiva reunion, l’operazione perde di omogeneità e verosimiglianza, procedendo per forzature evidenti pure per un occhio meno smaliziato. Anche dal punto di vista tecnico la serie è su livelli altalenanti, con un’ottima resa delle creature mostruose (facenti ausilio ai cari, vecchi, animatronics) e una rappresentazione delle scene campali e di massa approssimativa, episodio finale in primis, dove le mancanze di budget appaiono chiare. Gli unici spunti realmente degni di nota in positivo sono le suggestive ambientazioni, tra foreste e cittadine medievali che restituiscono appieno il fascino del format alla base, la sinuosa colonna sonora di ispirazione celtica/folk e la maestosa performance di Henry Cavill (da gustarsi rigorosamente in lingua originale) che, da grande appassionato del videogame, si è calato anima e corpo nel ruolo, con movenze, espressioni e modo di parlare che ricalcano perfettamente quelle della versione digitale. Il resto del cast è invece figlio di scelte discutibili, con figure nuove di zecca create per inserire quanta più diversità etnica possibile (all’insegna del moderno politically correct) e alcuni enormi miscasting nella selezione delle co-protagoniste femminili che lasceranno più che perplessi i fan storici.

Voto Autore: [usr 2,5]

Maurizio Encari
Maurizio Encari
Appassionato di cinema fin dalla più tenera età, cresciuto coi classici hollywoodiani e indagato, con il trascorrere degli anni, nella realtà cinematografiche più sconosciute e di nicchia. Amante della Settima arte senza limiti di luogo o di tempo, sono attivo nel settore della critica di settore da quasi quindici anni, dopo una precedente esperienza nell'ambito di quella musicale.
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