Presentato in anteprima internazionale al South By Southwest nel marzo del 2021, l’esordio al lungometraggio di Megan Park, The Fallout, incontra il favore della critica conquistando il Gran premio della giuria all’interno del concorso lungometraggi, così come il Premio del pubblico ed il meno noto Brightcove Illumination Award.
Poco dopo The Fallout viene acquisito da Warner Bros. Pictures e New Line Cinema che distribuiscono il film sull’ormai nota piattaforma HBO Max ed immediatamente l’esordio di Megan Park diviene uno dei titoli più visti e chiacchierati, anche e soprattutto per la tematica trattata, così nevralgica e sentita da parte degli Stati Uniti d’America.
Il film della Park infatti comincia con una sparatoria scolastica che resta off screen, mentre la macchina da presa si concentra sui volti confusi e terrorizzati di due ragazze, Vada (Jenna Ortega) e Mia (Maddie Ziegler) che per puro caso si sono ritrovate pochi istanti prima nei bagni del loro liceo. La prima a causa di una telefonata improvvisa da parte della sorella minore Amelia (Lumi Pollack), mentre la seconda per noia e indifferenza rispetto alle lezioni e alla vita liceale.
Poco dopo le due ragazze – precedentemente sconosciute tra loro – vengono raggiunte da Quinton (Niles Fitch), colui che per la prima volta presenta allo spettatore le conseguenze di quella violenza cieca e spietata rimasta fino a quel momento nel fuori campo. Quinton infatti è ricoperto di sangue, non è suo però, bensì del fratello che non è riuscito a sfuggire alla raffica incessante dei proiettili.
Il fragore tuonante dei colpi d’arma da fuoco si accompagna alle grida disperate per una decina di minuti di grande tensione e panico, mentre Vada, Mia e Quinton non possono far altro che restare in silenzio, vittime e testimoni di una giornata drammatica che cambierà per sempre le loro vite.
Ciò che risulta immediatamente interessante del film della Park è proprio la scelta di intrecciare tre destini rispetto ad un momento tragico e violento di ciascuna esistenza, per poi osservarne gli effetti psicologici e dunque emotivi nel corso del tempo.
Un modello narrativo che si rivela riconducibile a due autori piuttosto distanti tra loro, nonostante questo punto di contatto tematico sia facilmente rintracciabile nelle rispettive filmografie, si tratta di Paul Haggis (Crash; 2004) e Clint Eastwood (Changeling; 2008 e Richard Jewell; 2019).
Se Haggis e Eastwood – pur sempre considerati nella loro distanza – si focalizzano sull’agire istantaneo dei loro personaggi in seguito all’accadimento che ne ha stravolto drammaticamente la vita, Megan Park sceglie invece di concentrarsi sulla fase dell’abbattimento e dunque sul crollo fisico e psicologico delle due giovani protagoniste che non possono far altro che riflettere, ricordare, logorarsi e infine rialzarsi pur sempre consapevoli di aver perduto qualcosa di assolutamente centrale come la spensieratezza adolescenziale, la capacità di vivere la vita con leggerezza, partecipazione e armonia, ed infine per certi versi la speranza nei confronti di una società che non sembra destinata a migliorare.
Un ulteriore modello di riferimento – probabilmente più stilistico che tematico – di The Fallout è poi l’ormai nota e chiacchieratissima serie di Sam Levinson, Euphoria, facente parte anch’essa del catalogo HBO.
Così come Euphoria, il film della Park si interessa allo studio di un disagio adolescenziale che riflette sui concetti di famiglia disfunzionale, sessualità fluida, abuso di sostanze stupefacenti come unica salvezza rispetto alla violenza tossica della società (e del periodo giovanile), fino alle scelte registiche che si fanno di tanto in tanto dinamiche e caotiche, proprio perché destinate a dare un’idea del distacco emotivo e del caos psicologico scaturito dal trauma che Vada e Mia elaborano nella condivisione improvvisa e perciò potente di emozioni, sensazioni e dialoghi.
The Fallout chiaramente non si concentra unicamente sulla tematica delle stragi scolastiche in America, nodo che dà in ogni caso avvio alla narrazione, per poi restare sullo sfondo, piuttosto muove le sue dinamiche tra improvvise consapevolezze sentimentali, desideri di rinascita e riflessioni sull’importanza dell’unione e condivisione, che sia essa di natura familiare o di semplice amicizia.
Un film sull’importanza delle parole, tanto quelle pronunciate, quanto quelle scritte, considerando che The Fallout pone come tema di peso quello della generazione di riferimento – e target del prodotto stesso – ossia la generazione Z che convive quotidianamente con una doppia realtà, quella concreta e tangibile della vita quotidiana e quella virtuale dei social e più in generale dei new media, onnipresente all’interno del film e in qualche modo strumento di provocazione della Park.
Raramente abbiamo visto un esordio così maturo, centrato e sincero su di un tema in ogni caso scomodo come quello delle stragi scolastiche che ben pochi autori hanno scelto di toccare in precedenza, uno su tutti Gus Van Sant con il suo controverso e per certi versi definitivo Elephant del 2003.
Un tema che però sembra ormai aver preso piede nella riflessione cinematografica dei nuovi autori e autrici, a partire dal recente e acclamato Mass di Fran Kranz, fino a questo The Fallout di Megan Park.
The Fallout fa centro rispetto ad una scrittura solida, funzionale e come già detto sincera, che riflette tanto sull’unione famigliare – necessaria al superamento dei drammi e della solitudine – quanto su quella sentimentale, poiché se il film compie una scelta realmente interessante è proprio nell’analisi psicologica delle due giovani protagoniste, interpretate notevolmente da Jenna Ortega (che brilla, svettando sul resto del cast) e Maddie Ziegler, così differenti l’una dall’altra, a tal punto da entrare in conflitto rispetto ad un piano emozionale estremamente delicato, dolce e sofferto.
Se è vero che Megan Park potrebbe rivelarsi una nuova e importante voce del cinema americano dei prossimi anni, è altrettanto vero che The Fallout è un film coraggioso che senza dubbio merita di essere visto ed elaborato.
The Fallout, un film sul dramma adolescenziale come non l’abbiamo mai visto, che riesce ad essere allo stesso tempo dolce, adulto e spietato, a partire da un finale che non sembra voler lasciare scampo, presentando definitivamente allo spettatore una realtà tragica, inquietante e purtroppo quotidiana degli Stati Uniti d’America, la cui vittima di riferimento è nella maggior parte dei casi nell’età giovanile/adolescenziale, perciò indifesa, impaurita e totalmente impreparata.
Nota di merito alla colonna sonora di Finneas O’Connell, interprete e autore musicale sempre più celebre e capace.