Quiet Life, vita tranquilla, quella sognata da chi si rifugia in un altro paese in cerca di pace, quella forzata con cui si autosabota chi è impotente di fronte ad insostenibili decisioni di rimpatrio.
Minori in coma autoindotto: cos’è la sindrome della rassegnazione
Nel 2018 in Svezia alcuni giovanissimi figli di immigrati iniziano ad addormentarsi senza svegliarsi più. È un coma che si autoinducono causato dallo stress della loro condizione sospesa, tra il dover restare nella terra che li sta salvando o il dover tornare dove la barbarie ha stravolto le loro vite.
È la sindrome della rassegnazione, ed è l’oggetto del film Quiet Life presentato in anteprima nella sezione Orizzonti alla 81.Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, firmato dal greco Alexandros Avranas, già regista di opere di un certa caratura di inquietudine come Miss Violence (2013).
Quiet Life – Trama
Sergei (Grigorij Dobrygin) e Natal’ja (Culpan Chamatova) sono una giovane coppia con due figlie al seguito; hanno chiesto rifugio in Svezia a causa delle aggressioni subite da Sergei in Russia, dove è considerato oppositore politico, “testa calda” irriducibile e militante, nonostante sia solo preside di scuola. Le cicatrici sull’addome dell’uomo, i ricordi delle violenze subite, anche di fronte alla famiglia, un impiego trovato in Svezia, una casa più che dignitosa in cui vivere, due figlie integrate nella classi della nuova scuola, non bastano però a convincere l’autorità svedese a concedere asilo.
La più piccola delle sorelle un giorno davanti scuola cade addormentata. Non si risveglia più: è viva, ma vegeta in stato di sonnolenza autoindotta. Come lei ci sono altri casi. Sono minori figli di rifugiati stressati dalla condizione di attesa di un asilo che non arriva e getta nello sconforto le loro famiglie.
Troppa tensione, troppe cose da perdere, troppo difficile immaginare la vita dopo. Sergei decide di fare appello chiedendo alla sorella maggiore di testimoniare le violenze subite da lui stesso, anche se la bambina non era presente quella sera. La responsabilità sulle sue spalle è grande, fallisce l’obiettivo e poco dopo cade anche lei nel sonno dei disperati. Sergei e Natal’ja dovranno lottare per non perdere le loro piccole, per risvegliarle e cercare di scampare ad un pericoloso rimpatrio.
Quiet Life – Recensione
È una famiglia in guerra con se stessa e la paura di non farcela quella di Quiet Life, un nucleo parentale che sbaglia ma sa risollevarsi con l’amore del legame ritrovato, inventandosi la via per tornare a respirare.
Famiglia in guerra con se stessa in uno scenario glaciale, asettico, parossistico
Ma è anche la denuncia di un sistema burocratico impassibile, parossistico, che non considera l’umano e la necessità, ma solo l’applicazione della norma. Essenziale, geometrico e tragico: in Quiet Life, il contorno è ridotto all’osso da un distacco quasi totalizzante, endemico, indifferente.
Allo sguardo di chi inscena interessano solo ed esclusivamente i nodi salienti della storia, che in questo caso sono due, entrambi intelligentemente mantenuti in equilibrio e disvelati gradualmente. Il primo è la cecità automatica con cui le amministrazioni globali, quelle svedesi in questo caso e milioni di altre come lei, gestiscono come numeri e non come esseri umani le storie dei malcapitati migranti costretti a rifugiarsi altrove.
A malapena sono guardati in faccia, il confronto non è possibile, si procede per citazioni di norme, telecamere di sorveglianza, stanze-prigioni chiuse elettronicamente in cui “sbrigare la pratica”, traduttori automatici computerizzati, totale assenza di reale ascolto ed empatia. Arbitrio individuale inesistente.
L’altro nodo interessante e affatto scontato è la responsabilità familiare, in questo caso genitoriale, che all’interno del terno al lotto viziato e senza scrupoli di una richiesta di asilo, mette sotto pressione i figli, specie i minorenni, chiedendo loro cose molto ardue, se non impossibili, da sostenere.
Una società binaria, impietosa, mai empatica, che dimentica e sacrifica i propri figli
Quiet Life quindi riflette su una società impietosa ed impietosamente binaria: quella fuori dal nucleo familiare, architettura manichea fatta di bianchi e neri, di luce e di ombre, di si e di no, di dentro e di fuori, dove il particolare non trova spazio. E quella interna alla famiglia, racchiusa tra le mura di una casa che non appartiene a chi la abita, straniera negli ambienti, nei cibi, nella parola, eppure necessaria alla sopravvivenza quindi improvvisamente accettata, nel bene e nel male, glorificata, imposta ai propri figli, che ascoltano, interiorizzano e somatizzano gli stessi pensieri che avvelenano ed ossessionano i genitori.
Non a caso è imposta ai genitori delle due “piccole addormentate” una terapia di calma, sorrisi forzati e distacco, come se nulla turbasse le loro menti.
Non tutto il panorama è spietatamente grigio e silente. C’è chi aiuta e solidarizza, chi non abiura il contatto umano perché ha subito il medesimo shock, c’è una ricerca tanto disperata quando randomica del sole reale, che possa risvegliare i corpi inerti di due innocenti, c’è una riscoperta significativa delle proprie priorità, perché esiste una libertà oltre la sconfitta.
Quiet Life paratattico e rigoroso, in pura epica greca classica, un po’ vittima della sua stessa distopia, un po’ exemplum oracolare di un dramma storico-sociale contemporaneo, turba e immerge in profonda riflessione, sulle direzioni della storia e le responsabilità che le distorsioni di oggi proiettano nelle generazioni di domani.
Quiet Life – Cast
Cast dal profilo compatto e dolente, volti incastonati nella e dalla asetticitá della fotografia, sagome tra gli spigoli di un paese simmetrico, portatori di luci troppo strette per trovare una propria dimensione di calore. Il freddo mondo automatizzato svedese come metro esemplare per chiedere soccorso rispetto al tipo di trauma futuro che stiamo contribuendo a costruire e da cui dovremo, non si sa in che modo, disintossicarci.