Le Ereditiere, presentato al 68° Festival Internazionale di Berlino, ha vinto l’Orso d’Argento per la Miglior Attrice (Ana Brun), il premio Alfred Bauer e il premio Fipresci della critica internazionale.
Le Ereditiere, trama e recensione
Un piccolo film dal fascino speciale. Raffinato, essenziale. Marcelo Martinessi (classe ’73), qui al suo primo lungometraggio, si dimostra regista sensibile e attento. Conosce bene l’universo femminile (è cresciuto tra sorelle, zie, nonne, vicine di casa) e lo racconta con grazia, ispirandosi, in parte, al cinema tedesco di Fassbinder.
Le Ereditiere non incanta con effetti speciali. Niente nomi altisonanti della Hollywood lustrini e paillettes. Eppure le attrici spiccano per bravura e naturalezza. Ana Brun, infatti, per la sua interpretazione, è stata premiata a Berlino. La storia è ambientata ad Asunción (Paraguay).
La Brun veste i panni di Chela, una donna di una certa età, alto-borghese, che ha sempre vissuto nel lusso; in una casa bella e antica, piena di oggetti preziosi. Chela, che un giorno si ritrova senza più un soldo: è costretta così a vendere al miglior offerente mobili, stoviglie, gingilli vari.
Le stanze, seppur decadenti, ci parlano dello splendore del tempo glorioso. Altrettanto sfiorita è Chela, prigioniera di un rapporto sentimentale stanco. Imbrigliata in una grigia quotidianità.
Le Ereditiere, tutto è cominciato da un ‘vassoio’
Chela vive con la compagna Chiquita. Il rapporto tra le due è giunto ormai al capolinea. Forse anche perché divise da un abisso: una forte, assertiva, l’altra titubante. È Chiquita la donna di polso. Lei a tenere le redini. Agisce. Decide. Ma quando Chiquita finisce dietro le sbarre, accusata di frode, Chela non ha via di scampo: deve trovare appigli, punti di riferimento. È una donna fragile, certamente, ma al contempo, senza darlo troppo a vedere, le piace il controllo; una sottile manipolatrice che porta le persone a compiere gesti che lei attende con ardore (come avverrà in una scena onirica, quando l’oggetto del suo desiderio le si offre su un piatto d’argento).
Questo lato oscuro e malizioso di Chela ci viene mostrato attraverso un oggetto che assume forte carica simbolica: un vassoio; elemento chiave del film e fonte d’ispirazione per Martinessi (anche autore della sceneggiatura). Un vassoio, che per Martinessi è un richiamo agli anni dell’infanzia: sua zia ne aveva uno, proprio come quello di Chela. E vi teneva l’acqua, il rosario, il taccuino, il caffè, le pillole.
Chela, un giorno, senza averlo pianificato, s’improvvisa autista. Una tassista abusiva che scarrozza qui e lì le pettegole facoltose signore della città. Sulle prime Chela tentenna (pare non abbia neanche la patente…), via via però ci prova gusto perché le ‘clienti’ che usufruiscono del suo servizio la pagano, in contanti e subito. Durante uno dei soliti tragitti avanti e indietro s’imbatte in Angy, giovane, intraprendente, sessualmente disinibita.
Martinessi è abile nel descrivere la tensione erotica tra le due donne, insistendo su sguardi, gesti appena accennati, silenzi. Chela subisce il fascino di Angy, vorrebbe fumare le sue sigarette, mettere i suoi occhiali ma è combattuta; teme di non essere attraente. Ad ogni modo, Chela assapora il gusto della libertà. E quando va a trovare Chiquita in carcere si sente un’estranea.
La storia è costruita su una trama ridotta all’osso. Gli spazi si contano su tre dita: la casa, il carcere, l’auto. Non succede quasi nulla. “Le Ereditiere” è un film di atmosfere. In alcuni brevi momenti i toni diventano quasi surreali. Ecco allora che, nottetempo, una confessione piccante, che potrebbe concretizzarsi in qualche ora di passione (gli eventi sembrerebbero andare in quella direzione), si trasforma in un’assenza, in un vuoto carico di mistero, in episodio tra sonno e veglia, popolato di fantasmi.
Il finale arriva inatteso e brusco. E noi ci domandiamo che cosa ne sarà della protagonista.
Da segnalare che l’attrice Brun, che ci regala una straordinaria performance, è qui al suo debutto.