Tre donne, un giorno, una connessione. The Hours diretto da Stephen Daldry nel 2002, è un film drammatico di straordinaria bellezza, estremamente sensibile e poetico. Basato su un’opera letteraria di Michael Cunningham, vincitrice del Premio Pulitzer nel 1998, racconta una storia molto complessa che ruota attorno a tre donne oppresse e in conflitto con il mondo che le circonda, così diverse, eppure così dolorosamente affini.
“L’intera vita di una donna in un giorno, un solo giorno; e in quel giorno tutta la sua vita.”
Virginia Woolf, “The Hours” (USA, 2002)
Il film ha una struttura narrativa interessante. La storia si svolge in un giorno nella vita di tre donne in tre epoche diverse. Nell’Inghilterra degli anni ’20, la scrittrice Virginia Woolf (Nicole Kidman) sta combattendo contro i demoni della sua mente e sta lavorando per completare il suo romanzo “La signora Dalloway”. È supportata e seguita con amore e attenzione dal marito Leonard (Stephen Dillane), che cerca di fare sempre ciò che è meglio per lei. Nella periferia di Los Angeles degli anni ’50, Laura Brown (Julianne Moore) è una casalinga frustrata del dopoguerra, che cerca di essere una brava moglie e madre, è intenta a preparare una torta per il compleanno del marito mentre legge il libro della Woolf. Nel 2001, infine, troviamo Clarissa Vaughan (Meryl Streep), soprannominata dagli amici “Signora Dalloway” che sta organizzando una festa per il suo amico scrittore Richard (Ed Harris) che ha vinto un prestigioso premio di poesia e sta morendo di AIDS. La sceneggiatura si sposta avanti e indietro nel tempo e nello spazio e, lentamente, con infinita delicatezza, viene stabilità una connessione tra i personaggi. Le loro vite si rispecchiano in modi sagaci e inaspettati. Le intersezioni delle tre narrazioni si insinuano nello spettatore con sottile grazia. Mentre c’è un eco sorprendente o una sorta di parallelo con il film “Magnolia”, che esamina anche le interrelazioni degli individui e il modo in cui le loro vite si intersecano, c’è veramente qualcosa di cerebrale in The Hours. Fornisce una sensazione soffocante, un vero e proprio pugno emotivo. Un film transfisso e commovente nella sua capacità di illuminare la lotta interiore. È un rapimento bello e seducente fatto di complessità cupe, che rifluisce e scorre senza soluzione di continuità come una sonata per pianoforte al chiaro di luna.
Potrebbe sembrare tutto piuttosto banale, eppure le lotte affrontate da queste donne sono abilmente intrecciate per rivelare la grandezza della vita, anche per coloro che conducono un’esistenza apparentemente piccola. Il regista Stephen Daldry ha esplorato sottilmente questo tema già con “Billy Elliot”, però qui evita il sentimentalismo sciropposo. Lavorando sulla sceneggiatura di David Hare, il dialogo è autentico, muscoloso e punteggiato da momenti di realizzazione condivisa, che fanno scorrere i minuti di The Hours adeguatamente. Sotto quel grumo di lattice sul viso, la Kidman cattura abilmente l’immobilità e la mania della Woolf clinicamente depressa. Imprigiona l’ossessiva autocoscienza della scrittrice, quasi come se fosse da parte e guardasse con stupore affascinato, mentre la follia le strisciava nella mente. Eccelle, indicando una profondità e una maturità, mentre porta in vita un personaggio potenzialmente difficile. Il ruolo della Moore rappresenta un’interessante variazione della sua angosciata casalinga degli anni ’50 in “Lontano dal paradiso”. La vulnerabilità del suo viso, che sembra fatto di porcellana, è accentuata da un profondo senso di stupore e con i suoi occhi che trasmettono vuoto e smarrimento. La Moore porta il suo personaggio sull’orlo del collasso, urlando silenziosamente con aria calma, sorridendo dolcemente per scoraggiare l’intrusione. E poi c’è Meryl Streep che, tra tutti i personaggi, è molto simile alla signora Dalloway. Esprime agilmente le priorità immediate e le delusioni che definiscono la vita di una donna urbana apparentemente perfetta e sicura di sé. L’esperienza del regista nel teatro gli consente di avere straordinarie esibizioni da parte di tutto il cast. Anche tra i ruoli secondari, ci sono momenti che fanno venire la pelle d’oca, specialmente da Ed Harris e Toni Collette, i cui sentimenti repressi la animano in ogni movimento del viso e del corpo.
Le location e il design della produzione evocano fortemente le impostazioni settentrionali. La fotografia di Seamus McGarvey è amichevole per i dettagli e particolarmente attenta a distinguere le sfumature più scure della sezione britannica. I costumi di Ann Roth sono utili per elaborare le personalità dei personaggi. La colonna sonora di Philip Glass, che fa ampio uso di alcune delle sue composizioni preesistenti, è chiaramente progettata per collegare emotivamente le tre trame della storia, facendole rotolare in modo ampio. The Hours potrebbe essere un film oscuro che naviga attraverso le acque torrenziali della malattia mentale, ma non è mai noioso o non veritiero, e scivola facilmente a un ritmo costante. È commovente e intelligente, si tuffa nelle sfaccettature difficili del suicidio e della mortalità, ma fornisce anche riflessioni sul significato della vita, delle ore – appunto – in cui viviamo. Rivela il desiderio disperato di felicità che spinge così tante persone in un nuovo giorno con grandi speranze. Mette una lente non solo sulla bellezza, ma anche sulla strana brutalità della vita ed evidenzia come la morte possa assumere molte forme: la perdita letterale della vita o il lento decadimento di vivere una vita sbagliata o di trattenerla. Ma – come dice la Woolf in una scena del film:“Non si può trovare la pace, sottraendosi alla vita”.
Voto Autore: [usr 4,5]