Sbarcato da poco su Netflix e già in cima alle classifiche dei più visti sulla piattaforma streaming, Time Trap è un film d’avventura unico nel suo genere. Scritto e diretto da Mark Dennis e Ben Foster, coppia di registi che avevano già collaborato insieme per il piccolo prodotto festivaliero String, anche Time Trap ha una evidente origine indipendente, a cominciare dall’idea a basso budget e dal cast di attori semi-sconosciuti.
Un gruppo di ragazzi cerca in una grotta misteriosa il loro professore di archeologia Hopper (Andrew Wilson, fratello di Luke e Owen), che si era avventurato nella grotta per saperne di più della fine dei suoi genitori, spariti lì dentro quarant’anni prima. Dentro la grotta, il gruppetto di ragazzi, formato dalla scalatrice Cara, sua sorella più piccola Veeves, e gli amici Taylor e Jackie, si rende presto conto che lì il tempo funziona in maniera diversa e che più tempo passano lì dentro più sarà difficile uscirne.
I registi riescono a creare con Time Trap un paradosso temporale originale, che non risponde esattamente ai canoni del viaggio del tempo, ma crea più somiglianze con il mito della Fonte della Giovinezza, che nel film, secondo le credenze locali, è appunto quello che si trova all’interno della grotta. L’idea quindi è fin da subito vincente e anche l’esecuzione praticamente in unità di tempo e quasi di luogo non presenta cedimenti, anzi.
La tensione e la curiosità sono sempre tenute a un certo livello sopra la soglia e, per quanto le sorprese non siano mai troppo fantasiose, il continuo saltare da un genere all’altro funziona. È quello che tiene viva l’attenzione: non sono solo plot twist, che a rimanere in un solo genere avrebbero rischiato di essere già visti o anticipabili; sono proprio salti netti e continui da convenzioni tipiche di un genere a quelle tipiche di un altro.
Il film quindi passa dal genere d’avventura tipo Goonies, con tanto di personaggi di contorno di comic relief (in questo caso il ragazzino strano Furby e la ragazza senza peli sulla lingua Jackie) e menzioni dirette, all’horror fantascientifico che ricorda Pitch Black, con qualcosa di misterioso che si muove nell’ombra e fa vittime, fino al puro low-fi stile Predestination e infine addirittura al distopico apocalittico, simile alla premessa di Wall-E.
Altre influenze sono sicuramente i film d’avventura degli anni ’80, il già citato Goonies ma anche Tremors o Indiana Jones. Soprattutto nelle dinamiche tra i personaggi si avverte un certo gusto nostalgico per il cinema di quegli anni, ma purtroppo da quel punto di vista non arriva a meta. Infatti, il punto debole del film sono sicuramente la recitazione estremamente piatta e anonima degli attori e la poca tridimensionalità dei personaggi, per quanto dotati di una certa parlantina. I modelli sono chiari, purtroppo però dei personaggi non sappiamo niente e anche affezionarci alle loro difficoltà risulta estremamente difficile. Non che questo sia lo scopo di un film che li usa più come pretesti dentro a una storia già preordinata che veramente personaggi con un proprio libero arbitrio.
Infatti, il punto centrale del film è l’idea. Di azione ce n’è ben poca e più che altro concentrata nel finale. Fino ad allora tutto il film è disvelamento, in modo calibrato, dell’idea centrale. Fino a metà film infatti lo spettatore sa circa cosa sta accadendo, ma non in maniera esatta. Le sorprese che man mano portano alla realizzazione di quello che accade nella grotta sono quello che traina il film, non tanto i personaggi o le loro azioni. Peccato però, perché con anche quella dimensione in più, sarebbe diventato veramente un gioiellino.
Trovare dei film pensati e scritti intelligentemente è sempre una bella sorpresa, soprattutto quando tanti film sono pensati e scritti in modo furbo più che intelligente. Alcuni difetti ci sono, tipo appunto gli attori e i personaggi e qualche stereotipo un po’ trito (degli alieni e dei cavernicoli, che, tra l’altro, nessuno pensa a salvare), ma si possono tranquillamente sorvolare per una serata di intrattenimento divertente e talvolta di tensione.
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