Dopo aver rappresentato i cunicoli più oscuri dello Stato italiano in Esterno Notte, Marco Bellocchio dirige Rapito, un film su un’altra istituzione che ha accompagnato la storia del nostro paese: la Chiesa. Il film, presentato al Festival di Cannes appena concluso, racconta la storia di Edgardo Mortara, un bambino ebreo che all’età di sei anni fu allontanato con la forza dalla sua famiglia e cresciuto a Roma, istruito al cattolicesimo. Il film rimane eccessivamente coeso alla matrice storiografica che lo caratterizza, non acquisendo mai una profondità ed una originalità che lo avrebbero reso il film che vorrebbe essere.
Rapito Cast
Il cast del film Rapito è composto da Paolo Pierobon (Papa Pio IX), Fausto Russo Alesi (Salomone Mortara), Barbara Ronchi (Marianna Padovani Mortara), Enea Sala (Edgardo Mortara da bambino), Leonardo Maltese (Edgardo Mortara da ragazzo), Stefano Minotti (Giulio Mortara da bambino), Samuele Srebernic (Augusto Mortara da bambino), Aljet Begeja (Arnoldo Mortara da bambino), Carlo Schiano Lomoriello (Ercole Mortara da bambino), Chiara Mazzoni (Erminia Mortara da bambina), Stella Mazzoni (Ernesta Mortara da bambina), Emma Bondioli (Imelda Mortara neonata), Samuele Teneggi (Riccardo Mortara), Filippo Timi (Cardinal Giacomo Antonelli), Fabrizio Gifuni (PierGaetano Feletti), Aurora Camatti (Governante Anna Morisi), Alessandro Bandini (Padre Mariano), Paolo Calabresi e Corrado Invernizzi.
Rapito Trama
Siamo nel 1858 a Bologna. I Mortara sono una famiglia ebrea composta da Salomone, il padre, Marianna, la madre e otto figli, tra cui Edgardo. Il bambino, una sera di quell’anno, viene sottratto alla famiglia da parte della Gendarmeria dello Stato Pontificio, poiché era arrivata la voce che il bambino avesse ricevuto il battesimo. Portato a Roma, Edgardo viene educato come un cattolico, sotto lo sguardo vigile di Papa Pio IX.
Rapito Recensione
Le prime scene sembrano non appartenere ad un film che, proseguendo con la narrazione, cambia drasticamente registro. Appena lo spettatore si siede in sala, infatti, si troverà davanti un’opera fluida, imponente, emozionante e carica di tensione.
Tutti i secondi che separano l’inizio del film dal momento in cui Edgardo arriva a Roma tengono letteralmente rapito lo spettatore in un’estasi di tensione drammatica ben rappresentata dal rapporto tra il bambino e i due genitori.
Il registro cambia, invece, dal momento in cui Edgardo viene portato via dalla propria famiglia. A prendere il sopravvento non è la tensione alla base del dramma, quanto invece il carattere eccessivamente storiografico del film. Questa caratteristica dell’opera, a volte ridondante, indebolisce la narrazione che finisce per diventare quasi didascalica.
Rapito ed Esterno Notte: due istituzioni a confronto
La sceneggiatura, d’altronde, ben si sposerebbe con un intento didascalico e, si potrebbe dire, didattico che limita il film ad una, anche se interessante, semplice narrazione dei fatti. Se, infatti, la peculiarità di Esterno Notte di Bellocchio era stata proprio la capacità di svincolarsi dalla narrazione storica per incanalarsi in un contesto originale e quasi onirico, il regista fallisce il suo secondo tentativo.
Sembra, infatti, voler continuare un ciclo di riflessione sulle istituzioni che hanno caratterizzato il nostro paese negli ultimi secoli e non solo, non riuscendo, però, a replicare quanto fatto con il caso Moro. Due opere così lontane nel tempo, ma così vicine concettualmente, in cui è esemplificato perfettamente il carattere totalizzante dell’istituzione.
Lo Stato visto in Esterno Notte è una macchina che funziona male, un puzzle che senza alcuni pezzi rischia di incepparsi. L’istituzione ecclesiastica protagonista di Rapito è, invece, meno vulnerabile di quanto appare. In tutti e due i film un rapimento che, in un modo o nell’altro, incrinerà le rispettive istituzioni.
Rapito e la mancanza di un protagonista
Ad una sceneggiatura poco incisiva, però, si affianca un comparto attoriale che riesce a lasciare il segno. Tralasciando qualche eccessiva caratterizzazione caricaturale, come quella relativa al personaggio interpretato da Paolo Calabresi, la scelta di attori quali Fausto Russo Alesi (Salomone Mortara) e Fabrizio Gifuni (PierGaetano Felletti) impreziosisce un film che manca, invece, di un importante figura che possa essere definita principale.
L’attore che interpreta il bambino, infatti, non possiede un tale carisma da dominare la scena. Riescono, invece, a concentrare verso di sé l’attenzione i personaggi che a questo si affiancano, come per esempio i genitori o il Papa, interpretato da Paolo Pierobon. Pur essendo verosimilmente una scelta intenzionale, questa mancanza di un protagonista imponente non aiuta un film che manca di caratterizzazione e di spessore.
La funzione storica, sociale e culturale del film
Il risultato è, quindi, un’opera che fatica a procedere in modo fluido, troppo legata ad una impostazione storiografica che vincola il prodotto ad una funzione storico-sociale, comunque fondamentale.
Risulta, infatti, pregevole di attenzione, al di là della narrazione cinematografica, l’importanza sociale, storica e culturale che possiede un evento come quello narrato nel film di Bellocchio. Una riflessione sull’istituzione ecclesiastica così dura e diretta raramente arriva nei cinema.
Bellocchio dirige, quindi, un film sociale che offre uno spunto interessante di riflessione su un’istituzione che ha accompagnato imponentemente il procedere della Storia del nostro paese.