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Un bacio e una pistola, la recensione del film che cambiò tutto

Uscito nelle sale nel lontano 1955, il film di Robert Aldrich sarebbe stato destinato a influenzare la cinematografia mondiale negli anni a venire.

Siamo nel 1954 e al giovane regista Robert Aldrich viene affidato l’adattamento di un romanzo hard-boiled di Mickey Spillane intitolato Kiss me, deadly (Bacio mortale in italiano). Pochi potevano immaginare che l’opera che ne sarebbe derivata, intitolata Un bacio e una pistola (Kiss Me Deadly), avrebbe influenzato alcuni tra i più grandi registi che la storia del cinema avrebbe conosciuto negli anni a venire.

Ma facciamo un passo indietro. Robert Aldrich, regista di alcuni grandi successi come Che fine ha fatto Baby Jane?, Quella sporca dozzina, Quella sporca ultima meta, si cimenta come detto nella regia di Un Bacio e una pistola estrapolando alcuni punti fondamentali del romanzo di Spillane. Tuttavia la sua idea (in parte obbligata da parte della produzione, in parte riconducibile alla sua poetica che si sarebbe consolidata nelle opere successive) era di modificare sostanzialmente la trama.

Un bacio e una pistola

Un bacio e una pistola, l’inizio della fine

L’investigatore privato Mike Hammer (Ralph Meeker) vive e lavora a Los Angeles guadagnandosi da vivere ricattando mogli e mariti che nascondono qualche relazione extraconiugale. Una notte, un’attraente ragazza vestita solamente con un impermeabile gli si para davanti all’improvviso e lo fa andare fuori strada con la sua automobile. La ragazza in questione si chiama Christina (Cloris Leachman), è appena fuggita da un manicomio in cui è stata rinchiusa ingiustamente. Sembra spaventata, certa che qualcuno la stia seguendo. Mike da subito è affascinato da Christina, forse a causa del suo bell’aspetto, forse per l’alone di mistero che aleggia intorno alla sua figura. C’è una cosa che dice la ragazza che lo colpisce più di tutto il resto:

“Mi lasci a quella fermata dell’autobus e potrà dimenticare di avermi vista, se invece non dovessimo arrivarci, ricordati di me”.

Questa frase rappresenta una delle chiavi di Un bacio e una pistola, sia per quanto riguarda la storia (“ricordati di me” racchiude un importante indizio che condurrà al finale) sia per l’interpretazione della complessa figura di Mike, spinto a indagare sulla ragazza proprio a causa di queste ultime parole. Ma prima che i due possano arrivare a destinazione, un’auto gli taglia la strada, facendoli sbandare e svenire. Mike si risveglia brevemente all’interno di un luogo non ben definito e tutto ciò che riesce a vedere è la morte di Christina per mano di un misterioso individuo che indossa delle iconiche scarpe blu. Di seguito, Mike e il corpo della ragazza vengono caricati sulla sua auto e lanciati nell’oceano. L’investigatore riesce miracolosamente a salvarsi, risvegliandosi soltanto qualche giorno dopo in ospedale.

Una trama classica che di classico ha ben poco

Da qui in avanti la trama assume i contorni del noir classico, con l’indagine di Mike sugli assassini di Christina, aiutato dalla bella Velda (Maxine Cooper), la sua assistente, che lo porterà a scoprire un segreto stupefacente. Ciò che infatti tutti stanno cercando è una valigetta con all’interno un materiale prezioso, ma altrettanto pericoloso e mortale. La dinamica della ricerca di un oggetto di valore è sicuramente iconica del noir americano della prima metà del ‘900. Un esempio è il classico Il mistero del falco di John Huston. Ma è la valigetta dal contenuto misterioso (nel romanzo si tratta soltanto di droga) a fungere da vera e propria ispirazione per tantissime pietre miliari del cinema degli anni successivi. I predatori dell’arca perduta di Steven Spielberg e Pulp Fiction di Quentin Tarantino sono due degli esempi più lampanti dell’impatto che il film di Aldrich ha avuto.

Dei personaggi memorabili: Mike Hammer

Parlando dei personaggi di Un bacio e una pistola non possiamo che non partire dal suo protagonista assoluto, l’investigatore privato Mike Hammer. Aldrich, appoggiandosi alla caratterizzazione del personaggio che già Spillane aveva delineato, crea un anti-eroe perfetto. Lo si può definire anacronistico, se si pensa ad altri protagonisti di noir dell’epoca. Certo, le caratteristiche del burbero, brillante e sciupafemmine sono riscontrabili anche altrove, ma c’è qualcosa nel personaggio di Hammer che va addirittura oltre. E’ un uomo sadico e cupo, che spesso ricorre alla violenza non soltanto perché deve, ma perché prova una sorta di piacere nel farlo.

In tal senso è significativa la scena che si svolge nello studio del coroner in cui, per recuperare una chiave rinvenuta sul corpo di Christina, Mike schiaccia la mano del medico nel cassetto della sua scrivania. Sul volto dell’investigatore si dipinge un sorriso inquietante, come se appunto la strada della violenza non fosse l’unica possibile, ma quella che lui predilige. Questa è una sostanziale differenza rispetto ad altri noir dell’epoca, in cui i vari protagonisti sono sì anti-eroi, ma decidono di ricorrere alle maniere forti solamente quando questo è strettamente necessario.

Un affresco della società americana degli anni ’50

Oltre al tema della violenza, Un bacio e una pistola mostra anche altri aspetti di Hammer che in qualche modo dipingono un affresco crudo e realistico della decadente società americana di quegli anni. Ad esempio, percepiamo una forte tensione erotica del protagonista con tutti i personaggi femminili della storia (lo vedremo intento a baciare almeno 3 ragazze diverse in tutto il film, spesso senza una reale motivazione). Questa è un’altra grande critica alla società viziosa che Aldrich osservava quotidianamente, in cui l’amore viene spogliato di tutte le possibili connotazioni profonde e sentimentali, e ridotto a mero istinto carnale, quasi animalesco.

Senza ulteriori sforzi interpretativi, una descrizione perfetta di Mike ce la fornisce proprio Christina in una delle prime scene:

“Lei ha soltanto un unico, grande, amore: sé stesso. È uno di quegli uomini egocentrici, che pensano soltanto ai vestiti, alle macchine, a sé stesso. Scommetto che tutte le mattine fa flessioni per tenersi in forma. Lei è una di quelle persone che in un rapporto non concede mai niente, prende soltanto”.

Un bacio e una pistola

Dei personaggi memorabili: ognuno è al proprio posto

I personaggi secondari di Un bacio e una pistola non sono però da meno. Velda è una donna forte, indipendente, che si svincola dal prototipo classico della femme fatale. Si dimostra non soltanto molto intelligente e consapevole del suo rapporto con Mike, ma anche un alleato imprescindibile per il nostro protagonista.

Gabrielle (Gaby Rodgers), la finta coinquilina di Christina, è un altro personaggio femminile forte e capace di raggirare persino Mike, portandolo a scoprire l’ubicazione della valigetta per poi soffiargliela da sotto il naso.

Il dottor Soberin (Albert Dekker), il vero antagonista del film, in una manciata di minuti riesce a conquistarsi la palma di “super-villain”, tanto affascinante quanto spietato nelle sue azioni, finendo però per perire in maniera quasi comica.

E parlando infine proprio degli aspetti divertenti nel senso più ludico del termine, ci sono dei siparietti tra Mike e alcuni ruoli minori che strappano più di un sorriso. In queste scene il protagonista ha che fare con personaggi esponenti del sottobosco etnico degli USA negli anni ’50, i quali sono sempre dotati di caratteristiche al limite del caricaturale. Ma spesso, tali caratteristiche, riescono anche a enfatizzare momenti drammatici: il meccanico greco miglior amico di Mike, il traslocatore e il tenore italiani, il barista di fiducia afroamericano. Un cast e dei personaggi unici e tutti azzeccati, per una pellicola memorabile.

Una regia magistrale: un’apertura iconica

Già dalle primissime inquadrature di Un bacio e una pistola capiamo di aver a che fare con una regia che avrebbe fatto scuola (non soltanto negli Stati Uniti, ma anche e soprattutto in Europa).

Christina che corre, vestita solo col suo impermeabile, sulla strada è un esempio perfetto. Iniziamo su un carrello veloce dei suoi piedi nudi che corrono veloci sull’asfalto, per poi finalmente mostrarcela a figura intera. Poi si ferma, prova ad attirare l’attenzione di un’auto in un montaggio veloce di primi piani. L’auto sfreccia via e allora Aldrich ci mostra di nuovo i piedi della ragazza, di nuovo il suo incedere per poi fermarsi a scrutare la strada, di nuovo il fallimentare tentativo di farsi notare da un automobilista. Il tutto scandito dall’ansimare costante e quasi monotonale di Christina.

Subito dopo, quando riesce finalmente a far fermare Mike, iniziano a scorrere i titoli di testa su un’inquadratura fissa dell’auto in movimento, posta alle spalle dei due passeggeri, con l’accompagnamento musicale di Nat King Cole con la canzone I’d Rather Have the Blues che viene annunciata alla radio proprio pochi istanti prima che compaia il titolo.

Una conduzione impeccabile

In generale, per tutto il film, si ha l’impressione che la regia di Aldrich sia certo figlia dei suoi tempi, ma con una generale ricercatezza delle inquadrature che sorprende e affascina. Gli shot talvolta sono misurati e simmetrici, talvolta invece giocano con inclinazioni particolari e stranianti, tanto da innestare nello spettatore una certa curiosità per l’inquadratura successiva che alla lunga si può effettivamente percepire distintamente.

Un bacio e una pistola

Il fuoricampo, come da tradizione noir, la fa da padrone, con inquadrature che spesso ci mostrano soltanto una parte del corpo di un personaggio (i piedi del dottor Soberin ad esempio) o nascondono dettagli importanti ai fini della risoluzione dell’indagine.

Il sonoro è molto importante e si focalizza su alcuni elementi distintivi e riconoscibili come l’ansimare ritmato di Christina all’inizio del film o il suono straniante della valigetta quando viene aperta.

La regia di Aldrich è quindi un mix tra vecchio e nuovo, con alcune trovate che, come detto, avremmo rivisto più tardi nel cinema francese della Nouvelle Vague e in quello postmoderno di Tarantino e Lynch.

Una piccola curiosità riguardante il finale: nella versione distribuita in Europa vengono tagliati alcuni minuti, mostrando una scena finale (e quindi un senso complessivo dell’opera) completamente diverso rispetto a quello della versione americana.

Un bacio e una pistola

Un bacio e una pistola, conclusioni

Un bacio e una pistola è un grande film, precursore di tanti modi odierni di fare cinema, ma che contestualizzati nel periodo in quel periodo appaiono sorprendenti. La critica alla società americana, la riflessione sulla sessualità quasi animalesca, le tante scene d’azione in cui la violenza appare sproporzionata rispetto a opere coeve, i personaggi memorabili e una regia estremamente “moderna” fanno di Un bacio e una pistola un piccolo gioiello degli anni ’50, un punto di riferimento mondiale non soltanto per il genere noir, ma per il cinema intero.

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Un bacio e una pistola è un film sorprendente, sia se contestualizzato nell’epoca in cui è uscito, sia per quanto riguarda l’impatto che ha avuto su grandi autori della storia del cinema. L’impressione è che senza l’avvincente indagine di Mike Hammer, oggi non avremmo tanti dei film che siamo abituati a chiamare capolavori.
Riccardo Orazzini
Riccardo Orazzini
Laureato in Discipline dello spettacolo e con un master in Arti del Racconto, sono appassionato di cinema, serie TV e videogiochi praticamente da sempre. Sono anche uno sceneggiatore e spazio tra tutti i generi possibili, dal drama all’horror splatter, dalla comedy al più strappalacrime dei film romantici.

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