“Repulsione” è un film del 1965 diretto da Roman Polański. La protagonista è Catherine Deneuve, un’attrice francese che non ha certo bisogno di presentazioni. Il secondo lungometraggio di una carriera ancora attiva, e il primo in lingua inglese. Vince il gran premio della giuria al festival di Berlino e fa conoscere al pubblico un nuovo talento, pronto a diventare tra i migliori cineasti della sua generazione.
Repulsione, trama
Una ragazza di nome Carol vive a Londra, ospite dalla sorella, dove lavora come estetista. Un senso di smarrimento la travolge, portandola a distaccarsi dalla società. La sua mente perde lentamente la lucidità, arrivando ad avere delle visioni spaventose, che la paralizzano.
Repulsione, recensione
Roman Polański ha festeggiato da poco il 90esimo compleanno. Una lunghissima carriera cinematografica che lo ha visto trionfare tra gli autori più geniali del suo secolo. Con questo suo secondo lavoro, dimostra di avere fin da subito l’occhio attento per la regia. Una Catherine Deneuve diretta superbamente, che regala un’interpretazione preziosa.
Il film si presenta come un thriller, ricco di angoscia e suspense continua. Le inquadrature sono fantastiche e contribuiscono perfettamente alla resa finale. Ogni movimento di macchina si fa carico di tensione e il brivido, dovuto alle visioni allucinate della protagonista, si percepisce sin da subito. È un’opera ben realizzata, merito di una visione registica valida e pertinente. Stupisce come Polański abbia già le idee così chiare su come raccontare una storia, dal messaggio così ben strutturato e delineato.
Tutto il film ruota intorno alla bravura della Deneuve, che guida l’intera narrazione, per via della sua presenza, in ogni fotogramma della pellicola. Il regista concentra tutto il lavoro sulle espressioni adottate dall’attrice francese. Il risultato è grandioso ed emerge pienamente la paura e la malinconia sul volto della giovane interprete.
L’opera è lontana dai capolavori successivi, che interessano il regista polacco. Contiene però al suo interno tutti gli elementi tradizionali che vanno a contraddistinguere la sua filmografia. Vengono poste già le basi per quello che viene realizzato dopo. Per questo motivo si può considerare Polański, come un autore che mantiene una sua coerenza di fondo, appellandosi a una propria visione di cinema, che persegue scrupolosamente.
Lo spaccato moderno della donna occidentale
Polański rivela di avere una sensibilità fuori dal comune. In particolare quando parliamo di femminilità, il regista sembra avere una predisposizione unica nel comprendere la figura femminile, in tutte le sue sfaccettature. Descrive infatti una nuova concezione di donna, che si contrappone a quella rappresentata fino a un decennio prima. Il regista pone uno sguardo più autoriale e in linea con i tempi che sono, ovvero la metà degli anni 60. Il ritratto che ne viene fatto è inedito e si predispone in parallelo a quelle che sono le nuove correnti cinematografiche europee, che andavano a delinearsi in quel periodo.
L’autore racconta perciò una donna in crisi esistenziale, che non si riconosce più nei vecchi modelli predisposti dalla società. Il cambiamento radicale sembra alle porte e appare per questo traghettata verso una nuova fase storica, che acquista maggior consapevolezza e attribuisce maggior credito e merito alla figura femminile. La donna rappresentata da Polański vira verso una diversa rappresentazione di sé e una moderna misura di considerazione, ma il passaggio da una parte all’altra, risulta particolarmente drammatico.
Una visione maschile della società
Il tragitto verso un’innovativa elaborazione di giudizio, la porta a scontrarsi con una realtà cruda e violenta. È una società completamente maschilista, che orienta il suo sguardo in un’ottica tendenzialmente maschile, in cui la donna subisce il peso morale di essere tale. Una dura critica a un sistema conservatore e retrogado, che riduce la donna a un oggetto soggiogato alle volontà degli uomini. Attraverso le azioni compiute dalla protagonista e grazie al suo stato d’animo, comprendiamo una donna alienata da sé stessa, che prende atto di un mondo in fase di cambiamento, ma che allo stesso tempo rimane ancorato a determinati valori, definiti borghesi e benpensanti. Il film mostra quindi tutta la disperazione femminile e lo fa con un linguaggio malinconico e cupo, di profonda coscienza del fenomeno culturale che sta prendendo piede in Inghilterra. Questa sofferenza viene mostrata attraverso una prospettiva psicologica, che mira ad entrare nella mente del personaggio principale, illuminandone tutte le oscurità che si incastrano dentro di lei.
Il film trova delle somiglianze con alcuni lavori surrealisti di Luis Buñuel e Salvador Dalí, massimi esponenti del movimento. L’atmosfera tetra, in chiave horror, che aleggia per tutta la visione, è sicuramente notevole. Gli effetti speciali che possiamo notare nell’abitazione, dove è ambientata la gran parte della storia, sono ben curati e accentuano questo avvicinamento con la corrente del surrealismo. Un prodotto comunque grezzo e sporco, fintamente amatoriale, per avvicinarsi il più possibile alla realtà della rappresentazione.
In conclusione
Polański mette in evidenza uno spaccato della società contemporanea. L’epoca di mutamento culturale e antropologico che interessa l’essere umano, nella metà del secolo scorso, viene sviscerato dal regista stesso, attraverso una diagnosi della condizione femminile della donna. Un forte punto di vista, denuncia i maltrattamenti, di cui ella è costretta a subire. Il film analizza la fine di una sopportazione durata per troppo tempo, di un abbassamento di testa perpetuo, che adesso giustamente esige una ribellione. È la dimostrazione di come una visione maschile della società, sia stata talmente interiorizzata nella cultura di massa, da non accorgersi neppure delle evidenti colpe, commesse dall’uomo medio, durante delle singole azioni di violenza giornaliera. Il regista polacco, naturalizzato francese, si schiera dalla loro parte, prendendo posizione in maniera coraggiosa e realizzando un’opera progressista.