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Sanctuary – La recensione del thriller erotico con Margaret Qualley

Lo scorso anno, dopo l’esordio costituito da The heart machine (2014), ha visto la luce l’opera seconda del regista e critico cinematografico newyorchese Zachary Wigon: si tratta del dibattutissimo Sanctuaryintegrato in Italia con il didascalico sottotitolo “Lui fa il gioco. Lei fa le regole” -, per la sceneggiatura di Micah Bloomberg (Homecoming). La pellicola, presentata in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival lo scorso settembre, è poi stata lanciata in Italia in occasione della Festa del Cinema di Roma. Successivamente, sia sul piano internazionale che nel caso italiano, ha avuto una distribuzione estremamente limitata. Il film unisce sapientemente svariati generi, basandosi su un impianto da thriller erotico per poi assorbire entro i suoi confini tratti di dark humour e di commedia romantica.

La trama del film

Il rapporto che unisce Hal (Christopher Abbott) e Rebecca (Margaret Qualley) è basato su un dualismo di dominazione e sottomissione erotica: lui, infatti, rampollo benestante, la paga affinché lei sia la sua dominatrice e lo umili recitando plot e scenari di ideazione dello stesso uomo (non è un caso, in questo senso, il titolo affidato al film, poiché è proprio “Sanctuary” la safe-word stabilita dai due per interrompere il gioco di messinscena quando la situazione si fa troppo pressante). Hal si sente nel suo profondo destinato ad una condizione esistenziale di schiavitù: è docile, remissivo e insicuro. Rebecca, al suo opposto, nonostante la condizione di inferiorità economica rispetto a lui, è grintosa, determinata e ambiziosa.

In occasione del loro ultimo incontro, Hal la ringrazia per il lavoro che lei ha svolto per lui negli anni ma le spiega anche che, poiché prossimo a diventare il CEO dell’azienda paterna, si vede costretto ad interrompere l’interazione con lei per evitare possibili scandali. Simbolicamente, come gesto di commiato e di ringraziamento, le regala un costosissimo orologio. Lei, ferita, dopo averlo reso nel corso del tempo l’uomo che è sente di meritare di più di un semplice regalo d’addio, e non tarda ad avanzare richieste che mettono in difficoltà Hal. Così, nel corso di una notte, si instaura fra i due un gioco di forze fatto di puntate a rialzo, ricatti economici e morali, colpi bassi, lotta violenta e ambizioni.

Sanctuary

Sanctuary – La recensione del film

La trama di Sanctuary si appoggia su un presupposto interessante: il gioco di potere in accezione sessuale su cui si basa il rapporto fra i protagonisti finisce per ampliarsi riversandosi e assorbendo il legame dei due in toto, ad un livello esistenziale. Fintanto che Hal e Rebecca si muovono sul piano dell’erotismo, nonostante le risorse economiche del protagonista maschile lascerebbero presumere il contrario, la posizione di controllo e di potere è deliberatamente affidata al personaggio femminile. Ma quando l’arena di gioco si fa più ampia, le regole non possono rimanere immutate. Sebbene sia sempre Rebecca a condurre il gioco avanzando proposte teoriche e richieste concrete, il ruolo socio-economico di Hal si riappropria del suo spessore e diventa inevitabilmente influente nel determinare le sorti del discorso, contribuendo ad una parziale riappropriazione del sé del protagonista maschile.

Come per un curioso gioco del destino, le sorti caratteriali dei due protagonisti sembrano non corrispondere al loro status in un ribaltamento che diventa fra i due indice di complementarietà. Rebecca, una giovane donna presumibilmente semi-proletaria, è in possesso delle conoscenze e soprattutto della grinta necessaria a sbranare con selvaggia voracità il mondo che la circonda, ma l’unico mezzo che ha per farlo è quello della messinscena della dominazione erotica. Hal, al contrario, sebbene sia destinato a diventare nel breve termine il dirigente di un’azienda dagli inestimabili capitali, fatica ad inserirsi in quel contesto essendo più abituato ad un’attitudine alla schiavitù e alla sottomissione.

In un gioco di potere che non fa sconti per nessuno, i due protagonisti di Sanctuary sembrano riscontrare tanta difficoltà nel riconoscere il proprio statuto esistenziale quanta ne trovano nell’ammettere di aver sviluppato una vera e propria dipendenza reciproca. Le sorti del fortunato plot, infatti, inseriscono questo elemento di testardaggine in uno schema (non nuovo ma sempre rischioso e interessante) quale è quello teatrale, in cui una singola linea d’azione si sviluppa in un unico luogo limitato e in un solo arco di tempo continuativo. Questa struttura, basata su slittamenti di potere e giochi di forza che si esprimono in un ping-pong puramente dialogico, lascia spazio a sufficienza per una discreta contaminazione fra generi cinematografici: così, nel corso di minutaggio, l’umorismo dark si fonde all’erotismo per sfociare infine in una sorta di commedia romantica tinteggiata, nel percorso della protagonista, di scalata sociale.

Questa struttura tecnico-tematica, dal potenziale indubbiamente forte ma già parzialmente inespresso nel secondo atto, confluisce purtroppo in un finale che lascia sfociare queste interessanti e pressanti dinamiche in uno sfondo rosa da turbolenta e litigiosa rom-com che, inevitabilmente, finisce per disperdere parte del fascino iniziale del prodotto. Conseguentemente, anche il messaggio di empowerment femminile affidato ad un personaggio così fresco, deciso e spigoloso come è quello di Rebecca perde gran parte della sua grinta per decadere in una conclusione che se non melensa è comunque sorprendentemente leziosa rispetto al tenore del resto del film, confondendo un eventuale spettatore circa il messaggio soggiacente alla trama.

Sanctuary

In definitiva, Sanctuary si rivela uno spunto dal potenziale interessante ma parzialmente (se non fortemente) inespresso. I due giovani protagonisti certamente non inficiano in alcun modo alla fruizione del prodotto, che purtroppo nonostante l’apprezzabile tentativo di una chiave di lettura inedita di empowerment femminile e gioco di potere fra i sessi finisce per nascondersi con una certa timidezza dietro ad una soluzione da rom-com che se non direttamente banale risulta comunque parzialmente deludente, facendo brutalmente deflagrare il sistema di tensione instaurato nel corso del minutaggio.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

In Sanctuary lo slittamento nel gioco erotico e di potere fra i due protagonisti si coniuga con uno slittamento fra generi, dal thriller alla commedia romantica.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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