Inizia come un gioco quotidiano L’inganno di Sofia Coppola, con una bambina che raccoglie i fiori nel mezzo di un bosco deserto. Non mostra un cenno di esitazione nel passo, come se quei sentieri ormai fossero diventati un prolungamento della sua camera, tanto che li conosceva bene.
Ma la calma apparente, mista a un velo di inquietudine, si innalza quando, a rompere quell’usanza tanto attesa, compare un soldato gravemente ferito. Siamo nel pieno degli anni della guerra di Secessione, L’inganno narra di come l’innocenza spalanca le porte all’ignoto e delle relative conseguenze.
La pellicola si rifà alle vicende narrate in A Painted Devil, già adattato per il grande schermo da Don Siegel nel 1971 (La notte brava del soldato Jonathan). Ma a differenza dei suoi predecessori Coppola incentra la narrazione interamente sui personaggi femminili, restando fedele a quello che è il suo cinema.
Come avviene già nelle pellicole precedenti, sono le donne la lente d’ingrandimento del mondo che viene mostrato allo spettatore. E allo stesso tempo questo mondo continua a essere messo in discussione, estraniato dalla realtà, chiuso, stereotipato.
L’innocenza delle giovani protagoniste ricorda le cinque sorelle de Il giardino delle vergini suicide, come gli indumenti candidi che le connotano un’aura di benevolenza. Lo stesso dicasi per lo spazio verde sconfinato e la mancata interazione con il sesso opposto. In entrambi i lavori di Coppola l’equilibrio iniziale è messo in discussione dall’arrivo dell’uomo (Colin Farrell), designato come un nemico per la stabilità e il rigore affidato al genere femminile.
La differenza principale è che Coppola, in questo ultimo lavoro, si sia concentrata sulla figura femminile in maniera generale, le protagoniste infatti hanno tutte età differenti, diversi problemi e diverse sensazioni.
L’uomo invece, pur essendo indicato dalla collettività femminile come un pericolo, diventa subito l’oggetto del desiderio, scaturendo un risentimento celato nei volti innocenti delle protagoniste. Il voyerismo prende il sopravvento, alimentando la tensione erotica creatasi precedentemente tra le ragazze e il protagonista maschile. La scena che meglio rappresenta questa teoria è quella in cui Martha Farnsworth (Nicole Kidman) lava il corpo anestetizzato del soldato.
Sulla base di questi (ri)sentimenti le protagoniste perdono la loro lucidità per assecondare il desiderio umano. L’inganno è un intreccio che si sviluppa in gran parte sulla gelosia, dall’aggressione al soldato per mano di Edwina Dadney (Kirsten Dunst) fino all’insospettabile finale.
Lo stile registico di Coppola, il quale le valse la palma d’oro a Cannes nel 2017 per la miglior regia, subisce un cambiamento radicale. Nella prima parte lo spettatore è lasciato diverse volte all’esterno delle dinamiche narrative, lontano dagli intrighi e dai segreti, in una sequenza addirittura viene accompagnato visivamente fuori dal cancello. La percezione di questo mondo parallelo è limitata a piccoli sguardi fugaci, gli stessi che vengono concessi all’intruso.
I momenti di condivisione tra le ragazze sono immortalati dalla regista sempre in un controcampo, inquadrandole dalle spalle. Molto spesso i corpi dei personaggi secondari sono mutilati dalla testa in su, disumanizzati, indistinguibili l’una dall’altra.
Ma addentrandosi nella trama, i movimenti di macchina si ammorbidiscono, rivelano segreti e impulsi che – per le protagoniste – è meglio tenere a bada. La fotografia si imbrunisce e le candele diventano le uniche fonti di luci, estremizzando al massimo livello il mistero intorno alla quale ruotano le protagoniste.
L’assenza della colonna sonora, in favore di sole voci e suoni naturali, porta lo spettatore fino al cuore delle vicende, senza concedergli un momento di tregua. Questo elemento e la scelta di isolare le protagoniste dal resto del mondo rendono L’inganno un film claustrofobico, psicotico e piacevolmente inaspettato.
Voto Autore: [usr 3,5]