The Legend of Ochi (2025) è il primo lungometraggio diretto da Isaiah Saxon e con protagonista Helena Zengel. Il film è una produzione A24 e in Italia è stato distribuito da I Wonder Pictures l’8 maggio.
Sul sito aggregatore Rotten Tomatoes ha una certificazione “fresh” con il 79% di recensioni positive da parte della critica, che ne elogia l’artigianalità della regia.
Trama
Su un’isola del Mar Nero, per la popolazione vige un coprifuoco perché nei boschi circostanti vivono creature pericolose: gli Ochi.
Una ragazza, Yuri (Helena Zengel), vive con il padre Maxim (Willem Dafoe) dopo che la madre, Dasha (Emily Watson), se n’è andata. L’obiettivo di Maxim, ai limiti dell’ossessione, è stanare e sterminare tutti gli Ochi che infestano il paese e sterminano i pascoli.
Per stanare le creature, l’uomo ha reclutato dei ragazzini armati, tra cui il figlioccio Petro (Finn Wolfhard), che di notte assaltano il bosco, lanciando frecce. Yuri si unisce spesso a queste incursioni, occupandosi delle trappole.
Un giorno, dopo aver litigato con il padre, la ragazza ritorna nel bosco e scopre un cucciolo di Ochi intrappolato e ferito. La creatura è sola e spaventata e Yuri decide di aiutarla e riportarla alla madre. A ostacolare la ragazza ci sarà il padre con il suo gruppo di piccoli guerrieri. Gli Ochi sono creature misteriose e, forse, non così pericolose come tutti pensano.
The Legend of Ochi – Recensione
The Legend of Ochi è un film fantasy e d’avventura con il cuore tenero. E’ una pellicola con una morale così dolce che si capisce subito come andrà a finire e Maxim e il suo gruppo non sembrano una minaccia. Saxon costruisce (letteralmente) delle creature ed esprime la sua incredibile fantasia con grande impiego di risorse artigianali.
Il cucciolo Ochi è un animatronic, ovvero una costruzione meccanica, una marionetta controllata da diversi operatori (come l’alieno E.T.). Gli splendidi paesaggi naturali sono dei matte painting, quindi, come suggerisce il nome, dipinti a mano. L’effetto è strabiliante e fiabesco e l’Ochi è guidato così fluidamente da sembrare una creatura reale, grazie anche alla cura impiegata per le espressioni facciali, fondamentali per la caratterizzazione. Guardare The Legend of Ochi è come sfogliare un libro delle fiabe, visivamente parlando. Peccato che la grande cura tecnica non riesca a compensare le mancanze del film.
La pellicola parte bene, dalla prima scena introduttiva: presenta i personaggi principali e gli Ochi (e il piccolo protagonista). Yuri è una ragazza silenziosa e arrabbiata mentre il cucciolo ochi è spaventato e aggressivo: due esseri viventi che s’incontrano e che formeranno un legame che trascende ogni conflitto. Il cuore del film è tenero, ma si poteva osare di più.
Purtroppo i personaggi non sono abbastanza approfonditi da permettere un coinvolgimento emotivo: Maxim è un uomo spaventato che si maschera dietro all’odio e Dasha è schiva, quasi anaffettiva. Così come nascono, i personaggi rimangono sempre loro stessi: il film finisce con i primi accenni di evoluzione, come se si volesse dire “questo è solo l’inizio”. Una scelta che sarebbe più coerente se The Legend of Ochi fosse concepito come primo capitolo di una saga.
Il risultato è un film da una parte unico perché non impiega CGI, ma dall’altro incompleto.
Le creature
Gli Ochi vengono presentati quasi subito nel film, come creature che si arrampicano sugli alberi e con un linguaggio musicale. Inutile negare che loro rappresentano il punto forte della pellicola, specialmente perché il cucciolo di uno di loro è il protagonista. Queste creature si presentano con un manto peloso azzurro e un aspetto a grandi linee scimmiesco (ad esempio possiedono cinque dita per zampa).
L’aspetto più interessante degli Ochi è il linguaggio. “Quando gli Ochi incrociano le voci si compie una specie di miracolo” dice Dasha, che li ha studiati a lungo e non vede in loro una minaccia. Al contrario degli umani, le creature comunicano attraverso le emozioni nei vocalizzi. Gli Ochi conoscono la paura, la rabbia e la felicità: ogni verso è una melodia. E’ affascinante lo studio che c’è dietro questi goblin particolari, una cura che assorbe il film.
Anche se la pellicola è stata concepita come autoconclusiva, sarebbe interessante un secondo capitolo per approfondire il linguaggio Ochi.
The Legend of Ochi – Conclusioni
The Legend of Ochi è un’avventura dalla mente di un bambino e come ogni storia infantile pensa più all’azione che a suscitare emozioni. Il comparto artigianale è perfetto: sembra di vedere un film Anni Ottanta, come La Storia Infinita.
Purtroppo le premesse del film non promettevano di essere originali, e così è stato. Guardare The Legend of Ochi è più uno spettacolo per gli occhi che per l’anima, il che non è sempre un male: come in questo caso.
La fine rimane sospesa tra i titoli di coda, fa presagire un continuo che però al momento non è stato annunciato. Preso come un film autoconclusivo, la pellicola non è sufficiente. Saxon è al suo primo lungometraggio, quindi c’è sicuramente margine di miglioramento.