HomeCapolavoriUmberto D., il capolavoro malinconico di Vittorio De Sica

Umberto D., il capolavoro malinconico di Vittorio De Sica

Umberto D. è un film di Vittorio De Sica, con protagonista un anziano signore che lotta per vivere gli ultimi anni della sua vita aggrappandosi ad un’esistenza dignitosa. Umberto Domenico Ferrari (Carlo Battisti) rappresenta uno strato sociale che non serve più allo Stato; dopo una vita trascorsa a “servire”, proprio lo stesso, l’abbandono è l’esito più probabile per un uomo ormai non più produttivo.

La parabola di Umberto D. è un ritratto impietoso di un’Italia che non può permettersi di prendersi cura degli ultimi, degli emarginati, dei pensionati costretti alla povertà e, soprattutto, soli al mondo. La compagnia più intima e sincera che accompagna Umberto è il suo cane Flike, l’unica anima che sembra accorgersi della sua presenza, restituendogli tutto l’amore possibile.

Vittorio De Sica, con il suo inseparabile sceneggiatore Cesare Zavattini, realizza questo nel film nel 1952, anno in cui il neorealismo inizia già a mostrare i primi segni di cedimento, lasciando il passo ai nuovi autori del cinema italiano. Nel 1952, il Senato vara la “legge Scelba” che vieta la formazione e la riorganizzazione di partiti e movimenti neofascisti, mentre a Milano il 10 febbraio viene installata la prima cabina telefonica in piazza San Babila. Il vecchio e il nuovo insieme, in un’Italia che ha ancora un passo tra le macerie del secondo dopoguerra, e un altro invece verso il progresso, quel tanto agognato boom economico.

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In tutto questo, De Sica, riavvolge per un attimo il nastro e ricorda al paese che non tutti sono in grado di acquistare la prima Fiat 600, o il televisore. C’è chi, invece, come Umberto D. che fatica a mangiare, mentre un’antipatica e scontrosa padrona di casa minaccia lo sfratto dell’anziano.

Umberto D. – la trama

umberto d.

Umberto D. fatica ad avere una vita tranquilla. L’incedere delle sue giornate si fanno sempre più travagliate, a partire dalla sua difficoltà a pagare l’affitto. Pena lo sfratto. Ragion per cui si ritrova costretto a svendere i suoi oggetti, poiché i soldi della pensione non sono sufficienti. Non riuscendo ugualmente ad estinguere i suoi debiti, che si aggiungono alla sua già grama esistenza.

Il film si apre con un’orda di anziani inviperiti mentre protestano per le strade di Roma. Gridano: “Vogliamo vedere il ministro, non potete trattarci così”. Un piccolo fiume di persone abbandonate a se stessi che decidono di scendere in piazza per rivendicare i loro diritti. Tra questi, si nasconde, il protagonista, Umberto, che con un filo di voce, tra le grida della massa, prova a far sentire anche la sua.

L’unico personaggio con cui Umberto riesce a creare un legame sincero, affettivo è con Maria (Maria Pia Casillo), la “serva” della casa, una ragazza minuta e perbene. Entrambi, condividono difficoltà e preoccupazioni. Maria è incinta, ma è costretta a tenere la gravidanza nascosta altrimenti la padrona (Lina Gennari) la caccerebbe di casa.

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Ammalato e indebolito dai malanni di stagione, Umberto prova come può a sbarcare il lunario, tra le indifferenze e le insensibilità della gente. Menomale che c’è Flike che con il suo amore riesce a curare l’animo ferito di Umberto.

Una favola di povertà

Umberto D.

Il pedinamento zavattiniano restituisce un quadro drammatico del quotidiano di Umberto, che si ritrova a dover vendere oggetti pur di racimolare qualche spicciolo per pagare l’affitto. In tutto questo, la regia formale di De Sica, fatta di rigore essenziale e di inquadrature fisse, costringe Umberto in uno spazio che non gli appartiene realmente.

La stanza in affitto non è mai stata sua. Anche se ci vive da molto, la sua instabilità economica, ha fatto sì che i luoghi in cui abita non hanno mai avuto un aspetto accogliente, di casa, di rifugio dal mondo esterno. Anzi, all’opposto, Umberto non è mai a suo agio. La porta sempre aperta in cui può entrare chiunque in qualsiasi momento, i rumori e il baccano degli ospiti della padrona, sono un costante inquinamento sonoro che fa da sottofondo all’intero film.

In Umberto D., la regia e il suono, sono finalizzati a descrivere l’esistenza precaria del protagonista, a partire dal suo stato di salute, sempre più febbricitante e fragile. Fino al ricovero in ospedale per una brutta tonsillite, che risulta essere, nella situazione di Umberto, un’opportunità di ristoro e di riposo.

 In gioco c’è la sopravvivenza di sé stessi. In ospedale, Umberto incontra un ammalato (Memmo Carotenuto), un personaggio con cui condivide le stesse sventure, testimone di un barlume di speranza che fa della condivisione un collante tra essere umani.

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Umberto D. – la recensione

Umberto D.

Umberto D. è una favola crudele, spietata, intrisa di malinconia e realismo. Negli anni della ricostruzione, De Sica esorta tutti quanti a ricordarsi degli ultimi, non si può ricostruire un paese lacerato dalla guerra lasciando indietro i più fragili. La costruzione edilizia, il progresso, il benessere, non possono essere gli unici fattori meritevoli di attenzione e di salute, se poi non si è in grado di prendersi cura dei più deboli.

Umberto non sa nemmeno come si chiede l’elemosina. In una scena capolavoro, Umberto lascia che sia il suo cane, Flike, con il cappello in bocca, a farlo. Per poi pentirsene subito dopo. In pochi minuti, Vittorio De Sica racconta un mondo, e lo fa senza inutili pietismi e commiserazione.

Vittorio De Sica, artista unico e immenso, con Umberto D. ha raggiunto vette altissime. Così come tutta la sua filmografia, da Miracolo a Milano, I bambini ci guardano, Sciuscià, Ladri di Biciclette, Ieri, oggi e domani, Matrimonio all’italiana, Il giardino dei Finzi Contini e tanti altri.

 L’eredità del suo cinema ha avuto un filo che si è dipanato nel tempo, da Christian De Sica che ha raccolto il testimone del padre costruendo una carriera fondata sul lavoro e sull’umiltà. Diventando uno degli attori più amati degli italiani, contagiati dall’entusiasmo e dalle risate dei suoi film. Fino a Brando De Sica, nipote di Vittorio, che ha fatto già vedere con il suo esordio cinematografico, Mimì – Il principe delle tenebre (2023), di saper maneggiare con originalità e bravura generi meno battuti nel nostro cinema, come l’horror e il noir.

Per finire, regalarsi un giorno la visione di Umberto D. è un dono di umanità incredibile. Una pellicola dal tono chapliniano, in cui si incontrano il dramma e la malinconia, non senza la speranza di un futuro migliore.

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Umberto D. è un capolavoro del cinema italiano. La sua capacità di inquadrare un'epoca così amara è di una precisione storica notevole. In più, il film riesce ad emozionare e colpire gli spettatori come poche pellicole nella storia del cinema.
Valerio Autuori
Valerio Autuori
Con le storie ho un rapporto speciale, amo il cinema e la sua capacità di incantare e di raccontare il mondo. Da piccolo, Chaplin mi conquistò completamente. Da lì ho scoperto altri registi meravigliosi, Keaton, Wilder, Hitchcock, Allen e poi, il cinema italiano, amore incondizionato, tra Fellini, De Sica, Monicelli, Scola, Troisi e tanto altro ancora.

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