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Sick of myself – La recensione della dark comedy norvegese

Nel corso del 2022 il regista e sceneggiatore norvegese Kristoffer Borgli, reduce dall’esperienza del suo film d’esordio DRIB (2017) e di svariati cortometraggi, firma la sua opera seconda. Il lungometraggio, dal titolo Sick of myselfSyk pike, in lingua originale – è una commedia nera dalle originali sfumature satiriche, che non teme l’eccesso per consegnare al suo pubblico una sferzante e ironica critica sociale. Presentato nel maggio dello stesso anno al 75° Festival di Cannes (inserito nel prestigioso circuito Un Certain Regard), il film ha presto attirato l’attenzione degli addetti ai lavori creando aspettativa nel grande pubblico internazionale. Dal 5 novembre la pellicola (97 minuti) è stata resa visibile per il pubblico norvegese, giungendo poi con il passare dei mesi nei più svariati paesi; il 5 ottobre è stata la volta dell’Italia. Attualmente, è disponibile per gli abbonati alla piattaforma di streaming Mubi

Sick of myself

La trama del film

La giovane Signe (Kristine Kujath Thorp), fortemente caratteriale, lavora in un caffè di Oslo. Lungi dall’accontentarsi di una vita modesta e monotona, la ragazza tenta costantemente di stupire e attirare l’attenzione di chi la circonda. Nel farlo, Signe è aiutata dalla sua personalità quantomeno peculiare: le menzogne, anche fini a loro stesse, sono all’ordine del giorno, e il narcisismo sfocia spesso in una condotta sociale e morale discutibile. Non sorprende dunque scoprire che la sua “dolce” metà, Thomas (Eirik Sæther), sia altrettanto caratteriale. Lui, giovane artista presuntuoso e pieno di sé, nella sua scalata al successo si macchia di continue disattenzioni e mancanze di rispetto nei confronti di chi lo circonda. Va da sé che la prima vittima di queste sue continue trascuratezze sia la fidanzata la quale, a sua volta, trova in questo ulteriori motivi per puntare continuamente il riflettore su di sé, anche se in modo forzato. 

In Sick of myself, la routine di questa coppia atipica e dai comportamenti marcatamente tossici subisce un brusco scossone quando Signe scopre dellesistenza di un farmaco chiamato Lidexol. Ben conscia degli effetti collaterali di quest’ultimo, decide ugualmente di procurarselo illegalmente e di assumerne massicce quantità. In breve il suo organismo inizia ad accusare il colpo, il volto le si sfigura progressivamente e i suoi organi interni, in modo meno visibile ma altrettanto grave, danno chiari segnali di malfunzionamento. Per quanto apparentemente scosso, Thomas prosegue imperterrito con le sue dinamiche caratteriali altrettanto difettose. Motivata dall’impressione di apparire più interessante agli occhi dei conoscenti – e perché no, anche di sconosciuti mossi a commozione dalla sua storia – la ragazza prosegue ad oltranza con l’assunzione del farmaco, rischiando di raggiungere un drammatico punto di non ritorno. 

Sick of myself: il figlio più recente della new wave scandinava

La scrittura e la regia di Borgli, e in definitiva il prodotto finito che costituisce la sua opera seconda, giungono agli occhi del grande pubblico con un tempismo quantomeno emblematico. Sick of myself, infatti, si colloca centralmente rispetto ad una new wave di cinema scandinavo – e, al contempo, la incarna – che, in quanto a portata e potenza, non ha potuto fare a meno di manifestarsi in modo accentuato all’attenzione degli spettatori (anche grazie al successo riscosso tra critica e premi internazionali). Posizionandosi sulla scia dei recenti La persona peggiore del mondo (Joachim Trier, 2021) e Triangle of sadness (Ruben Östlund, 2022), ma anche del precedente Un altro giro (Thomas Vinterberg, 2020), il film segue i canoni di questa ondata cinematografica dall’estetica minimale e dai caratteri freddi, quasi cinici, ma anche dal piglio eccentrico ed ironico capace di addentrarsi per vie laterali in profondità nella psiche dei suoi protagonisti

Questa nuova e sferzante corrente cinematografica – e in questo il film di Borgli ne è esemplare – pone in scena in modo sistematico e studiato disagi esistenziali insieme taciuti e sconcertanti, casi umani tanto comuni quanto borderline, facilmente criticabili dallo spettatore e al contempo così vicini a lui in certi aspetti da sorprenderlo. Questo è ciò che accade, in effetti, anche nel corso del minutaggio di Sick of myself, dove si mette in scena una coppia disfunzionale ed estremamente tossica di personaggi sia sgradevoli che comprensibili. Concretamente: è facile giudicare Signe e le sue ossessioni tendenti all’amorale, ma è anche facile capirla, smaniosa di attenzioni in relazione all’exploit nella carriera del suo insopportabile compagno. E, allo stesso modo, è tanto facile giudicare lui quanto lo è comprendere, almeno in parte, i suoi comportamenti drastici e bruschi dettati dal relazionarsi con una partner che agisce costantemente sul limite del socialmente accettabile. 

Sick of myself

La scrittura di Borgli fra critica e comprensione

Sul grande schermo, la vicenda fittizia di Signe si fa portatrice e sinonimo di vizi e bruttezza d’animo. Il vittimismo, la smania d’attenzione e la propensione alla menzogna sono solo alcuni dei repellenti tratti che emergono dal ritratto della protagonista (e senza che, per scovarli, ci sia bisogno di andare troppo a fondo nella lettura del personaggio). Questi nodi tematici, certamente sgradevoli e criticabili, sono però appunto anche facilmente comprensibili e forse condivisibili. In questo forse consta la potenza della nuova ondata cinematografica scandinava: le brutture che porta in scena, fra critica e empatia, creano un conflitto quantomeno basilare in chi guarda. 

Ma, prima ancora, sono tratti che gli spettatori riescono a decodificare con semplicità, trattandosi di comportamenti agilmente identificabili e riscontrabili nella società in cui essi stessi vivono e agiscono quotidianamente. In Sick of myself, Signe agisce indubbiamente nella sfera dell’eccesso, il suo è il piano dell’impensabile. Ma noi pubblico siamo capaci di registrare e, in un certo qual modo, di accettare la radice della sua forma mentis poiché siamo abituati ad incamerarla nel nostro quotidiano. E perché (non secondario) questo comportamento attiva un meccanismo di pietà che è alla base della dinamica dell’empatia. 

In Sick of myself il sarcasmo mette a nudo le brutture psicologiche dei personaggi

Nonostante le parentesi di profondità a cui la scrittura (e in conseguenza la regia) ricorrono secondo necessità, il tono del film riesce a mantenersi con lo scorrere dei minuti sorprendentemente sarcastico. Latmosfera e il sottotono sono quasi sempre ironici, per quanto comunque consci della portata e delle implicazioni della trama. Lungi dal farsi beffa delle degenerazioni mediche di Signe, il regista prende però sagacemente in giro i suoi protagonisti, in modo sferzante e puntuale. Borgli li incornicia in un impianto che, fra una vena di divertito body horror e l’onirismo più cinico in chiave di sogno lucido, tende a prendersi poco sul serio. Così facendo, il risultato ottenuto è una cruda e cocente messa a nudo delle brutture psicologiche dei personaggi.  

A conti fatti dunque, Sick of myself non tende certo ad imporsi come pellicola memorabile, e eccezion fatta per la bolla di popolarità che l’ha circondato al momento della sua uscita in sala difficilmente sarà tenuta di conto nelle classifiche dei migliori film dell’anno, o men che meno nei manuali di storia del cinema contemporanea. Ciononostante, grazie agli elementi che lo plasmano e lo contraddistinguono – la più che dubbia moralità dei personaggi, l’ironia cruda e sferzante, la gelida messa in mostra di meccanismi conflittuali e viziosi della psiche umana per come la conosciamo oggigiorno – il film si fa esemplare ideale e perfettamente calzante di quella new wave di cinema scandinavo che negli ultimi mesi ed anni tende sempre più, e a ragion veduta, a prendersi il posto che si merita sul grande schermo. 

PANORAMICA RECENSIONE

Soggetto e Sceneggiatura
Regia
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Grazie alla dubbia morale dei viziosi personaggi, all'essenzialità e allo sferzante sarcasmo, Sick of myself è un esemplare ideale e perfettamente calzante dell'attuale new wave del cinema scandinavo.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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