Umma, film horror uscito nel 2022, vede in cabina di regia una donna al suo debutto (Iris K. Shim) e ha un padrino d’eccezione: Sam Raimi.
Raimi, mitico regista dell’horror di culto La casa che ha creduto da subito nel progetto, lo ha prodotto. La sua decisione non sorprende: Umma è un horror decisamente riuscito.
Non gli mancano gli ingredienti più accattivanti del genere: le dinamiche familiari malate, il soprannaturale, la maledizione che perseguita, il ritorno dalla morte.
Umma, la trama
Amanda (Sandra Oh) è una statunitense di prima generazione figlia di emigrati coreani che hanno lasciato il loro Paese per inseguire un sogno. Negli USA è cresciuta, ha cresciuto una figlia, Chrissy (Fivel Stewart), e avviato un’attività come apicoltrice.
In occasione della morte di sua madre (la Umma del titolo), avvenuta in Corea, riceverà la visita di uno zio che le porterà una valigia contenente gli oggetti cari alla madre e le sue ceneri. E’ qui che inizieranno ad accadere cose terribili.
Umma, la figura della madre-mostro
Prima di Umma molti film hanno raccontato il volto più perturbante della figura materna: quello talvolta sadico, eccessivamente oppressivo, soffocante.
Se un film come Psyco (1960) aveva messo in campo una madre traumatizzante al punto da spingere il figlio a compiere omicidi mettendosi letteralmente nei suoi panni, in Umma la madre è un fantasma del passato che torna ad ossessionare sua figlia. Un’assenza che, come in Psyco, è più presente che mai.
Il cinema coreano è fecondo di madri terribili: si pensi alla terribile madre vendicativa di Pietà (2012) di Kim Ki-Duk, forse la madre più terrificante mai vista al cinema.
A giudicare dal loro cinema, pare proprio che in Corea le madri siano pronte a tutto in nome dei figli: almeno questo si percepisce guardando un film come Mother (2009) di Bong Joon-ho.
In questo film vogliono punire le proprie figlie per aver osato distaccarsi da loro. Perché il legame tra genitrici e figli è indissolubile, anche dopo la morte.
Il messaggio che emerge potentemente dal film parla soprattutto alle donne: bisogna rielaborare il proprio rapporto con la figura materna, altrimenti si rischia di riproporne le dinamiche quando ci si relazione con i propri figli.
Malgrado sia una madre amorevole e animata dalle buone intenzioni, infatti, Amanda tende a riproporre, più o meno inconsapevolmente, alcune dinamiche che poi sarà in grado di evidenziare e scongiurare nel corso della storia: dallo scontro diretto con colei che l’ha messa al mondo, emergerà una donna (e una madre) nuova.
Umma, tra emigrazione e trauma
Il distacco dalla madre, in Umma, equivale alla separazione di sua madre dalla madreterra: separazione che avviene quando la famiglia di Amanda decide di trasferirsi negli Stati Uniti. Se il padre si ambienterà perfettamente nel nuovo Paese, lo stesso non avverà alla madre.
L’emigrazione per cercare fortuna all’estero è uno dei temi del film, anche se il film ribadisce un concetto che è caro al cinema horror: per quanto tu possa allontanarti da un luogo o da una persona, i tuoi demoni ti seguiranno sempre.
Qui il demone non è solo familiare, quindi vicino, ma è interiore: tanto che la madre, che pretende di non essere separata da sua figlia, ne prenderà letteralmente possesso. Ci vorrà tutto il coraggio della donna per spezzare questo “incantesimo” persecutorio e far riposare in pace la tormentata genitrice.
Il personaggio di Amanda, dietro l’apparente felicità, è innanzitutto quello di una donna traumatizzata. Afflitta da traumi dei quali non riconosce la vera origine, sui quali, negli anni, si è inventata delle storie.
L’incontro con la presenza malefica della sua Umma li farà riemergere e obbligherà Amanda a condividerli anche con sua figlia, rinforzando il legame tra loro.
Umma, il cast
Come abbiamo scritto in apertura, Umma è diretto da Iris K. Shim: una regista che lavora anche come montatrice cinematografica. Il suo film di esordio, The House of Suh (2010), era un documentario dalle tinte decisamente horror: la storia vera dell’omicidio avvenuto nella famiglia Suh, una famiglia di immigrati sud-coreani.
Di origini sud-coreane è anche la protagonista Sandra Oh, sebbene sia nata nella cittadina canadese di Nepean. Oh è diventata famosa nel nostro Paese per aver preso parte alla serie tv Grey’s Anatomy nei panni della dottoressa Cristina Yang. Il suo ultimo film è Quiz Lady (2023) di Jessica Yu, mai uscito nelle sale italiane.
A farle da spalla è una giovane attrice che è uno splendido melting pot di etnie e culture: la bellissima Fivel Stewart, che interpreta la figlia Chrissy. Stewart può vantare origini molto variegate: la madre ha origini giapponesi, coreane e cinesi, suo padre origini russe, scozzesi e native americane. In Italia è conosciuta soprattutto per aver recitato nella serie Netflix Atypical.
Non manca una controparte maschile di rilievo, come quella dell’amico di famiglia interpretato da Dermot Mulroney, che le spettatrici oltre i trent’anni non hanno mai dimenticato in Il matrimonio del mio migliore amico (1997), in cui interpretava l’amore impossibile nonché “migliore amico” di Julia Roberts.
Negli anni Mulroney, oltre ad essersi incanutito, è decisamente cresciuto: ha preso parte a pellicole come Zodiac di David Fincher (2007), Burn After Reading – A prova di spia di Joel Coen (2008), J Edgar di Clint Eastwood (2011), I segreti di Osage County di John Wells (2013). Proprio in quest’ultimo, tra l’altro, si racconta una storia che, come Umma, vede al centro una madre terribile, interpretata da Meryl Streep.
Umma, le conclusioni
Alcuni hanno criticano Umma per essere pieno di cliché e, tutto sommato, privo di reale suspence.
A nostro parere, invece, ciò che prevale in questo film è l’esplorazione profonda ed efficace del rapporto madre-figlia che lo rende più un thriller psicologico, unito ad ottime interpretazioni e ad una durata breve che alleggerisce e non rende mai indigesto il film.
Poi, ammettiamolo: chi di noi non avrebbe bisogno di riflettere sul proprio rapporto con la figura materna?