“Point Break – Punto di rottura” è un film del 1991 diretto da Kathryn Bigelow. I protagonisti sono Patrick Swayze e Keanu Reeves. All’epoca erano entrambi in un momento prolifico delle loro carriere artistiche, in particolare Swayze. Reeves stava invece emergendo come uno degli attori simbolo di quel periodo storico cinematografico. Alla produzione anche James Cameron, che segue il progetto insieme alla Bigelow.
Point Break, la trama
Un audace gruppo di rapinatori di banche è famigerato in tutta Los Angeles per la rapidità e l’efficienza dei loro colpi di bottino. Mascherati con i volti di quattro ex presidenti americani, portano a segno una ventina di rapine senza essere mai catturati. L’FBI sembra non riuscire nell’impresa fino all’arrivo di un giovane agente chiamato Johnny, che mette anima e corpo nel riuscire a individuare i colpevoli. Alcuni indizi conducano a un gruppo di surfisti della spiaggia, parte così una missione di infiltrazione che coinvolge il giovane protagonista, il quale si introdurrà nella cerchia per monitorarne i movimenti.
Point Break, la recensione
Kathryn Bigelow è una regista americana molto conosciuta, tra i nomi femminili più in voga e apprezzati del cinema statunitense. Due volte premio Oscar per “The Hurt Locker“, si afferma nel genere thriller e azione, realizzando alcune delle opere più interessanti del panorama cinematografico.
Il film cresce di importanza e fama nel corso del tempo, tanto che oggi è considerato un vero e proprio cult. Ha rivelato al mondo la bravura di Reeves, attore che può vantare una faccia da bravo ragazzo, ma estremamente determinato e risoluto nei suoi obiettivi. In questo lavoro riesce a dimostrare un grande talento, con un ruolo perfetto per le sue caratteristiche. Da qui in poi la sua carriera decolla.
Patrick Swayze viene invece dal successo degli anni 80, che lo hanno reso un attore ricercato e stimato. Nel film riesce a dare prova di una delle migliori interpretazioni della sua carriera. Il suo volto si presta bene a caratterizzare un personaggio da un’enorme profondità umana.
L’azione in Point Break
Dal punto di vista del genere azione, è uno dei film più belli mai realizzati. Le scene dinamiche sono girate in maniera incredibile, trasmettendo la giusta suspense che tiene incollato allo schermo. La macchina da presa segue gli spostamenti degli attori nei momenti più adrenalinici, come nella bellissima sequenza della corsa tra i due protagonisti, in cui la camera corre letteralmente assieme agli interpreti, tanto che l’immedesimazione in uno dei due personaggi è potentissima ed estremamente coinvolgente.
Sussiste una contrapposizione davvero notevole e che salta immediatamente agli occhi. Nelle scene urbane, in cui la città è contraddistinta dal traffico e dal caos cittadino, la camera si esprime in maniera burrascosa, muovendosi incessantemente e trasmettendo una sensazione di vita, tra pregi e difetti. Al contrario nelle immagini in spiaggia, a regnare è una pace incontrastata che si diffonde per merito del mare, che è il vero motore di tutta l’opera. La camera è più statica e lineare, quasi a racchiudere nell’inquadratura la bellezza di questo fenomeno. Il mare si fa quindi portatore di valori e status simboli che coinvolge la visione dei suoi adepti e ne indirizza il modo e l’atteggiamento dei suoi amanti.
Mare e violenza, il perverso rapporto
Il film vanta un’eccellente costruzione visiva e una progressione narrativa lodevole. Merito di un ottimo lavoro di scrittura, che fonde l’apparente semplice trama iniziale, con una massiccia dose di significati e simbologie, nascoste tra le sequenze della pellicola. Ed è questo il punto che rende “Point Break” grandioso. L’opera cerca di coniugare questi due aspetti, la violenza urbana con la serenità spirituale evocata dalle onde, come se ci fosse una relazione.
I due elementi sembrano coesistere in un rapporto di simbiosi. Il concetto che traspare è questo: si riesce ad apprezzare il mare solo se si vive anche la caoticità della quotidianità, in maniera da trasmettere all’acqua un significato di pace e benessere. La linfa vitale della loro violenza sembra quindi provenire dal mare e viceversa, vale a dire, invertendo i sostantivi, la linfa vitale che assorbono dal mare sembra potenziata dalla violenza delle loro azioni, così che i due fattori si alimentano a vicenda.
L’opera tratta il tema della follia umana e di come si crea nelle persone. I surfisti apprendono una filosofia di vita, che li distacca totalmente dal mondo reale. Questa interconnessione con lo spirito delle onde li trascende come avviene con una religione orientale. I giovani ragazzi si isolano in un mondo tutto loro, in cui sviluppano un senso di comunità primordiale, con delle precise regole e norme da seguire. La scena della festa e dei dialoghi attorno al fuoco ne sono un diretto esempio.
Il film non vuole criticare il mare, che anzi appare disinteressato agli individui, essendo un elemento della natura. Il mare non ha nessuna colpa in questa pellicola, non è sicuramente la causa di qualcosa, non essendo dotato di una propria individualità. Il mare vive della sua sublime bellezza a prescindere da tutto. Il film critica piuttosto l’idea che queste figure attribuiscono al mare, ovvero la rappresentazione erronea che è stata riservata a questo complesso naturale di acque e che ha indotto i soggetti in azioni nocive.
La passione che i protagonisti nutrono per l’acqua, li conduce infatti in una spirale fatta di rapine e minacce, a dimostrazione di come la passione, da sempre supportata dalle emozioni che ne fanno da guida, si allontana dal concetto di razionalità e logica che invece governa la ragione. Il messaggio del film è che le passioni possono delle volte condurre a soluzioni dannose, contro una collettività di individui. Il motivo è il rapporto soggettivo di interdipendenza, dominato da una precisa emozione, che si viene a creare fra l’uomo e l’oggetto della sua passione. Bisogna quindi prestare attenzione, cercando di calibrare il giusto equilibrio, nel momento in cui ci si lascia trasportare da una propria infatuazione.