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True Detective: il tempo è un cerchio piatto

True Detective, serie culto del 2014 firmata HBO e diretta da Cary Joji Fukunaga, è rimasta nell’immaginario collettivo senza andar via del tutto. Scritta da Nic Pizzolatto, la serie ha dato la possibilità a due attori tanto diversi quanto complementari, Matthew McConaughey e Woody Harrelson, di bucare lo schermo con interpretazioni memorabili.

True Detective ha guadagnato, meritatamente, anche numerosi riconoscimenti. Vincitrice di 2 Emmy Awards per Miglior regia per una serie drammatica e Miglior fotografia (Adam Arkapaw), la serie ha anche permesso all’istrionico Matthew McConaughey di ottenere un bel Golden Globe come Miglior attore in una miniserie o film per la televisione.

True detective

True Detective, però, non è solo una serie interessante e godibile, piena di attori capaci e dall’impatto visivo conturbante. C’è un universo narrativo complesso che si cela dietro quest’apparenza, che merita di essere sondato. Il sottotesto si insinua in ogni angolo, nei simboli sapientemente collocati in ognuno degli otto episodi della prima stagione.

Coglierne il senso, specialmente quello più recondito, permette di trarre una spiegazione più che esaustiva di un prodotto che è diventato l’esempio più felice del sovvertimento del genere poliziesco. Con le sue discromie crude, questa serie offre una finestra sull’abisso dell’animo umano, in cui Bene e Male si sfiorano e si allontanano come in una macabra danza senza fine.

True Detective – Trama

Ci troviamo in un’afosa e soffocante Louisiana, costellata di campi aperti e silenziosi bayou che sembrano accompagnare le vicende dei protagonisti con il loro scorrere inesorabile tra i guadi. La narrazione visiva della prima stagione di True Detective si snoda attraverso due linee temporali, intrecciando passato e presente in un’indagine che scava nelle profondità dell’inconscio.

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Nel 1995 i detective della polizia di stato, Rust Cohle e Marty Hart, si trovano di fronte a un omicidio raccapricciante: il corpo di una giovane donna, Dora Lange, viene rinvenuto in un campo, in una scena che suggerisce un rituale macabro. I due esperti, costretti a collaborare, non potrebbero apparire più diversi.

True Detective

Cohle è un uomo tormentato dal suo passato e con una visione nichilista dell’esistenza, all’apparenza cinico e con la mente costantemente immersa in pensieri angosciosi. Si dedica pervicacemente all’indagine mettendoci anima e corpo, sempre più ossessionato dalla ricerca della verità.

Hart, al contrario, è un poliziotto tout court, semplice ma passionale, legato alla sua sfera familiare ma distratto dalle tentazioni che lo circondano. Nondimeno anche lui, come Rust, si sente schiacciato dal peso della sua mortalità, che lo obbliga a fare i conti con i propri lati oscuri.

Con un balzo temporale si giunge poi al 2012, quando Cohle e Hart, ormai ex detective, vengono interrogati separatamente da due agenti della polizia di stato. Il caso di Dora Lange è stato riaperto, e i nuovi investigatori sono alla ricerca di risposte che potrebbero essere state trascurate in precedenza.

Attraverso i racconti dei due protagonisti, ripercorriamo i diciassette anni che li hanno visti impegnati nella caccia a un assassino sfuggente, un’indagine che ha segnato profondamente le loro vite e le loro convinzioni.

True Detective – Recensione

Se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te: così asseriva il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche non molto tempo fa. La massima, quanto mai attuale, sembra essere stata pensata per descrivere in poche battute il senso ultimo di True Detective.

L’esistenza, abisso insondabile e soffocante, confuso e vorticoso, spinge i protagonisti ad interrogarcisi inevitabilmente, a seguito di esperienze che li hanno segnati, seppur in maniera differente. Paludosa come la Louisiana, la vita di Rust e Marty si dipana lentamente sotto gli occhi attenti e curiosi dello spettatore, che inizia a carpirne gradualmente virtù e fragilità.

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La stessa affannosa ricerca del colpevole degli omicidi costituisce solo uno spunto per iniziare a sondare lo strapiombo esistenziale in cui tutti i personaggi sono immersi. Le atmosfere cupe e degradanti che fanno da sfondo agli eventi sono tutt’altro che casuali. Esse, con il loro silenzio eloquente, sono l’allegoria trasposta del cosiddetto male di vivere e delle sue amare declinazioni.

I campi lunghi e le riprese a volo d’uccello sono elementi essenziali del racconto visivo, in cui la Louisiana appare intenzionalmente ancora più desolata e come preda di un sinistro sortilegio. L’oscurità che lì vive e prospera è come se infettasse, col suo turpe grigiore, anche gli animi più candidi e innocenti.

L’unica soluzione a questo inferno potrebbero essere le numerose chiese e congregazioni che inneggiano a Cristo e alla sua salvezza, nella terra dimenticata dei bayou. A quella corruzione può contrapporsi solo la parola del Signore.

La fotografia plumbea e il montaggio deciso corroborano questa intenzione: scene violente e disturbanti si alternano a dialoghi filosofici ed esistenziali, al limite del nichilismo. Specialmente Rust regala delle riflessioni altamente illuminanti (seppur pessimiste e iperboliche) sulla vita e sul male, senza però mai scadere nella sterile commiserazione.

Rust, eroe di un mondo malvagio

Rust Cohle è un personaggio complesso, stratificato, palesemente tormentato da un passato difficile e da una visione tragica della vita. La sua filosofia nichilista lo porta a considerare la vita come un ciclo di sofferenza privo di significato.

La sua solitudine è sia una condanna che una fonte di forza che gli permette, suo malgrado, di concentrarsi sulla ricerca della verità senza distrazioni. È un osservatore acuto, dotato di un’intelligenza analitica e di una capacità di introspezione che lo rendono più che adatto al lavoro di detective.

Queste abilità ne fanno uno spettatore consapevole della drammaticità che lo circonda, alla quale, per quanto possibile, cerca di porre rimedio in nome della giustizia. Tutti vogliono confessare, vogliono che sia catartico…, rivela Rust durante la conversazione con i due agenti.

Per quanto perpetratore del male, ogni peccatore intende redimersi. La confessione, come un sacramento, è l’atto finale a cui queste anime perdute aspirano. Rust gliela concede, sapendo che non sarà sufficiente a lenire i loro patimenti.

Marty e la coscienza dell’uomo normale

Marty rappresenta l’opposto di Rust. Pragmatico, legato alla sua vita familiare e alle convenzioni sociali. È un detective competente ma la sua visione del mondo è più superficiale e meno tormentata di quella di Rust.

La sua vita personale è segnata da contraddizioni e debolezze, che emergono gradualmente nel corso dell’indagine. Il suo scopo nella vita sembra essere quello di mantenere un’apparenza di normalità, ma la sua dimensione interiore è segnata da conflitti e insoddisfazioni.

Questi tumulti fa fatica ad esprimerli, non riuscendo a confidarsi neanche con sua moglie Maggie (Michelle Monaghan). Marty è uno di quelli che in superficie segue le regole ma di notte, avviluppato dai suoi pensieri, ne teme la triviale natura.  Si confessa per poi peccare di nuovo, e preferisce non ammettere i propri sbagli pur di non doverci fare i conti.

Picchiato dal padre quando era solo un bambino, pare volerne superare i metodi violenti, eppure lui stesso tende inevitabilmente a ferire chi lo ama.

Il contrasto tra Rust e Marty, in sostanza, rappresenta la linfa vitale della serie. Le loro differenze di personalità e di visione del mondo creano una tensione costante, ma anche una dinamica complementare. L’intelligenza analitica di Rust e il realismo di Marty si combinano per formare una squadra investigativa eccellente, che non si arrende facilmente alle avversità.

I due detective credono, benché partano da due punti di vista differenti, che la giustizia debba compiersi. Non importa quale sia il prezzo da pagare. Forse, sono più simili di quanto credano.

Carcosa, il regno dell’immor(t)alità

Col passare del tempo, in True Detective le granitiche certezze dei protagonisti iniziano a vacillare. Ormai permeata dal sudicio male che è insito in ognuno, la società diventa vittima di un’immoralità senza precedenti: è il regno di Carcosa che prende il sopravvento. Cos’è “Carcosa”? La metaforica città, citata nella serie e indicata come luogo di perdizione, rappresenterebbe in realtà più uno stato mentale che un vero luogo fisico.

Tuttavia, grazie alla maestria degli scenografi e dello showrunner, la mitica Carcosa, al pari di Babilonia, prende forma in un regno fatto di simboli esoterici, stupri e riti sacrificali. In questo labirinto di morte, il Re Giallo (di cui si fa menzione ma di cui si ignora l’identità) conduce gli esseri umani verso la follia.

Perfezionata dallo scrittore Robert W. Chambers, Carcosa viene idealmente rappresentata come un luogo di decadenza e orrore mentre, nella serie firmata HBO, diventa una sorta di angolo della mente. Qui vi si annida, come edera infestante, tutta quella perversione e quella violenza inaudita che macchia, chi più chi meno, ogni essere umano.

Questa potenza corruttrice è ovunque, in chiunque, e lascia pochi superstiti sul suo cammino. Rust e Marty, come eroi d’altri tempi, cercheranno di giungere alla fine di questo incubo, tentando di ristabilire l’ordine in un mondo dominato dal Caos.

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

True Detective è un misto di perizia filmica e talento attoriale. Un tenebroso viaggio nell'animo umano in cui ci si addentra sempre di più, come in una vorticosa scala a chiocciola. Risalire è impossibile, si viene catturati per sempre. Il rewatching è d'obbligo, poiché permette di cogliere dettagli che non sono subito manifesti!
Marcella Calascibetta
Marcella Calascibetta
La mia passione per la parola scritta è sbocciata pienamente all’età di sedici anni e, per mia fortuna, non è mai scemata. Quella per la settima arte, invece, credo di averla avuta dalla nascita. Hitchcock, Kubrick, Bava, Argento, Von Trier e Fellini hanno saputo, con il loro talento, accendere questo fuoco che mi accompagna da che ho memoria, rendendo il momento della visione cinematografica un felice incontro di tecnica e sentimento.

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