HomeRecensioni FilmThirst (2009), i vampiri di Park Chan-wook

Thirst (2009), i vampiri di Park Chan-wook

-

Se si è alla ricerca di un film dove il sangue scorre a fiotti, ma al contempo permeato di autorialità, Thirst di Park Chan-wook è la scelta perfetta.

Vincitore nel 2009 del Premio della Giuria a Cannes, incarna a pieno l’indole postmodernista del regista. Park, per la prima volta, scompone stilemi e convenzioni dell’horror vampiresco per poi riadattarli alla società contemporanea sudcoreana e ci riesce alla grande.

Un’operazione concettualmente notevole, che va ammirata per aver dato nuova linfa vitale a un filone cinematografico negli ultimi anni vittima di troppe sterili reiterazioni.

Nel ruolo del protagonista ritroviamo, per la quarta volta in un film di Park Chan-wook, il celebre Song Kang-ho. Ad affiancarlo una giovane, ma sensazionale Kim Ok-bin.

Thirst: la trama

Park Chan-wook non solo regista, ma anche soggettista e sceneggiatore assieme a Jeong Seo-kyeong, per la storia si ispira a Teresa Raquin di Émile Zola.

Un prete cattolico di nome Sang-hyun (Song Kang-ho), secondo lo spirito di sacrificio cristiano, si offre volontario per una ricerca medica volta a debellare il virus Emmanuele.

Entrato in clinica, viene infettato con l’agente patogeno per poterne studiare gli effetti. Con il passare dei giorni i sintomi si aggravano fino a portare il fisico di Sang-hyun ad un collasso apparentemente fatale. Rinviene improvvisamente grazie a una trasfusione di sangue non umano che lo trasforma in vampiro.

Vittima di tutte le tentazioni carnali e di una sete incontenibile, dovrà mettere in discussione i propri valori, specie quando si innamorerà della giovane Tae-ju (Kim Ok-bin).

Thirst

Un punto di vista inusuale per ritrarre un vampiro

Thirst si caratterizza per l’inusuale punto di vista adottato da Park Chan-wook nell’approcciarsi alla figura del vampiro.

Per certi versi, anticipa film successivi come Solo gli amanti sopravvivono (2013) di Jim Jarmusch, mentre, per altri, recupera riflessioni esistenziali già portate sul grande schermo da opere come The Addiction (1995) di Abel Ferrara.

Quel che è sicuro è che un prete trasformato in un succhiasangue come protagonista non si era mai visto prima.

Un pretesto furbo per evidenziare il vero fulcro della vicenda, ovvero, il processo di trasformazione che inficia la stabilità psicologica di Sang Hyun, piuttosto che quella fisica.

Il vampiro rappresenta un’alternativa di vita e un inno alla libertà, che nella repressione dell’istinto e nella castità del prete trova la propria antitesi.

Park Chan-wook sceglie di mostrare allo spettatore una trasformazione interiore piuttosto che una esteriore. Sappiamo che Song-hyu acquista delle capacità straordinarie, ma visivamente rimane umano, anzi, un umano malato, sul cui corpo si riformano costantemente piaghe e pustole.

Una metafora biblica che condanna l’etica contemporanea

Il fatto che in Thirst il virus si chiami Emmanuele non è un riferimento casuale. Il nome Immanu’el compare nelle profezie di Isaia e nell’interpretazione biblico-cristiana sta a indicare il Messia. Colui che è capace di discernere il bene dal male e che rafforza il rapporto tra Dio e umanità proprio con l’Incarnazione.  

La figura di Sang-hyun è proprio questo. Dopo essere stato infettato con il virus, si “reincarna”, grazie alla trasfusione, in qualcosa di diverso, ma dotato di abilità sovrumane. Non è un caso che, rievocando l’incredulità di San Tommaso, il prete debba infilare la mano nel costato di Sang-hyun per credere alla sua nuova natura.

Il suo costante confronto con la moralità delle proprie azioni struttura un percorso spirituale, che, in più di un’occasione, lo rapporta all’essenza delle persone che lo circondano. Un travaglio di redenzione etica che, nonostante gli errori del percorso, gli permetterà di rigettare il male e di optare per il bene. Come Cristo vacilla per poi dare l’esempio.

Ripercorrendo a ritroso l’etimologia della parola mostro, Park la rinobilita con le valenze che possedeva anticamente. Monstrum è prodigio, colui che si rende apparente, che porta alla luce, che rende visibile, che deve essere mostrato. Sang-hyun diventa simbolo di una rinascita spirituale che metta in discussione l’ipocrisia dilagante sia all’interno del clero, sia all’interno della società.

Thirst

Park abbraccia un futuro cosmopolita e inclusivo

Thirst è la prima produzione cinematografica sudcoreana ad aver beneficiato di investimenti da parte di una major statunitense, la Universal, ma non è l’unico elemento che all’interno del film testimonia la volontà di un paese di aprirsi sempre di più alla globalizzazione (segyehwa).

Prima Park Chan-wook inserisce numerosi omaggi alla cultura giapponese: dall’architettura della casa, a una splendida scena con gli alberi in fiore che riecheggia la tradizionale usanza del Paese del Sol Levante di guardare la fioritura dei ciliegi (hanami). All’interno di questo ambiente nipponico i personaggi si riuniscono attorno a un tavolo a Mah Jong, un gioco da tavolo della tradizione cinese, bevendo vodka, la tipica bevanda Russa. Tutti paesi con cui la Corea del Sud ha avuto particolari rapporti politici in passato. Anche la religione cattolica, per quanto diffusa, non è autoctona, ma di matrice europea.

Eppure, tra tutti gli elementi quello che più fa riflettere è la presenza di Evelyn, una filippina ancora non in grado di parlare la lingua coreana.

Evelyn viene risparmiata e in questa scelta sono racchiusi metaforicamente due aspetti sociali che ancora oggi emergono dagli studi sulla Corea del Sud. Il primo è indicativo della difficoltà nell’attuare programmi sociali volti all’inclusione di persone di diverse origini culturali, esemplificato nella scelta del vampiro di non mischiare il proprio sangue con quello di Evelyn. Il secondo, nello stesso gesto, dimostra la necessità, nel momento in cui ci si apre al cosmopolitismo, di accettare la presenza di immigrati.

Sostanzialmente Park Cahn-wook costruisce, attraverso la messa in scena di un mondo fittizio, un futuro auspicabile, che rifiuti la xenofobia e che non si aggrappi ai drammi del passato e alle retoriche nazionaliste. Park inneggia alla comprensione della diversità e questa posizione, se si guarda il film con un po’ di attenzione, è chiara più che mai.

Uno stile irresistibile

Thirst mescola numerosi generi tra loro. Le atmosfere cupe dell’horror contornano uno sviluppo molto noir, che nell’evadere l’equilibrio richiesto dalla comunità prevede un ritorno ad esso.

La violenza e il sangue son alleggeriti dall’umorismo nero e dall’ironia con cui Park non risparmia nessuno. Il grottesco si manifesta in preti che si masturbano, in un genitore iperprotettivo che annusa i peti del figlio ritardato per capire che problemi digestivi lo affliggono e in goffe scene di sesso.

Anche i topos vampireschi sono oggetto di gag al limite del comico. I famosi canini vengono sostituiti da un cavatappi, da una pinza, o da un deflussore usato come cannuccia. Un armadio a doppia anta prende il posto della classica bara.

Se c’è un’altra cosa in cui Park Chan-wook è un incontestabile maestro è l’uso della macchina da presa (mdp). Il regista di Old Boy preferisce il movimento allo stacco del montaggio. La mdp ruota a attorno ai personaggi, scansiona i loro volti, i loro corpi. Park sfrutta zoom improvvisi e numerose carrellate. In poche parole, non regala un momento di tregua allo spettatore. Con questo stile mirabolante, imprevedibile e energico, e con un indomabile cinismo Park ottiene un film pulp veramente unico nel suo genere.

PANORAMICA

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Thirst è un unicum nella carriera di Park Chan-wook Il regista rivisita il filone cinematografico dei vampiri e lo riadatta alla cultura sudcoreana contemporanea. Il risultato è veramente originale. Un film pulp da recuperare.
Riccardo Brunello
Riccardo Brunello
Il cinema mi appassiona fin da quando ero un ragazzino. Un amore così forte che mi ha portato ad approfondire sempre di più la settima arte e il mondo che la circonda. Ho un debole per i film d’autore e per il cinema orientale, ma, allo stesso tempo, non riesco a fare a meno di un multisala, un secchio di popcorn, una bibita fresca e un bel blockbuster.

ULTIMI ARTICOLI

Thirst è un unicum nella carriera di Park Chan-wook Il regista rivisita il filone cinematografico dei vampiri e lo riadatta alla cultura sudcoreana contemporanea. Il risultato è veramente originale. Un film pulp da recuperare. Thirst (2009), i vampiri di Park Chan-wook