“Toglimi una curiosità: se le regole che hai seguito ti hanno portato fino a questo punto, a cosa servivano quelle regole?”. E’ questa una delle tante frasi filosofiche che pronuncia lo spietato serial killer Anton Chigurh di Non è un paese per vecchi, film del 2007, uno dei numerosi capolavori assoluti della coppia di fratelli più apprezzata di Hollywood, Joel e Ethan Coen.
Non è un paese per vecchi trama
La vicenda si svolge nel 1980 in Texas, a poche miglia dal confine con il Messico. Il protagonista Llewelyn Moss (anche se si fa fatica a definirlo come tale a causa della coralità del cast) è un uomo tranquillo che entra in un gioco decisamente più grande di lui. Durante una battuta di caccia nel deserto, infatti, nota un assembramento di fuoristrada e cadaveri, frutto di uno scambio di stupefacenti finito nel sangue, e trova poco lontano una valigetta piena di dollari. La tentazione di tenerla per sé è troppo forte, e anche un uomo onesto come Llewelyn finisce per impossessarsene. Il problema è che sulle tracce della borsa c’è anche Anton Chigurh, psicopatico senza scrupoli che già all’inizio del film uccide a sangue freddo l’agente che l’aveva arrestato e uno sfortunato automobilista incappato sulla sua strada nel momento sbagliato. A indagare sulla faccenda si mette poi anche l’anziano sceriffo Ed Tom Bell, prossimo al pensionamento e grande conoscitore della sua terra, in tutte le sue sfaccettature e contraddizioni. Ne consegue un inseguimento incredibile che vedrà coinvolta persino la moglie di Llewelyn Carla Jean, fuggita ad Atlantic City per evitare proprio il coinvolgimento diretto nella faccenda.
I fratelli Coen continuano nella loro ormai decennale attività dialettica tra le forme del cinema moderno e il retaggio della tradizione classica, ma stavolta non la rendono evidente come hanno fatto in film come Fargo e Il Grinta, ma intelligentemente nascosta e contaminata con le principali suggestioni del mondo contemporaneo. Il film può essere definito tranquillamente come un western contemporaneo, perché la vicenda è la classica corsa all’oro di molti film di cowboy ma è saggiamente trasportata nel contesto della modernità, con la velata sensazione che le cose non siano poi cambiate così tanto rispetto a quei tempi là. Ma in generale il film, vincitore di quattro premi Oscar su sette nomination totali, guarda più a Peckinpah che a Ford o Hawks. Infatti Non è un paese per vecchi è anche un prodotto fortemente crepuscolare, fatto di personaggi grigi, mai del tutto positivi o negativi e neppure mai davvero padroni del loro destino. Non c’è moltissima differenza tra l’indole di questi personaggi e quella de Il Mucchio Selvaggio nell’omonimo film del 1969 diretto da Sam Peckinpah. Il che ovviamente è frutto di una straordinaria costruzione dei personaggi da parte dei due registi e sceneggiatori, da sempre eccellenti scrittori prima che directors.
Tutte le figure che compaiono in questo film (a partire ovviamente dai tre primi attori Moss, Chigurh e Bell) sono delineate alla perfezione, in maniera quasi maniacale, e risultano assolutamente realistiche anche per il fatto che il loro è uno svelamento progressivo, che si realizza in parallelo alle due ore di proiezione. Ne risulta che lo spettatore è quanto mai coinvolto nella vicenda. Eccezionale in tal senso è il personaggio del killer psicopatico, interpretato da un magistrale Javier Bardem (premio Oscar al miglior attore non protagonista). La sua figura è costruita per apparire grottesca: taglio di capelli a scodella fuori moda e quasi comico, abbinato però ad una pistola ad aria compressa con annessa bombola, utilizzata di solito per uccidere i bovini, ma nel suo caso per eliminare chi intralcia i suoi piani e far saltare ogni tipo di serratura. Una camminata cadenzata e leggera unita a dei modi fini e a degli scrupoli inaspettati per un killer (più volte, ad esempio, uscendo dal luogo dove ha commesso un omicidio controlla di non avere le suole sporche di sangue). Una calma impressionante. Insomma, Anton Chigurh rappresenta il vero capolavoro di questo capolavoro: un personaggio coinvolgente e accattivante che inquieta non poco lo spettatore, ma lo fa con una grazia inaspettata che lo rende interessante e, a tratti, persino affascinante. Da questo punto di vista definirlo uno dei più riusciti personaggi negativi del cinema contemporaneo non appare affatto un’esagerazione.
Ovviamente trattandosi di un film dei Coen esso è perfettamente inserito nel cinema cosiddetto postmoderno, basato cioè sulla sovradrammaturgia in tutto e per tutto sia dal punto di vista visivo sia narrativo, e su un ampio utilizzo della citazione dai numerosi maestri che questi autori, prima di tutto cinefili ed esperti di cinema, hanno assunto come guide. Anche in questo caso però Non è un paese per vecchi si concretizza come un prodotto fuori da ogni schema e di difficile classificazione. Per comprendere questo aspetto basta guardare il modo in cui viene rappresentata la violenza in questo film: essa non ha la funzione ironica che possiede nei film di Tarantino o in alcuni film degli stessi Coen (Fargo, Burn after reading), non è solo utilizzata come un vezzo registico per sfoggiare un’indubbia abilità narrativa e linguistica (nel senso cinematografico del termine), ma diventa base ineliminabile su cui sviluppare un discorso più ampio. Il vero, grande tema del film, infatti, è la forza dell’umanità, che è in grado di sopravvivere e di permanere in una società che incarna solo gli ideali e le azioni più negative e terribili. Ecco che allora il portatore indiscusso di questo messaggio diventa lo sceriffo Ed Tom Bell, un uomo che ha visto di tutto nella sua lunga carriera, che constata che nessuna situazione cambia mai, ma che non si rassegna e non si nasconde di fronte al proprio dovere.
Non a caso quando il suo vice definisce la vicenda su cui entrambi stanno indagando “un gran casino”, Bell risponde laconicamente: “Non so se è grande ma come casino mi basta e avanza!”. Una battuta alla John Wayne, che descrive appieno la forza dell’uomo prima che del militare. Lo sceriffo vuole risolvere il caso non perché è convinto che ciò possa contribuire a migliorare la condizione della sua città (quella speranza l’ha persa da tempo), ma perché come essere umano è giusto agire in quel senso. A coronare tutto questo affresco contribuisce, poi, l’eliminazione di tutti quegli elementi che potrebbero in qualche modo disturbare lo spettatore o quanto meno portarne altrove l’attenzione. Prima fra tutte la base musicale, praticamente assente. I Coen infatti non vogliono guidare le emozioni dello spettatore in alcun modo, ma fargli vivere la sua esperienza cinematografica di fronte a una vicenda dai mille colori. Anche la fotografia di Roger Deakins va in questo senso, rimanendo essenziale per tutto il film.
Dunque il percorso dei due fratelli d’oro di Hollywood raggiunge con Non è un paese per vecchi il proprio apice, realizzando una pellicola molto più intima e completa probabilmente di tutte le altre da loro scritte o dirette. Una corsa pazza che tocca il western, il thriller, lo splatter e il noir, con il finale enigmatico e inevitabilmente non conclusivo. Insomma, una lezione di cinema da vivere intensamente prima che da guardare!