Una cosa che ha sempre contraddistinto il cinema di Quentin Tarantino è sicuramente la violenza. Un elemento ricorrente, a volte ingiustamente criticato, che però trova una spiegazione logica guardando la storia e le influenze del regista. Cinque dita di violenza (1952), Cani arrabbiati (1974), Carrie (1976), questi sono solo alcune delle opere principali che, a detta dello stesso Tarantino, hanno segnato la sua personale visione della settima arte, plasmando i suoi gusti e formandolo come artista.
“Alcune persone amano i musical, altri l’azione, il dramma o le commedie, io amo i film violenti. È un modo per godersi le storie. A me piace elettrizzare il pubblico. Quello che non sopporto è che la violenza sia mal realizzata. Non riesco a sopportarlo”.
La violenza sugli animali per Quentin Tarantino
“Qualcosa che si vede molto nel cinema europeo e asiatico è che uccidono animali nei film. Questo mi disturba molto. Non mi piace vedere o mostrare morti reali, nemmeno di insetti. Posso sopportare la violenza in un film o sul set perché è finzione e so che è solo un gruppo di ragazzi che si divertono durante le riprese”.
La violenza quindi è per Tarantino un elemento di divertimento che però deve ben inserirsi all’interno della narrazione. L’uccisione di animali è invece qualcosa di poco utile, sia ai fini del racconto che come mezzo d’intrattenimento. Questo concetto è visibile in Pulp Fiction, Le Iene e tutti gli altri film del regista, dove la violenza ha spesso un ruolo quasi comico, grottesco e dove questa non viene mai però applicata su animali. Addirittura in C’era una volta a…Hollywood è proprio in terrier Brandy, sul finale del film, a prendere parte ad una delle carneficine più memorabili degli ultimi anni. Una sequenza tanto bella quanto anticipatrice delle parole rilasciate pochi giorni fa.